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Cinema

The Whale: simboli e significati del film con Brendan Fraser11 minuti di lettura

ATTENZIONE: L’articolo contiene spoiler

Da qualche giorno ormai è arrivato in sala l’ultimo film di Darren Aronofsky, un regista che ha frequentato vari generi vestendoli tutti da thriller psicologico, facendo riflettere il pubblico sul potere della macchina da presa e su quello dei singoli sguardi che interpretano la realtà e la rendono vera. 

I ritratti, i corpi, la deformazione e l’eccesso sono la cifra stilistica di questo autore che, dopo il capolavoro con Natalie Portman Il cigno nero, si conferma un grande artista con Brendan Fraser in The Whale.

Moby Dick  o La balena

Charlie è obeso. È questo il fulcro della storia. Charlie è obeso e sta per morire, finalmente. Insofferente egli stesso per la forma in cui versa, per la sorte che si è scelto, per il disgusto che prova per sé stesso, Charlie sta per morire e nel tempo che gli rimane ha bisogno di sapere che “almeno una cosa buona nella mia vita l’ho fatta”.

L’ex moglie alcolizzata lo ha tagliato fuori dalla sua vita e da quella di Ellie, la loro figlia di 8 anni, nel momento in cui Charlie si è innamorato di Alan un nuovo studente del suo corso di scrittura online. Ora Ellie è arrabbiata, è delusa, è cattiva nei confronti di quest’uomo che ha preferito un estraneo a lei, che l’ha abbandonata e che poteva “mandare dei soldi in più”. Così Charlie le promette l’eredità se solo lei decidesse di passare del tempo insieme, ovviamente Ellie accetta e, a mio parere, lo fa solo per i 120.000 dollari. 

Liz

Liz è sempre lì per lui come una madre opprimente, lo lava, lo cura, lo nutre troppo, cercando di saziare il suo stesso senso di colpa per non aver sfamato il  defunto fratello Alan, morto suicida e vittima del rifiuto da parte del padre e della comunità cristiana a causa della sua storia d’amore con il professore.

Liz caccia via tutti, allontana Ellie e accusa Charlie alla ex moglie così che la figlia non verrà più a fargli visita, urla in faccia a Thomas, un missionario della chiesa che ha rifiutato Alan, perché solo lei può salvare Charlie, solo lei può prendersene cura procurandogli il pollo fritto e due panini con le polpette. 

E intanto Charlie si aggira lentamente per la stanza, stazionando sul divano per leggere le tesine ipocrite dei suoi studenti e aspettare che il tempo passi, rifiutando i ricordi della felicità passata nella speranza che Dio non esista e che Alan non lo veda ridursi così. La balena è spiaggiata in un angolo del suo stesso ventre che inghiotte senza far differenza tutto quello che le capita.

Il teatro degli orrori

Tutta la storia, più o meno lineare e in un certo senso prevedibile, si svolge all’interno di una stanza: la cucina/salotto di Charlie. L’impostazione teatrale che Aranofsky ha scelto di mantenere deriva dalla pièce originale che per prima ha raccontato questa storia, scritta da Samuel D.Hunter che ha diretto anche la sceneggiatura del film.    

In questa stanza si concentra la vita di Charlie, non soltanto perché è qui che passa tutto il suo tempo ma anche perché questa è la stanza che conserva tutto e ci parla di lui direttamente e indirettamente, mostrandoci le sue abitudini e le sue passioni, passando dalla routine del lavoro all’intimità della masturazione.

Questa stanza è il suo palcoscenico, ritagliato in 4:3, dove gli altri personaggi passano e scorrono senza prendere mai la scena. Due momenti in particolare fanno capire quanto quello sia lo spazio adibito di Charlie: la lite tra Liz e Thomas, e la confessione di Thomas a Ellie. Entrambe queste scene sono ricchissime di pathos: la confessione di Liz sul suo passato da ribelle e l’impotenza nei confronti del fratello che si è lasciato morire di fame (al contrario di Charlie) fino a buttarsi da un ponte, è una scena molto schietta e povera che esce dal palco, si sposta fuori campo sul ballatoio, fuori dalla vita di Charlie perché non è di lui che si sta parlando.

Solo in questo momento conosciamo la vera natura di Liz che è tutt’altro che una santa infermiera: Liz ha proiettato l’immagine di Alan su Charlie, il suo interesse nei suoi confronti è puramente egoistico perché se riuscirà a salvarlo, a potarlo in ospedale, a farlo sopravvivere, sarà salvalei, avrà fatto una cosa buona nella sua vita. E questo egoismo resta fuori dalla pancia della balena, resta fuori dalla cucina/salotto di Charlie che arriva come deus ex machina per difendere il povero Thomas dalle urla della cognata.

