
Sanremo Story: le canzoni del Festival che hanno lasciato il segno12 minuti di lettura
Come ogni anno Sanremo catalizza le attenzioni di milioni di italiani, invadendo le conversazioni sui social e nella vita di tutti i giorni. Si commentano siparietti imbarazzanti, outfit, monologhi più o meno necessari e solo in ultima istanza le canzoni. Sì, può apparire incredibile ma Sanremo è innanzitutto il Festival della musica italiana, e proprio di questa vorremo parlarvi.
La redazione di Art Shapes ha scelto le canzoni che in un modo o nell’altro hanno segnato la storia della kermesse nel corso degli anni e, perché no, anche quella della musica nazionalpopolare. Tra perle misconosciute e grandi classici, ecco alcuni tra i brani più iconici di 73 anni di Festival di Sanremo.
E non finisce mica il cielo (1982)
Mia Martini era già una giovane artista di successo, con alle spalle brani meravigliosi come l’intramontabile Minuetto, quando nel 1982 partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo. Il brano scelto per l’occasione è E non finisce mica il cielo, che vanta la penna del grande Ivano Fossati.
Non finisce mica il cielo dopo la perdita dell’amore, canta disperatamente Mia Martini, inseguendo una speranza. Quella di combattere quel vuoto senza senso che si deposita sul cuore dopo la fine di una relazione e che da lì sembra non volersi smuovere. Un dolore penoso, perchè reso ancora più inutile dalla sua unilateralità. E tutta questa sofferenza, tutta questa rabbia, Mia Martini la esprime tramite un’interpretazione straziante e meravigliosa, di un’intensità rara e difficile da spiegare a parole.
E non finisce mica il cielo
Anche se manchi tu
Sarà dolore o è sempre cielo
Fin dove vedo.
Chissà se avrò paura
O il senso della voglia di te
Se avrò una faccia pallida e sicura
Non ci sarà chi rida di me
Se cercherò qualcuno
Per ritornare in me
E non finisce mica il cielo nel 1982 non si aggiudica il podio dell’Ariston, ma la qualità del testo e della sua interpretazione convincono alcuni giornalisti a istituire e assegnare il Premio della Critica proprio a questo brano. Premio che dal 1996, l’anno successivo alla prematura scomparsa di Mia Martini, prende il suo nome.
Ilaria Prazzoli
L’amore (2008)
Era il lontano 2008 quando due giovani fratelli di Verona trionfavano nella sezione Giovani del Festival di Sanremo. Stiamo parlando di Luca e Diego Fainello, entrambi chitarra e voce del duo che ricorda il nome di un deserto al confine tra Stati Uniti e Messico: i Sonohra.
Da quell’anno in cui hanno timidamente calcato il prestigioso palco, sono cresciuti moltissimo professionalmente, sperimentando generi, vantando collaborazioni con artisti internazionali e facendo della loro passione per il vecchio blues e il buon rock ‘n roll il loro tratto distintivo.
Di quei giovani ragazzi che esordivano con L’amore, una canzone fresca e orecchiabile la cui melodia è introdotta dalle dolci note di un pianoforte, è rimasto un grande senso di umiltà e una voglia di continuare a crescere e reinventarsi, senza mai smettere di sperimentare.
L’amore è una canzone delicata, dal ritornello che colpisce: con la sua leggera malinconia, è dedicata al più nobile dei sentimenti, visto come qualcosa che tutti rincorriamo, ma che spesso ci sfugge.
Da allora ne sono state incise più versioni, tra cui una in inglese e una in spagnolo, e con diversi arrangiamenti, sintomo di una maturità artistica sia vocale che strumentale ‒ apprezzabile anche in molti altri brani e ancor più nei live ‒ che denota una ricercatezza e una padronanza degli strumenti musicali che contraddistingue il duo dal resto dei “competitor” all’interno del panorama nazionale.
Marta Immorlano
La leggenda di Cristalda e Pizzomunno (2018)
Max Gazzè è un vero habitué di Sanremo, con già cinque partecipazioni all’attivo quando, nel febbraio 2018, calca nuovamente il palco dell’Ariston con La leggenda di Cristalda e Pizzomunno, un brano di immensa dolcezza, legato a una leggenda pugliese risalente al XV secolo.
A Vieste, cittadina del Gargano, vivevano due giovani amanti: la bella Cristalda e Pizzomunno, pescatore desiderato da tutte le donne del villaggio, umane e non. Egli era infatti bramato dalle sirene che popolavano i mari dove il giovane usciva ogni notte a pescare. Nonostante le loro offerte, Pizzomunno aveva occhi solo per la sua Cristalda, che lo aspettava “in casa cantando“.
