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Cinema

Un altro giro: inno alla vita senza moralismi. La nostra recensione5 minuti di lettura

Quattro amici, un esperimento: aumentare il proprio successo lavorativo e migliorare la vita familiare mantenendo un tasso alcolico nel sangue dello 0,5%. Su queste basi poggia il geniale Un altro giro di Thomas Vinterberg, film danese vincitore dell’Oscar come Miglior film straniero da poco approdato nelle sale italiane.

Delle basi che fanno senza dubbio sorridere, così come fa l’intero film per tutta la sua durata. Le risate sono aperte, ma con una sfumatura amara sull’incertezza dei risvolti drammatici dietro l’angolo. Si ride per qualcosa che si sa sbagliata e che lentamente si riflette sulle vite dei protagonisti, capitanati da un Mads Mikkelsen mai visto prima, in una delle sue migliori interpretazioni, se non la migliore in assoluto. Si ride di gioia per il collettivo inno alla vita che si rivela questo film.

Finn Skårderud e la teoria del deficit alcolico

Quattro professori di liceo uniti da una profonda amicizia si guardano in faccia e si rendono conto di quanto le loro vite siano piatte, noiose e prive di colore. Matrimoni trascinati, studenti che li reputano incapaci e giornate tutte uguali. Finché a Nicolaj (Magnus Millang) viene un’idea: provare la teoria (realmente esistente) del filosofo norvegese Finn Skårderud: ogni essere umano nasce con un deficit alcolico nel sangue dello 0,5%, che gli impedisce di godere appieno della vita e di avere successo nel lavoro e nelle relazioni.

Tommy (Thomas Bo Larsen) e la sua squadra di piccoli calciatori

Inizialmente le cose vanno alla grande: Martin (Mads Mikkelsen) diventa l’idolo dei suoi studenti, organizzando lezioni interattive, divertenti e interessanti, mentre gli altri colleghi sperimentano finalmente l’attenzione dei loro allievi, suscitandone anche l’affetto sincero, come l’adorabile squadra di pulcini allenata da Tommy (Thomas Bo Larsen).

Tutto va talmente bene che è ora di alzare l’asticella, elevando il tasso alcolico e provando a fissare i propri limiti, che si rivelano essere nettamente diversi per tutti loro, con risultati che portano a una presa di coscienza che sfocia nel trascinante finale, in cui si celebra la pura gioia di essere vivi.

Un inno alla vita, provocatorio e liberatore

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Martin (Mads Mikkelsen) in una scena del film

Un altro giro nasce in un paese dove l’alcolismo e la depressione sono problemi seri e profondamente percepiti. Questo però non deve portare alla facile demonizzazione dell’alcol, allontanandosi completamente dalla deriva moralista che un film simile poteva portare. Pur ammettendo le conseguenze tragiche dell’abuso, il film regala un finale liberatorio: un vero inno alla giovinezza e alla vita, in cui si celebra il libero arbitrio dell’uomo e la vitalità riconquistata dal brivido dato dall’aver osato, da aver superato i propri limiti fissando quali sono e assumendosi la responsabilità delle proprie azioni.

Si tratta di un film serissimo dal quale si esce felici e consapevoli: il proibizionismo non è la soluzione e l’alcolismo non è la risposta. Bere non rende automaticamente dei reietti o delle superstar, ma fa parte della gioia collettiva di vivere e celebrare momenti che resteranno nella memoria come trasgressivi, proprio perché non quotidiani.

Cast e regia in stato di grazia

Thomas Vinterberg propone un film che non lascia mai indifferenti: dalle soluzioni registiche efficaci come la presentazione grafica del tasso alcolico e dei messaggi scambiati tra i protagonisti fino alla sottile ironia di proporre come musiche ricorrenti l’inno nazionale danese e canzoni patriottiche della “Terra di Freya”. Alla premiazione degli Oscar il regista ha dedicato la vittoria alla figlia, scomparsa a 19 anni per un incidente d’auto, avvenuto all’inizio delle riprese. La sua morte poteva dare alla storia un tono più cupo, mentre si è rivelata la chiave di volta per celebrare la vita e la sua bellezza. Il regista ha scelto di onorare così la figlia Ida, che per prima aveva creduto al progetto.

Il cast è scelto con cura e si veste della storia facendola propria. Nei loro occhi si legge senza maschera la voglia di esserci, nata grazie all’espediente del regista e sceneggiatore di scrivere la storia sugli attori che desidera in scena, per rendere il film il più possibile cucito addosso al cast. Sopra tutti lo dimostra Mads Mikkelsen, con una scena finale che resterà nella storia del cinema.

Non va nemmeno sottovalutato il mettere in scena l’ubriachezza nelle sue varie fasi, qui esplorate con metodo e rigore scientifici. I quattro protagonisti passano da essere brilli a essere completamente distrutti, con tutte le sfumature che ci sono nel mezzo. L’alcol diventa così il quinto protagonista della pellicola, analizzato senza il filtro della morale puritana, che tanto spaventa nel remake americano già in lavorazione e di cui francamente non si sente assolutamente la necessità.

Laureata in Arti, Patrimoni e Mercati nel 2019, scrive di arte, cinema e lifestyle da diversi anni per diverse testate online, tra cui Milano Weekend, Artslife e Trend Online. Nel 2021 fonda Art Shapes per dare voce a chiunque voglia esplorare tutte le forme dell'arte