Il ricatto di Ellie a Thomas è un altro momento off, la fuga dalla stanza principale verso la camera da letto immacolata sono i noiosissimi “capitoli sulla descrizione delle balene che l’autore inserisce per risparmiarci la miseria della sua vita almeno per un po’”. Una storia completamente esterna, che non è importante ai fini della trama, nemmeno ci importa di lui tanto da un momento all’altro Thomas sparirà. Ma è lì per mettere in pausa il dolore di Charlie e la pietà che potremmo provare per lui, dandoci una tregue e portandoci fuori.

Una scelta registica molto sottile e calibrata, come tutto il film: Aronofsky ha pensato tutto, profondamente, fino al dettaglio delle briciole sulla pancia di Charlie addormentato.

La luce spenta e il simbolismo dei personaggi

La pellicola è interamente intessuta di simbologia e metafore.

Si è già parlato di di Liz e del suo aiuto simbolico dato a Charlie e Alan come metafora dell’aiuto che avrebbe voluto dare a sé stessa, se ci pensiamo bene la sua sorte è la più triste perché fallisce tre volte: con Alan, con Charlie e con lei.

Ellie

Ellie, nella sua violenza verbale e ossessiva rabbia che scarica contro chiunque nel film, è il motore di tutta l’azione, il simbolo del rimorso di Charlie. Ellie incarna tutto quello che il padre ciccione vorrebbe: sincerità, sentimenti e bontà d’animo, anche se quest’ultima è sotterrata sotto 200 kg di brutte parole. Fin dalla prima scena, Ellie è la presenza salvifica per la vita di Charlie: il saggio su Moby Dick è vero, è sincero e non ha lo scopo di impressionare ma di esprimere un emozione e parlare agli altri. Questo saggio ossessiona il protagonista della pellicola che cerca di esprimersi e di salvare tutti gli altri per tutta la sua vita. Il rimorso di non averlo fatto lo soffoca, lo ha fatto diventare un obeso, una balena su un divano.

Alan si è ucciso e lui non ha potuto salvarlo, non è riuscito a fargli capire che il loro amore era sufficiente; la sua ex moglie è caduta vittima dell’alcol, non importa quante chiamate lui facesse e quanti soldi mandasse, lei non si è salvata perché “nessuno salva nessuno” in questo mondo. Ma Ellie è diversa, Ellie è onesta, Ellie è l’unica che ha potuto salvare mostrandole la veridicità del suo animo, mostrandole quanto lei stessa sia in grado di leggere il reale e trasformarlo in parola scritta, dimostrandole che la sincerità è capace di salvezza, soprattutto nella scena finale quando le parole di quel saggio su Moby Dick elevano lo spirito di un uomo morente inondato di luce divina che si alza dal divano andando in contro ad un probabile attacco cardiaco. 

Le due metafore meglio riuscite seppur brevissime e spiazzanti sono le metafore del mondo esterno: Dan e Thomas.

Dan

Dan è un fattorino che da tempo ormai porta la cena a domicilio a casa di Charlie, lasciando le pizze sul tavolino del ballatoio e prendendo i soldi dalla cassetta della posta. I due non si sono mai visti, si parlano attraverso i muri. Dan chiede sempre a Charlie se sia tutto ok e poi sene va per i fatti suoi. L’ultima volta decide di restare a guardare, per beccare in pieno il vampiro. Con sua grande sorpresa e pietà, il vampiro è un uomo semplice e semplicemente obeso, un reietto costretto nelle mura domestiche dalla vergogna che prova per sé stesso. I loro sguardi si incontrano per un istante e gli occhi di Dan sono gli occhi di chiunque, impietositi dall’immagine della miseria umana. 

Che non mi si venga con i commenti sulla grassofobia del film, qui si parla di un corpo malato, atterrito dalla depressione e dal senso di colpa, un corpo maltrattato, un corpo scempiato, con le piaghe, con la muffa, con le sacche di grasso diventate marroni. Un corpo insalubre che è stato condannato alla miseria da Charlie e dagli sguardi altrui. 

Thomas

Thomas è un missionario che arriva per caso a casa del protagonista e finge di voler portare il messaggio di salvezza. In realtà la salvezza la cerca per sé. Thomas è disgustato dal corpo e dalla condotta di Charlie, giudica negativamente la sua forma fisica e il suo amore omosessuale considerandolo depravato al punto che quando Charlie chiede il suo aiuto Thomas pensa subito a una performance sessuale alludendo ai gusti peccaminosi di lui.