Le creature, accecate dalla gelosia, emersero dal mare alle spiagge di Vieste per rapire la ragazza e trascinarla in catene sul fondo dell’Adriatico. Pizzomunno, udite le urla di Cristalda accorse solo per vederla scomparire tra le onde. Il troppo dolore lo rese di pietra, ancora fermo sulla battigia.
E così la gente
Lo ammira
Da allora
Gigante
Di bianco calcare
Che aspetta tuttora
Il suo amore
Rapito
E mai più tornato!
Da allora Pizzomunno è fermo sulla spiaggia in forma di calanco di pietra, in attesa del ritorno della sua amata, che si verifica una sola notte all’anno, il 15 agosto.
La canzone è arrivata sesta nella classifica finale, nonostante il sontuoso arrangiamento orchestrale e il ritornello orecchiabile che ha subito colpito pubblico e critica. Un brano che ripesca dal folklore, che non sceglie la strada facile dell’amore sanremese con un testo elaborato e un titolo che invita alla scoperta. Nell’agosto del 2018 Gazzè eseguì La leggenda di Cristalda e Pizzomunno proprio davanti al bianco gigante di Vieste, occasione in cui la splendida città omaggiò il cantante con la cittadinanza onoraria.
Beatrice Curti
Non dimenticarti di me (1971)
Anno 1971, ventunesima edizione del Festival della canzone italiana. Nomi altisonanti come Endrigo, Nada, Al Bano, Dalla, Modugno (ma potrei andar avanti per altre tre righe buone), destinati a plasmare radicalmente e definitivamente la scena musicale italiana. Tra gli esordienti i Nomadi, complesso formatosi nel 1963 (ben sessant’anni fa) e capitanato dal carismatico frontman Augusto Daolio. La canzone che il gruppo di Novellara (RE) decide di proporre alla kermesse sanremese è una piccola gemma firmata dall’eclettico duo Mogol – Lavezzi.
Non dimenticarti di me, titolo tanto semplice, quanto calzante nell’indicare la proiezione di una paura che tutti, nel corso della vita, tendiamo ad incontrare. Il testo risulta un perfetto mix tra l’alternarsi delle stagioni e il conscio timore malinconico, da parte del protagonista, di far perdere di sé ciò che di più imperituro ci è dato tramandare: il ricordo. Destinataria della preghiera è una persona amata, probabilmente allontanatasi volontariamente dal personaggio, comunque pronto ad accoglierla nuovamente nella propria vita.
Quando il mondo si colora
E ritorna primavera
Io ti cerco, io ti chiamoEd ogni volta ti perdono
Si apre il cuore per gridare.Non dimenticarti di me
Non dimenticare il mio amor
Non dimenticarti di me.
Il live della band a Sanremo risulta magistrale: un basso deciso, crudo, perfettamente incalzato dalla calda, avvolgente ed estesa voce del compianto poeta emiliano. Impetuosi cambi di ritmo, guidati dalla tastiera del magistrale Giuseppe Carletti, vanno a completare un’opera pregna di significato che avrebbe sicuramente meritato (e meriterebbe tutt’ora) maggior attenzione.
Lorenzo Braschi
4/3/1943 (1971)
Lucio Dalla ha calcato svariate volte il palco del Festival di Sanremo e persino la sua ultima apparizione televisiva, nel 2012, è stata proprio lì, nei panni di cantante e direttore d’orchestra.
Al Festival di Sanremo 1971, Lucio Dalla presenta la splendida 4/3/1943, canzone che si classifica al terzo posto, ma che riceve sin da subito un enorme successo.
Spesso, visto il titolo che riprende la data di nascita del cantante, si è erroneamente pensato fosse una canzone autobiografica, tuttavia fu solo un nome dato all’ultimo momento. Inizialmente, infatti, venne intitolata Gesubambino, titolo giudicato però blasfemo visto il contenuto del testo, con la storia di un bambino frutto di un rapporto clandestino tra una giovane donna e un soldato alleato, di cui persino il nome era ignoto.
Il nome della canzone non fu l’unica cosa a subire censura, tant’è che una delle frasi più conosciute “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino” precedentemente era “e anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino”; non solo, la frase “mi aspettò come un dono d’amore fino dal primo mese” doveva essere “mi riconobbe subito proprio l’ultimo mese” e la parola Madonna fu sostituita con donna in “giocava a far la donna con il bimbo da fasciare”.
Insomma, pur subendo non poche modifiche, il capolavoro di Lucio Dalla, composto insieme all’autrice Paola Pollettino, è considerato tra le più importanti e significative canzoni dell’artista, amata anche in altre paesi, viste le diverse versioni pubblicate.
