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Arte

Venere Rokeby: storia del quadro “maledetto” di Velázquez5 minuti di lettura

È di pochi giorni fa la notizia che due attivisti del gruppo ambientalista Just Stop Oil hanno preso a martellate il vetro che protegge la Venere Rokeby, o Venere allo Specchio, realizzata da Diego Velázquez intorno al 1648 e conservata alla National Gallery di Londra.

Questo sensuale nudo di spalle non è nuovo allo scandalo e agli atti vandalici, e sta cominciando a meritare il titolo di quadro “maledetto”.

Erotismo proibito

La Venere venne realizzata da Diego Velázquez quando era già uno dei più importanti artisti della Spagna del Seicento. Sembra che il dipinto fu commissionato all’artista da Gaspar Méndez de Haro, marchese del Carpio, amante delle belle arti e delle belle donne.

Si trattava di un’opera di contemplazione privata dal forte contenuto erotico: Venere dà le spalle allo spettatore, gesto inconsueto per l’iconografia pittorica, ma molto comune in epoca antica (uno dei nomi attribuiti a Venere è callipigia, “dal bel fondoschiena”), mostrando la schiena e le natiche nude.

Mancano totalmente i classici attributi mitologici, come i gioielli o le rose, e il colore dei capelli non è il classico biondo iscritto alla dea dell’amore, ma un bruno più comune tra le donne mediterranee. L’unico elemento che ci indica che siamo al cospetto di Venere è la presenza di Cupido, che tiene in mano lo specchio e dei nastri rosa, con i quali lega il cuore degli innamorati.

Il viso della dea si può scorgere attraverso lo specchio, ma viene appena abbozzato dalla mano del pittore, che pone molta più cura nello scolpire le forme sinuose della donna, adagiata su un lenzuolo grigio (un tempo era viola, ma il pigmento si è scolorito col tempo), per risaltare maggiormente il candore della pelle.

La scelta di non definire i tratti del viso è interpretata come la volontà di non dare un’indentità terrena alla figura divina, ma lasciare all’osservatore la libertà di immaginare il suo volto, in un gioco che carica ancora più di sensualità la scena.

Dettaglio del viso. La prospettiva allo specchio è errata, per dare l’impressione che la Venere osservi direttamente lo spettatore

La datazione del dipinto è incerta, ma si pensa che venne realizzato durante l’ultimo soggiorno italiano dell’artista. A questo proposito si pensa che la modella per la Venere sia Flaminia Triva, pittrice e amante di Velázquez durante i suoi soggiorni a Roma.

Un nudo così sfacciatamente erotico, nonostante il tentativo di dissimularlo attraverso il tema mitologico, era considerato osceno se non addirittura illegale nella Spagna seicentesca. In quel periodo dominava nel paese l’Inquisizione di Torquemada, passata alla storia per le feroci persecuzioni contro chiunque non rispettasse i rigidi dogmi della Controriforma. Per questo non abbiamo notizie sicure sui primi passaggi di proprietà del dipinto, omesso negli inventari per non avere noie con la legge, e per non rischiare di vederlo bruciare, come accaduto a molti nudi dell’arte spagnola del tempo, comprese due opere realizzate da Velázquez stesso.

Dalle mani della famiglia de Haro la Venere andò forzatamente al nuovo favorito della corte di Spagna, Manuel Godoy, che affiancò al quadro di Velázquez l’altro celebre nudo dell’arte moderna spagnola: la Maja Desnuda di Goya. Le due opere, insieme ad altre stampe e dipinti di carattere erotico, erano conservate nel gabinetto privato di Godoy, accessibile solo a pochi intimi e fidati.

Francisco Goya, Maja Desnuda, 1795-1800, Museo del Prado, Madrid

Fu proprio qui che i soldati francesi trovarono e requisirono il dipinto durante l’invasione napoleonica della Spagna. La Venere venne così donata al mercante d’arte britannico William Buchanan, che nel 1813 la portò in Inghilterra. Qui l’opera venne venduta al collezionista John Morrit, che ne fece una delle punte di diamante della sua pinacoteca a Rokeby Park, nello Yorkshire. Fu proprio dal nome della tenuta che la Venere prese il nome con cui è conosciuta oggi.

Nel 1906 la National Gallery di Londra acquistò il quadro, con l’aiuto di re Edoardo VII, che contribuì alle spese con una donazione anonima. Da allora la Venere dello scandalo sembra aver trovato il suo luogo sicuro, dove essere ammirata senza il timore del rogo. Oppure no?

Slasher Mary e il vandalismo delle suffraggette

Nel 1914 Mary Richardson, suffraggetta canadese, affondò nella tela un coltello da macellaio, accanendosi con svariati fendenti contro la schiena nuda della dea.

I tagli sul dipinto

Una volta arrestata la donna dichiarò “ho tentato di distruggere l’immagine di una delle donne più belle della storia mitologica in segno di protesta contro il Governo per aver distrutto la signora Pankhurst, il personaggio più affascinante della storia moderna“. La sua azione era motivata dall’arresto di Emmeline Pankhurst, fondatrice del movimento per il diritto di voto alle donne.

Un’altra motivazione che diede alla polizia fu che detestava “il modo in cui gli uomini guardavano l’opera a bocca spalancata tutto il giorno“. La Venere Rokeby nasce come figura pensata per il vouyerismo maschile, priva di connotati reali che la definiscano, ma creata per risvegliare le fantasie erotiche dell’osservatore, nel Seicento come oggi.

Mary Richardson, ex studentessa d’arte, venne condannata a sei mesi di prigione, mentre il dipinto venne restaurato in soli tre mesi e rimesso in esposizione. Questa volta con uno spesso vetro a proteggerlo. Almeno fino a lunedì 6 novembre 2023.

Laureata in Arti, Patrimoni e Mercati nel 2019, scrive di arte, cinema e lifestyle da diversi anni per diverse testate online, tra cui Milano Weekend, Artslife e Trend Online. Nel 2021 fonda Art Shapes per dare voce a chiunque voglia esplorare tutte le forme dell'arte