
Squid Game effect, è da record?4 minuti di lettura
Squid Game è sulla bocca di tutti, complici anche i meme che, inevitabilmente, stanno spopolando sul web. In molti si sono convinti a proseguire nella visione della serie sud-coreana anche a seguito del secondo episodio, che si è rivelato un po’ meno hype (per usare il linguaggio di Internet).
Non ci si fida delle persone perché se lo meritano. Lo si fa perché non hai altri su cui contare.
Questa citazione la potremmo leggermente modificare in “Non si guarda Squid Game perché se lo merita. La si guarda perché non si ha altro da guardare“. Effettivamente, ammettiamolo, ultimamente Netflix ha fatto cilecca (escludendo le nuove stagioni di La casa di carta e Sex Education, che inevitabilmente abbiamo dovuto guardare).
Comunque, Squid Game ci apre a un mondo di serie TV orientali che non credevamo realizzabili o concepibili, perché no, non finisce qui. Una volta intrapreso questo cammino tortuoso ci troviamo di fronte a una serie di serie TV a tratti anche hardcore, parliamo di Alice in Borderland (cui si ispira in molte occasioni) Extracurricular, Monster… e molte altre. Ci sono stati anche dei rumor riguardo a un plagio per quanto riguarda il film As the Gods Will, che include una scena che richiama molto il primo gioco di Squid Game.
Squid Game è virale

Questa serie, nonostante sia composta da soli nove episodi, riesce a presentarci i protagonisti della narrazione abbastanza nel dettaglio. Così ci troviamo dal pensare che si trovino in questo posto semplicemente in quanto vittime dei loro vizi a conoscere le loro famiglie e la disgrazia che la povertà porta con sé, dispiacendoci per loro. Il protagonista, Seong Gi-hun, ci appare disperato ma vittima dei suoi stessi errori, quindi non lo giustifichiamo. Eppure ci affezioniamo e vediamo un’evoluzione del suo pensiero grazie al purgatorio emotivo (e fisico) che affronta nel corso della storia.
Seong Gi-hun si sveglia vestito con una tuta verde e bianca in una cella, lontano da tutto e da tutti, circondato da uomini vestiti di un rosso acceso (e qui si strizza l’occhio a La casa di carta) con maschere con stampati i simboli: cerchio, quadrato e triangolo. Le tute, come spiegato dal regista Hwang Dong-hyuk, rappresentano la perdita dell’identità dei partecipanti, che non sono più persone, bensì numeri. Mentre le figure rappresentate sulle maschere inevitabilmente rimandano al mondo dei gamer, il collegamento con la Playstation è immediato.
L’Oriente incontra l’Occidente
Non possiamo negarlo, Squid Game, sebbene sia made in Korea abbraccia molti aspetti della tradizione occidentale. Dal Frontman, che parla in inglese al telefono, passiamo alla struttura delle scale del palazzo all’interno del quale avvengono i giochi, richiama le scale impossibili di Esher (Relativity). L’arredamento, la forma e i colori del “palazzo” ricordano anche La Muralla Roja di Ricardo Bofill, un complesso di appartamenti postmoderno situato in Spagna.
Il gusto occidentale lo si ritrova anche nella struttura narrativa. Il regista iniziò a lavorare al progetto nel 2008 ma ricevette moltissimi rifiuti prima di approdare su Netflix. La serie per quanto sembri adattarsi al gusto del pubblico medio di Netflix emerge e stupisce nel torpore populista che ha caratterizzato molte delle proposte della piattaforma.

Parliamo di un successo incredibile, tanto che il proprietario del numero di telefono che compare all’inizio, dato al protagonista dal reclutatore interpretato da Gong-Yoo (uno dei più amati in Corea, e non solo) ha ricevuto una media di 4000 chiamate al giorno e un’offerta di 100 milioni di Won per cederne il possesso. E mentre Netflix cerca una soluzione l’uomo si trova di fronte a un dilemma etico all’altezza dello show.
Ma l’effetto Netflix non finisce qui. Grazie alla serie l’attrice che interpreta il giocatore n. 067, HoYeon Jung, è diventata la più seguita della Corea, con un totale di 13 milioni di follower su instagram. Insomma, ammiccando e strizzando l’occhio sicuramente si ottengono degli ottimi risultati, ma il rischio di perdere di mira l’obiettivo è dietro l’angolo.

