
Who the bær, la favola formativa di Simon Fujiwara8 minuti di lettura
Fino al 27 settembre presso la Fondazione Prada a Milano sarà possibile visitare il percorso ideato e allestito dall’artista anglo-giapponese Simon Fujiwara intitolata Who the bær. Con il suo lavoro l’artista è riuscito a costruire, attraverso disegni, collage e fotografie, una vera e propria favola simile ai classici romanzi o cartoni animati formativi per bambini.
Tutto ciò con l’intento di mostraci l’impatto che queste storie e i loro protagonisti iconici hanno sul nostro immaginario collettivo e non solo. Attraverso la storia di Who, un* ors* disegnato che svolge un percorso alla ricerca della sua identità nonché dei suoi desideri e scopi. Il percorso ci mostra come le immagini comunicateci attraverso i media, possano alterare la nostra capacità critica verso gli altri e, soprattutto, verso noi stessi.
Il nome dell’orso è esemplificativo dello scopo della mostra, Who? Chi? Il percorso, costruito interamente in cartone e a forma di orso, è diviso in otto sezioni. Ognuna di esse ha un nome differente, ed è composta da immagini, video e composizioni. Un collage che unisce temi differenti (dalla pubblicità alla politica, dalla sessualità all’ecologia) e che sottolinea come diversi flussi di informazioni contribuiscano alla formazione di Who, e di noi stessi.
Who is Who?
La prima sezione del percorso si apre con un enorme libro animato. Esso ci introduce alla storia di Who mostrandoci alcuni dei principali elementi che faranno parte del percorso dell* ors*. Fin dall’inizio notiamo come Who non appartenga solamente ad un mondo animato ed irreale. L’orso vive e si muove anche nel mondo reale e per questo è soggetto agli stessi eventi ed influenze. Questa prima parte del percorso, la testa dell’orso, è rivolta a quei primi elementi che costituiscono la nostra identità, il genere, l’origine e la razza.
Le immagini e i collage che ci vengono proposti mostrano come la società o le strategie di marketing necessitino e cerchino un’identità unica e riconoscibile. Ma ciò non succede a Who le cui forme rimangono mutevoli e non si irrigidiscono in forme ben definite. La ricerca della propria identità è mostrata attraverso immagini che mostrano Who immerso in terapie di gruppo o riunioni marketing, oppure sdraiato sul divano di Freud.

Becoming Who?
La seconda sezione mette Who a confronto con il proprio sesso e la propria famiglia. L’orso si ritrova di fronte ad immagini e fotografie che illustrano tutte le differenti idee di uomo e donna, mascolinità e femminilità che caratterizzano le dinamiche del nostro mondo. Processi governati da immagini che diffondo l’ideale dei valori tradizionali, saldamente legati ai ruoli del genere binario e alla idea classica di famiglia, ma anche al successo e all’appartenenza ad un gruppo. Who si ritrova a confrontarsi con immagini che cercano di confinarl* ma l’ors* continua a cambiare la sua forma, il suo aspetto, il suo sesso e le sue origini.
Questo gli permette di decidere le proprie sembianze e scegliere quelle che più si adattano al suo desiderio. I membri della sua famiglia diventano le icone moderne del nostro tempo (Elon Musk e Grimes). Una sezione che ci descrive le molto spesso assurde logiche dietro al nostro immaginario dove prodotti, tecnologia ed esseri umani si incontrano.
Who’s World?
Questa sezione del percorso si confronta con un altro grande esempio all’interno delle relazioni sociali. Un tema che da sempre attraversa la nostra vita e che il marketing si è sempre impegnato a proporci. Il cosiddetto “viaggio alla ricerca di noi stessi”. Esperienza in realtà traducibile come tentativo di prendere diversi luoghi del mondo, le loro tradizioni e peculiarità, e trasformarli in una sorta di sfondo interessante. Uno sfondo che l’uomo bianco occidentale può sfruttare per i suoi obiettivi, dando vita ad una totalità di stereotipi costantemente riutilizzati.
All’interno di questo insieme stereotipi si muove Who. Attratto da tutto ciò che è iconico e facilmente consumabile si immedesima con le figure mainstream che hanno monopolizzato i discorsi riguardo ambiente e altri problemi etici, come l’ecologia e l’appropriazione culturale.
Who’s Bærlines?
Per chiunque desideri trovare un senso e un’identità nel mondo odierno è impossibile non confrontarsi con immagini di celebrità ed influencer. Così come personaggi facoltosi che riescono a costruirsi, grazie alle proprie possibilità economiche, uno spazio personale su misura per loro. Who the bær si lascia inspirare da queste immagini. Questa sezione del percorso altro non è che una sua fantasia dove la cabina dove viaggia è progettata e costruita in ogni minimo dettaglio, colori, marchi personalizzati e gadget.