In questo caso si parla di una chiesa di matrice cristiana, anche perché una caratteristica dello sceneggiatore, ma quello che Thomas mette in campo è lo sguardo accusatore della società che crede di sapere meglio di te ciò di cui hai bisogno, obbligandoti a una visiona estremizzante e spersonificata e facendoti sentire in colpa per quello che sei nascondendo la malizia dietro un finto perbenismo.

Charlie

Ultima ma non per importanza la metafora cristologica di cui si parlava all’inizio, che vede Charlie come il Redentore che utilizza gli ultimi giorni su questa terra per redimere quante più possibile anime in pena.

Il suono, l’angoscia, Aronofsky

Il regista di The Whale ha trasformato il dramma familiare in un thriller psicologico. Il merito va alla scelta delle luci basse, quasi oniriche che avvolgono l’intera scena e incupiscono l’atmosfera. Complice anche la pioggia costante che qualcuno ha definito “diluvio universale”, inserendolo nella metafora cristologica.

A luce soffusa e la natura sfuggevole dei personaggi che vanno e vengono lasciano la costante sensazione che qualcosa di terribile stia per succedere, da un momento all’altro, qualcosa potrebbe rompere la tranquillità e la monotonia del racconto. In realtà poi non succede niente se non il naturale proseguire delle cose, non c’è nessun serial killer dietro l’angolo o estremo gesto all’orizzonte.

The Whale

Tuttavia, tutti i minuti del film sono densi e pieni di quella carica ansiogena dei thriller di Aronofsky. In questo contesto si inseriscono i suoni del film amplificati fino quasi a risultare finti. Anche altre opere di questo regista riservano molto spazio per i rumori, pensiamo a Black Swan in cui lo scricchiolio delle ossa di Natalie Portman ci entra nella pelle e ci fa sentire con lei tutta la tensione della scena.

In The Whale il fischio che Charlie emette respirando non si spegne mai. Il rumore della pioggia sui vetri, i suoni dell’ambiente e soprattutto della bocca di Charlie che mastica e divora e ingurgita tutto quello che gli capita, acuiscono le sensazioni di disgusto e il fastidio per il corpo dilaniato che a sua volta dilania la nostra vista, stagliato lì in mezzo alla scena.

Emblematica la scena in cui Charlie si concede l’ultima grande abbuffata, il suono della saliva e dei morsi e dei respiri affannati oscurano il resto della scena che vuole essere allo steso tempo disperata e odiosa.

Il fantasma di Alan

Questo film, in tutta la sua grandezza letterale e metaforica, ti lascia una sensazione di angoscia e risentimento che non era messo in conto. Costantemente il protagonista ricerca la sincerità, l‘emozione e la sincerità ma perché? Perché sente che sta finendo e allora vorrebbe trovare un senso? Perché cerca l’espiazione? Perché vorrebbe tornare indietro.

In punto di morte il suo pensiero vola verso quell’ultima volta nell’oceano, quando con i piedi a mollo rifletteva su cosa fare e su come proseguire, con sua figlia ancora piccola sulla spiaggia. La presenza di Alan viene ricordata e richiamata per tutto il tempo del film da chiunque tranne che da Charlie, il suo ricordo è un peso di 220 kg che aleggia sulla sua testa, ma che vorrebbe lasciarsi indietro. Per questo le fotografie sono nascoste e la stanza da letto chiusa a chiave.

Charlie si trascina il senso di colpa e il rimorso e il rimpianto di scelte che sono state fatte e che lo hanno portato a quel momento, le scelte di due persone innamorate sinceramente ma che forse avrebbero potuto agire diversamente. Eppure i gusti di Charlie sono messi nero su bianco da subito con la scena della masturbazione, ma la sua mente vola sopra Alan, al di là di lui, lo anticipa e lo elimina e tutto quello che vuole è la luce e l’immensità di quell’oceano solitario che troppo tempo prima di lui aveva visto e che ha abbandonato per sempre in cambio di dolore.

Non lo diresti ma ho 26 anni. Sono siciliana e questo lo potresti dire dopo avermi sentita parlare! Vivo a Pavia dal 2016, qui ho fatto lettere e mi sono laureata e ora studio cinema, teatro e arte contemporanea alla magistrale. Ho scelto di scrivere quando ero piccola perché penso che a parlare sono bravi tutti e poi si sa: scripta manent. Sono la terza di quattro figli, ho due bellissimi cani e una piantina di aloe, mi piace leggere soprattutto in treno o nei cortili dell’università e ascoltare musica dalle mie cuffiette con il filo. Le tragedie greche a teatro sono un appuntamento fisso, come i thriller che guardo spesso coprendo gli occhi con le dita. Per le serie tv non c’è storia: bringe watching tutta la vita. Se dicessi che il mio quadro preferito è Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles, sarebbe troppo banale per questo scelgo Sogni di Vittorio Corcos.