
Spencer: Diana come ognuno di noi. La recensione5 minuti di lettura
Pablo Larraín dirige Kirsten Stewart in un biopic su Lady Diana e i reali d’Inghilterra. Spencer viene presentato per la prima volta sul grande schermo il 3 settembre del 2021 in occasione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il film del regista cileno che in tale occasione concorre per la vittoria del Leone d’oro al miglior film, si distingue nel corso della stagione cinematografia per una nomination ai Golden Globe e una agli Oscar 2022 nella categoria miglior attrice protagonista.
Nella tenuta di campagna
Kristen Stewart non si aggiudica i premi, ma presta brillantemente il suo volto al personaggio, ormai storico, di Lady Diana, nata Diana Spencer principessa del Galles. Durante le vacanze di Natale la famiglia reale d’Inghilterra si ritrova, come tradizione consolidata, nella tenuta di campagna della regina a Sandringham, nel Norfolk.
Lo schieramento di cuochi è già pronto a preparare colazioni, pranzi e cene nelle cucine del palazzo, Carlo e i figli Harry e William sono già arrivati, seguiti dopo poco dalla regina; ma ancora qualcuno manca.
Nel frattempo lungo una desolata strada di campagna una macchina guidata da una donna sfreccia a tutta velocità. La donna al volante si perde e si ferma in una tavola calda per chiedere informazioni sulla sua méta. Tutto appare normale ma niente è come sembra; gli occhi dei clienti sono fissi su di lei. Non si tratta infatti di un semplice cliente, ma della principessa d’Inghilterra.
Tradizione e riti, le due gabbie di Diana

La presentazione del personaggio di Diana avviene in modo indiretto e straniato. Diana è lontano dalla tenuta e non sa come raggiungerla. O forse non vuole raggiungerla. Come mai è da sola e non è accompagnata da qualcuno? Come mai lungo la strada si ferma a recuperare un logoro cappotto appeso su uno spaventapasseri posto nel ben mezzo di un campo?
Questi sono gli interrogativi che affollano la mente dello spettatore già all’inizio del film.
Larraín definisce già i contorni emotivi e narrativi della pellicola: fuga, insofferenza, oppressione. Giunta alla tenuta Diana è accolta dal maggiordomo Gregory che la invita a pesarsi su una bilancia rudimentale; nessun membro della famiglia può sottrarsi alla tradizione secolare che impone l’obiettivo di ingrassare al termine delle tre giornate di festività.
L’ingresso nella tenuta coincide dunque con l’ineluttabilità della tradizione. «Nessuno è al di sopra della tradizione», ripete più volte il maggiordomo Gregory. Tradizione, obblighi e doveri di corte sono i principali motivi di sofferenza di Diana che è sempre in ‘ritardo’ rispetto all’orario dei pasti, l’unico momento in cui la famiglia reale è riunita.
Il confronto con Carlo

Il tradimento di Carlo, il suo amore adultero noto a tutti le rendono insostenibile la compagnia della famiglia del principe, che pone su di lei uno sguardo diffidente e critico. La vicinanza dei figli Harry e William è l’unica gradita e salvifica. I due ragazzi sono le sole presenze umane della casa che comprendono, a loro modo, la sua insofferenza: hanno freddo, nella tenuta si gela, la tradizione vuole che il riscaldamento non venga acceso e Diana condivide il freddo con loro.
Diana è costretta a indossare vestiti precisi e pensati per ogni parte della giornata e occasione; è costretta a portare e una collana di perle identica a quella dell’amante di Carlo. Il principe ha fatto ad entrambe il medesimo regalo.
E il confronto con il marito è impietoso. Carlo rivela il timore che Diana possa compiere gesti che suscitino scalpore a scapito della credibilità della famiglia reale; le svela il segreto della vita di corte, ovvero la necessità di offrire alla società un volto diverso dal proprio. In pubblico deve essere mostrata la versione falsa di sè stessi, quella che si presta ad essere fotografata. La versione vera invece, dopo aver imparato a fare ciò che odia, resta nascosta.
Anna Bolena e un destino già scritto?

L’atmosfera diventa sempre più allucinata e Diana durante il soggiorno natalizio continua ad avere visioni strane e i ricordi dell’infanzia felice affiorano in superficie; la lettura parallela di una biografia su Anna Bolena alimenta tali visioni. La moglie del re Enrico VIII, accusata di adulterio, era stata uccisa dal marito affinché egli potesse risposarsi.
Diana mette in scena dentro sé stessa la tragedia di Anna Bolena. È una catarsi. L’esperienza della moglie di Enrico VIII conferisce a Diana la forza per opporsi a tutte le costrizioni. Al culmine delle sue visioni la principessa del Galles si strappa la collana di perle e riprende in mano la sua vita.
Una favola da una tragedia reale
Il regista cileno sfodera una regia ossessiva e persecutoria: numerosi i primissimi piani sulla Stewart, insistendo sulle espressioni sofferte. Un dolore trattenuto che prima o poi esce.
La fotografia dai colori pastello, chiari e priva di contrasto acuisce i contorni quasi onirici del racconto. I movimenti di camera lenti e le inquadrature fisse con prospettiva centrale ricordano quelle di Kubrick in Shining: un po’ storia, un po’ biografia e un po’ thriller.
Larraín recupera dai fatti di cronaca alcune ‘verità’ sulla vita di Diana: il fatto che fosse ben voluta dalla società, che fosse ‘diversa’ da tutti gli altri, l’attaccamento di William nei suoi confronti e le rielabora in chiave autoriale. Non una trasposizione moderna della biografia di Diana, ma un racconto nuovo sulla tragedia di una donna e sulla sua rinascita.

