
The Dark Side of the Moon, compie 50 anni il capolavoro dei Pink Floyd5 minuti di lettura
Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non ha ascoltato un brano di The Dark Side of the Moon. Nessuno eh… c’era da immaginarselo. Del resto è un disco che ha venduto più di 50 milioni di copie in mezzo secolo, rimasto quasi 19 anni nella Billboard 200. Un album che è arrivato alle orecchie e al cuore di milioni di persone nel mondo.
The Dark Side of the Moon, l’ottavo album dei Pink Floyd, compie quest’anno 50 anni tondi tondi (il 1 marzo uscì negli Stati Uniti, il 23 nel Regno Unito), una pietra miliare nella storia della musica, forse l’album più iconico del rock. A cominciare dalla copertina, la scomposizione dei colori da una luce bianca che entra in un prisma ideata da Storm Thorgerson e realizzata da George Hardie.
Per festeggiare l’anniversario dal 24 marzo sarà disponibile un ricco cofanetto dal titolo The Dark Side of the Moon 50th Anniversary con CD e vinile entrambi rimasterizzati, più un Blu-Ray e DVD audio con il mix originale 5.1 e le versioni stereo rimasterizzate.
Il lato oscuro dell’uomo

I Pink Floyd incidono The Dark Side of the Moon tra il maggio 1972 e il gennaio 1973. Reduci dal tour di Meddle e da nuovi suoni provati dal vivo, i Pink Floyd arrivano agli Abbey Road Studios di Londra per mettere in pratica queste sperimentazioni. Con l’apporto fondamentale dell’ingengere del suono Alan Parson, la band inglese utilizza tecniche di registrazione all’avanguardia per il periodo, come i multitraccia e il tape loop, una tecnica che manda in loop i nastri magnetici. Insieme alle innovazioni sonore e allo straordinario stato di forma compositiva della band, a splendere sono i testi di Roger Waters.
Il disco è un concept sui vari aspetti della vita umana. La nascita, l’invecchiamento, la morte. Ma anche, e soprattutto, i suoi lati oscuri: l’avidità, il pregiudizio, i disturbi mentali. L’uomo dunque, in tutte le sue sfaccettature. Con al centro il suo motore, il cuore.
Un viaggio tra i brani
Quel cuore battente che apre Speak to Me, un collage di suoni, voci, risate, urla (elementi che ritorneranno spesso nell’album) che esplodono per aprirsi in Breathe. Una ballata che descrive il riposo di una donna dopo il parto. Un invito rivolto al figlio a fermarsi ogni tanto e non farsi travolgere dalla velocità del quotidiano.
Velocità che trova sfogo in On the Run, brano strumentale sintetizzato dal VCS3 che ripropone un movimento di chitarra di David Gilmour realizzato nel tour precedente. Un breve ma significativo episodio che introduce Time, uno dei capolavori di tutta la discografia pinkfloydiana. Il ticchettio degli orologi, le sveglie che suonano all’improvviso, quell’intro strumentale oscuro che deflagra in una delle melodie più sognanti di tutti i tempi. Una gemma rara sul tempo che scorre impreziosito da un assolo magico di Gilmour. Cosa volere di più?

Ecco cosa: un attacco di piano di Richard Wright, l’arrivo successivo di una lap steel. Poi la detonazione: due colpi di rullante di Nick Mason e la voce di Clare Torry. Questa è The Great Gig in the Sky, uno strumentale sulla morte. Dopo la registrazione del pezzo la Torry ricevette un misero compenso di 60 sterline. Per tanto tempo la corista ha rivendicato la paternità del brano e, dopo 32 anni di battaglie legali, un giudice le ha dato ragione. Il 50% della canzone è roba sua. Una sentenza che l’ha resa milionaria.
L’uomo è il peggior animale
Si va al lato B e subito parte il suono di un registratore di cassa. Soldi che entrano, che escono, un rumore di monete ritmato e continuo: è Money. La linea di basso di Waters regge tutto il brano, un’accusa sull’avidità dell’uomo, sul suo rincorrere sempre la via del succeso, del guadagno, rendendolo peggiore rispetto agli altri animali. Poi è la volta di una ballad commovente, Us and Them. Interamente di Waters, la canzone è il dialogo di due soldati contrapposti in trincea. Un brano che si interroga sull’insensatezza della guerra.
Subito dopo tocca alla terza e ultima strumentale del disco, Any Colour You Like, un titolo che richiama la copertina e che fa da ponte tra Us and Them e Brain Damage, canzone che affronta il delicato tema della salute mentale. Un brano ispirato al mai dimenticato compagno Syd Barrett e ai suoi viaggi con l’LSD ma che abbraccia i problemi di chiunque. “C’è qualcuno nella mia testa, ma non sono io/E se la nuvola scoppia, un tuono nelle tue orecchie/Tu urli e nessuno pare sentirti” canta il bassista dei Pink Floyd. L’album si chiude con Eclipse, vera summa di tutto il lavoro. “Tutto quello che c’è adesso/ Tutto quello che non c’è più/ Tutto quello che ci sarà/ e ogni cosa sotto il sole è in sintonia/ ma il sole è eclissato dalla luna”. Eclipse, tra l’altro, era in lizza come titolo del disco.
Insomma, a dispetto del titolo The Dark Side of the Moon è un disco che illumina, scavalcando il tempo. Di un’attualità disarmante, guidato da arrangiamenti che sono diventati parte integrante non solo del rock, ma di tutta la nostra storia. In tanti devono qualcosa a quest’opera d’arte.
Piccola curiosità: Dark Side of the Moon era il nome di un disco del 1972 dei Medicine Head, band inglese rock blues che ebbe un discreto successo negli anni 60. E fu un flop di vendite clamoroso.