Whoney Whoney Whoney!
Qui lo spettatore si ritrova all’interno di un enorme vaso di gel lubrificante all’interno del quale possiamo ammirare il processo con il quale Who, attraverso una continua trasformazione, distrugge l’idea dell’immagine sociale riuscendo a superare il desiderio verso un qualcosa mutandosi nell’oggetto stesso che bramava. In questo caso vediamo come l’ors* invada il celebre Il bacio di Klimt riuscendo a distruggere o forse modificare l’idea classica di amore eterosessuale.
Only Whoman
Who the bær è solamente un disegno, ma anche l*, come noi esseri umani facciamo ormai da decenni, si chiede se un giorno, magari non troppo lontano, sarà sostituit* da un robot. Qui Simon Fujiwara dà vita a Who the bær nella sua versione robotica che, quando attivata, ballerà e canterà, circondato da disegni che rimandano alla tecnologia e all’ambiente meccanico. Uno dei disegni che adorna le pareti mostra una chat priva di qualsiasi contenuto degno di nota che ci indica come a Who sembra considerare più importante l’essere connesso piuttosto che dare un vero e proprio senso alla connessione, alla conversazione e al messaggio che attraverso di essa si potrebbe trasmettere.

Who for president?
Questa è forse la parte più ironica e in un certo senso assurda di tutto il percorso. Qui Who si affaccia al mondo della politica e si chiede cosa succederebbe se un personaggio senza un’identità precisa decidesse di iniziare una campagna politica e candidarsi per qualche posizione di rilievo. Ecco che qui si è di fronte alla più assurda corsa presidenziale di sempre, con manifesti celebri e icone di potere trasformati in collage assurdi. Slogan privi di senso ed energy drink che mostrano fieramente i colori sia repubblicani che democratici per una corsa alla presidenza resa unica dall’impatto mediale senza precedenti.

Church of Who?
Che sentimenti e connessioni può avere un personaggio dei cartoni animati che cerca nelle immagini una sua identità con la religione e le sue strutture? Sono tanti i riferimenti e i significati che si riescono a raccogliere nell’ultima sezione del percorso. Centrale è sicuramente la chiesa di cartone che ci suggerisce come essa sia in realtà un elemento si iconico ma soprattutto provvisorio. Luogo che funge da dimora per un ologramma che, in maniera rappresentativa, è a forma di punto di domanda che rimane sospeso al centro della chiesa. Intorno a questa chiesa è presente Who thebær sotto forma di idolo cristiano con l’altrettanto iconica “Whocrocifissione”.

La mostra Who the bær è un’indagine profonda sull’identità e come essa sia molto spesso costruita attraverso numerose immagini mediali che ci accompagnano durante la nostra vita. Il percorso ideato da Simon Fujiwara ci mostra come siano pochi gli aspetti della nostra esistenza, e di Who, che non siano in qualche modo influenzati da fattori esterni. I mmagini, idee di benessere, stereotipi e visioni uniche e immutabili costringono l’esistenza in binari predefiniti e immutabili.
Tra i corridoi di cartone seguiamo un romanzo di formazione in cui un personaggio cerca la sua identità e unicità all’interno del vasto mondo di queste immagini. Who the bær e Simon Fujiwara ci fanno dubitare e ragionare sul concetto di identità e non a caso l’immagine che potrebbe racchiudere tutta la mostra non è altro che un enorme punto interrogativo.