Fabiola Miccoli
Che sia benedetta (2017)
Nel 2017, dopo 29 anni, l’Ariston attendeva il ritorno di Fiorella Mannoia. Una voce inconfondibile, una sensibilità elegante, una presenza umana forte, sempre schierata socialmente anche al di sotto del palcoscenico.
Fiorella decide di partecipare con una canzone d’amore scritta, tra gli altri, dalla giovane Amara. Nonostante sia proprio l’amore uno dei temi che la canzone italiana affronta maggiormente, in ogni forma e modalità, con i suoi inizi, le sue fini, i momenti difficili, tra felicità e infelicità, l’amore cantato in “Che sia benedetta” è di una tipologia rara.
È l’unico amore che trascende i singoli: quello per la vita.
Al primo ascolto c’è chi ha gridato al buonismo, chi ha criticato la melodia per la mancata originalità, chi si è sentito preso in giro, in qualche modo, dalla carica di ottimismo. Al contrario, quest’inno all’esistenza non ne nasconde le contraddizioni, non rifiuta il tempo che scorre; è ben consapevole della sua testardaggine, della sua incoerenza, eppure ci invita a rispettarla profondamente, ci ricorda (sì, serve ancora e sempre farlo) che è la sola che abbiamo. In “questa piccola parentesi infinita” ciò che ci può salvare, tra sbagli e rimpianti, è la gratitudine per quello che rimane, per le seconde possibilità, per le risalite e per gli abbracci.
E così, “per quanto assurda e complessa ci sembri”, la vita si è conquistata il secondo posto a Sanremo 2017.
Rachele Bettinelli
Bentivoglio Angelina (kon tutto il mio amaro) (2001)
I Quintorigo, una delle band più originali e geniali del panorama rock italiano, portano alla 51esima edizione del Festival di Sanremo Bentivoglio Angelina, tra le più insolite della storia della kermesse.
Reduci dal Sanremo di due anni prima in cui suonarono Rospo, l’ensemble romagnolo porta all’Ariston una canzone complessa, magnetica, aliena dal contesto festivaliero. Il racconto di un uomo che uccide la sua amata Angelina nella “nella centosette doppia” di un albergo che profuma di “saponette e varechina“. Una storia agghiacciante, il cui punto di vista cambia spesso.
Dalla terza persona (…grida l’uomo nero!) al racconto del carnefice (“Bentivoglio Angelina, tu sei tutto per me“). Un uomo che nonostante l’omicidio non vuole perdere la sua amata, pentito dal suo gesto di gelosia (“…mai non volli colpire la tua fronte“) ma sicuro che il ricordo della sua amata Angelina resterà sempre con lui.
Musicalmente vario e dall’architettura sonora intricata, Bentivoglio Angelina viaggia su cambi di ritmo e arrangiamenti che danno l’idea dell’andamento della storia. La descrizione del luogo d’azione e la preparazione del gesto ferale sono accompagnate da un crescendo che poi si stempera in un motivo classico, da Trio Lescano, nel ritornello. La voce di John De Leo, poi, fa il resto grazie alla sua gamma vocale straordinariamente ricca.
Molti cronisti dell’epoca chiesero a De Leo se la canzone fosse ispirata da fatti di cronaca reali, ma la voce del complesso rispose: “Questa canzone non è cronaca ma melodramma“.
Vincitori del premio come miglior arrangiamento (e non poteva essere altrimenti), arrivarono 15esimi, alle spalle dei Bluvertigo, ultimi.
Luigi Maffei
Ciao amore ciao (1967)
Luigi Tenco si presenta al Sanremo del 1967 con Ciao amore ciao, che viene completamente stravolta poco prima dell’esibizione. Il testo, da accentuata critica alla guerra passa a crisi della classe contadina, costretta ad urbanizzarsi grazie al boom economico.
Non saper fare niente in un mondo che sa tutto
E non avere un soldo nemmeno per tornare
Il brano del cantautore genovese non venne apprezzato dalla giuria del Festival, arrivò appena al dodicesimo posto. Preso dallo sconforto poco prima di salire sul palco pronunciò la celebre frase, forse frutto della narrativa di Mike Buongiorno: “Questa è l’ultima volta…”
Quella notte Luigi Tenco fece esplodere un colpo dalla sua pistola, togliendosi la vita e lasciando un vuoto nel cuore degli italiani. Tenco fu uno dei fautori del 68′ italiano, trasformò la musica insieme alla scuola dei cantautori, parlò d’amore, di uguaglianza, di politica e del futuro, dando prospettiva ad una generazione che fino a qualche hanno prima era cresciuta nella tradizione più stringente.
Giacomo Curti

