
Shilpa Gupta – Confini e oppressione alla Biennale 20194 minuti di lettura
In attesa della prossima edizione della Biennale D’Arte di Venezia, vogliamo parlarvi di una delle artiste che maggiormente ci ha colpito nel 2019: si tratta di Shilpa Gupta, presente con due opere “Untitled (2009)” e “For, in your tongue, I cannot fit”.
Shilpa Gupta
Shilpa Gupta nasce nel 1976 a Mumbai (India), dove studia scultura e dove vive e lavora tuttora. La sua arte difficilmente può essere definita in un’unica etichetta:
“La mia pratica è molto fluida. Lavoro con materiali del quotidiano. Uso suono, disegno, fotografia, video, scultura, performance. Non c’è una materia o una tecnica che prevalga sull’altra.”
Shilpa Gupta
Come si legge nella pagina dedicata alla sua presentazione sul sito della Biennale: “Shilpa Gupta si concentra sull’esistenza fisica e ideologica dei confini, svelandone le funzioni arbitrarie e insieme repressive. La sua pratica attinge alle aree interstiziali tra Stati-nazione, alle divisioni etnico-religiose e alle strutture di sorveglianza, tra i concetti di legale e illegale, appartenenza e isolamento. Le situazioni quotidiane vengono distillate in gesti concettuali concisi, sotto forma di testo, azione, oggetto e installazione attraverso cui Gupta affronta i poteri impercettibili che regolano le nostre vite in qualità di cittadini o di individui apolidi.”
Untitled, 2009
La prima opera di Gupta si trova al padiglione centrale dei Giardini. Un cancello di grandi dimensioni, simile a quello di sicurezza installati davanti a case private, sbatte ripetutamente e con forza contro il muro prima facendo delle crepe e poi danneggiandolo sempre di più e in continuazione.
Il cancello, qui, non ha valore positivo di tenere al sicuro, al contrario assume il significato di controllo e sorveglianza. La strana forma centrale, paragonata da Gupta a un “buco nel cervello”, diventa simbolo dei confini che opprimono e sono fonti di ingiustizia e disuguaglianza.

For, in your tongue, I cannot fit
La seconda delle due opere di Gupta, “For, in your tongue, I cannot fit”, è invece situata all’Arsenale. In una stanza buia e non particolarmente grande, quasi di passaggio tra altri spazi, il visitatore viene accolto da 100 microfoni sospesi su altrettante aste acuminate di metallo, ognuna delle quali infilza un foglio di carta. Ogni foglio riporta versi di poesie diverse.
Un’opera potente, di grande intensità emotiva e, allo stesso tempo, angosciante. Lo spazio in cui si trova l’installazione e dal riecheggiare quasi ossessivo dei versi dei poeti dissidenti scelti da Gupta, acuisce ancora di più questo sentimento.
Nel corso di un’ora, infatti, ogni microfono presente recita un frammento delle poesie, seguito subito dopo da tutti gli altri microfoni, che fanno da eco e amplificano la potenza dei versi, dando vita a una sorta di recitazione collettiva.

Poeti sovversivi e pericolosi: dare voce agli oppressi
I componimenti presenti sui fogli appartengono a 100 poeti. Appartenenti a diverse epoche e paesi, essi sono accomunati dal fatto di essere stati zittiti, imprigionati o giustiziati a causa delle proprie idee e opinioni.
Il titolo stesso dell’opera è ispirato a una poesia del poeta del XIV secolo Imadaddin Nasimi, vissuto in quello che oggi sarebbe l’Azerbaigian, incarcerato e ucciso per le proprie credenze religiose, contrarie alle dottrine dominanti dell’epoca.
Anche le altre poesie appartengono a poeti considerati dissidenti, sovversivi e pericolosi. Lo scritto più antico tra quelli presenti risale al VII secolo, ma la maggior parte è del XX secolo fino ai giorni nostri. Questa scelta riflette l’interesse dell’artista verso i problemi sociali e politici contemporanei, legati alla nascita di Stati-nazione e al posto che al loro interno occupano autodeterminazione, democrazia e diritti civili.


