
Top Gun: Maverick. La recensione del sequel del cult anni Ottanta5 minuti di lettura
L’inizio dell’estate 2022 coincide con l’arrivo in sala di un sequel atteso da tempo. La realizzazione di Top Gun: Maverick, séguito del primo film del 1986, è avvenuta all’interno di un clima di scetticismo e incredulità. L’assenza del regista Tony Scott e la distanza temporale così ampia dal primo film con Tom Cruise hanno posto alcune criticità.
Il sequel con, tra gli altri, Jennifer Connelly, Ed Harris e Miles Teller sarà stato all’altezza delle aspettative? È possibile dopo 36 anni costruire una trama filmica suggestiva e convincente, rispetto al primo film che è stato un successo di critica e di pubblico?
Trent’anni dopo…
Pete Mitchell (Tom Cruise) alias ‘Maverick’ non è più un pilota Top Gun, ma collauda aerei per conto della Marina americana, la US Navy. Molto tempo è passato dai fatti del primo film e Maverick ha scelto di non fare il salto di carriera: è rimasto capitano, un grado che gli consente di mantenere il ruolo di pilota.
Da un giorno all’altro Maverick viene misteriosamente richiamato a San Diego, California, in cui si trova la sede principale della United States Navy Fighter Weapons School, dove vengono formati e addestrati i migliori piloti americani, i Top Gun.
Al suo arrivo il mistero è risolto: il vecchio compagno di accademia Tom Kazinsky (Val Kilmer), alias ‘Iceman’, è il comandante della base militare, in questione, a San Diego. Iceman affida a Maverick l’incarico di addestrare le nuove leve di piloti Top Gun, affinché siano in grado di intraprendere una rischiosa e imminente missione segreta.
Maverick è combattuto. Non sa quale decisione prendere. Il precedente confronto con il retroammiraglio Cain (Ed. Harris) è stato freddo e lapidario: ormai la Marina americana non ha più bisogno di piloti dotati, ma sprovveduti e avventati come Maverick; le tecnologie artificiali e i droni sostituiranno, presto e in modo completo, il pilota umano.
Il capitano Mitchel però viene spronato dall’amico Iceman, il quale è convinto che Maverick possa trasformare i giovani piloti in veri Top Gun, soprattuto sul piano umano. Incerto e titubante Maverick accetta l’incarico, consapevole che la strada sarebbe stata tutta in salita.

Un nuovo incarico, un nuovo ruolo
Il primo dislivello infatti è proprio quello del ruolo dell’insegnante: tale posizione prevede che il capitano non possa più volare, ma permetta ai nuovi piloti di farlo al posto suo, di vivere le esperienze che Maverick ha compiuto trent’anni prima.
La relazione maestro-discepolo è la spina dorsale tematica ed emotiva di Top Gun: Maverick. Il tempo passa inesorabilmente per tutti, trasforma le cose e le persone. Colui che per anni è stato l’alunno, ad un certo punto potrebbe trovarsi dalla parte dell’insegnante, un’insegnante che ha interiorizzato l’esperienza acquisita sul campo e ora può travasarla come insegnamenti, nozioni e consigli ai nuovi alunni.

Maverick non pensa di poter fare l’insegnante. Desidera ancora volare e non può insegnarlo alle giovani leve. Il pilota di aerei non è un mestiere per lui, è la sua identità.
L’impatto con i ragazzi è brusco. Uno di loro Bradley Bradshaw (Miles Teller), alias ‘Booster’ è il figlio di un amico di Maverick ed ex pilota, morto durante un volo compiuto insieme a Maverick molti anni prima. Booster ha sempre incolpato Maverick dell’accaduto. E Maverick ha sempre vissuto che un senso di colpa ingiustificato e irrisolto.
La missione segreta richiede una strategia delicata: in pochissimi minuti i piloti devono percorrere un tragitto pieno di ostacoli, volando a bassa quota e senza farsi scoprire dai nemici. L’obiettivo deve essere neutralizzato rispettando tempi precisi e con una coordinazione impeccabile.

Maverick inizia a conoscere gli allievi singolarmente e si rende conto di quanto il lavoro sul lato umano ed emotivo sia di estrema importanza, per rendere dei bravi piloti, piloti impavidi e d’eccellenza. Il ritorno a San Diego è anche un’occasione per Maverick per incontrare le sua vecchia fiamma di gioventù Penny Benjamin (Jennifer Connelly).
Dietro alle quinte
Il regista Joseph Kosinski non tradisce l’anima del primo film di Scott. Maverick è ben fatto e compatto. Due ore piene che si gustano davanti al grande schermo, seguendo e partecipando emotivamente sia ai momenti di alta tensione, che a quelli più dimessi e pacati. Tom Cruise è un attore d’azione e anche qui non si smentisce: attira su di sé l’attenzione dello spettatore, il quale sa che ogni sua mossa nasconde una piacevole sorpresa.

Le scene di volo sono montate con perizia ed estro notevoli: il ritmo è sempre alto e sembra di condividere con il pilota il posto sul velivolo. La fotografia e la musica sono fedeli al primo film. La mano del compositore Hans Zimmer è meravigliosamente presente e il film è incorniciato dalla calda Hold my hand di Lady Gaga.
Un film che avvince, convince, nonostante qualche surreale risvolto della trama, e sorprende. Talvolta i sequel rischiano di impoverire la trama del primo film, ma in questo caso il suo ricordo è riportato in superficie in modo efficace, lasciando un meritatissimo posto alla formazione del nuovo ricordo chiamato Top Gun: Maverick 2022.

