
Salute mentale e industria musicale: a che punto siamo?4 minuti di lettura
Il 10 ottobre è la giornata mondiale della salute mentale, quest’anno dedicata al tema “Make Mental Health & Well-Being for All a Global Priority”, quindi cogliamo la palla al balzo per fare il punto della situazione relativo all’industria musicale.
Il benessere mentale è un tema di interesse collettivo, eppure quanto mai sottovalutato nella società contemporanea. I dati del World Mental Health Report fotografano una realtà che ci si ostina a non voler vedere. Nel mondo quasi una 1 persona su 8 soffre di un disturbo mentale. Il 31% dei casi totali è correlato all’ansia, mentre il 28,9% lotta contro la depressione.
Attanagliati da crisi climatica ed energetica, precarietà professionale, incertezza per il futuro e preoccupazioni finanziarie, si fa strada un disagio significativo, accentuato dalle conseguenze psicologiche della pandemia e da relazioni interpersonali sempre più rarefatte e mediate da strumenti tecnologici.
E il mondo della musica non fa eccezione, anzi. Uno studio condotto dall’Università di Westminster e MusicTank ha rilevato che il 71,1% dei 2.211 musicisti professionisti intervistati ha sperimentato attacchi di panico e/o alti livelli di ansia e il 68,5% ha sofferto di depressione. L’imprevedibilità della carriera e l’instabilità finanziaria risultano tra le prime cause di disagio.
Artisti e salute mentale

La figura dell’artista viene spesso associata allo stereotipo del “genio torturato”, funambolo dal precario equilibrio. Ma la realtà è diversa da questa idea romanticizzata e ben più insidiosa. I musicisti sono sottoposti a uno stress fisico, psicologico ed emotivo.
Affrontano tour e circuiti promozionali dai ritmi serrati, continui trasferimenti e cambi di alloggio, lontano dai propri punti di riferimento. Con il calo delle vendite degli album e le etichette discografiche che incassano gran parte delle entrate dello streaming, non resta che puntare sui live sempre più frequenti. Ciò ovviamente non agevola l’equilibrio tra lavoro e vita privata e neppure il mantenimento di una routine salutare, a partire dal sonno, alimentazione e attività fisica.
Tuttavia, per molti musicisti indipendenti i concerti rappresentano una fonte di sostentamento economico a cui non è possibile rinunciare, anche a costo di sentirsi isolati, mentalmente o fisicamente esausti. Il ritorno alla quotidianità ha effetti diversi. Alcuni di essi riportano difficoltà a relazionarsi con persone che hanno uno stile di vita più stabile e problematiche completamente differenti dalle loro, mentre altri trovano le normali attività banali e insoddisfacenti, lontane dai picchi di adrenalina dei live.
Poi vi è la richiesta pressante di essere sempre performanti, all’altezza delle aspettative dei fan e dell’entourage. Però nella vita non si è sempre al top e reggere tale pressione non è semplice. Ma “the show must go on” e sovente la salute mentale di musicisti e frontman passa in secondo piano, a favore del business.
La sofferenza psicologica, talvolta abbinata alla dipendenza da sostanze stupefacenti, alcolismo o abuso di farmaci, ha portato ad una sequela allarmante di suicidi. Solo negli ultimi anni sono scomparsi David Berman dei Silver Jews, Keith Flint dei Prodigy, dj Avicii, Chris Cornell dei Soundgarden e Chester Bennington dei Linkin Park.
Il vento sta cambiando

Sono sempre di più gli artisti che affrontano pubblicamente, non solo nei testi dei loro brani, il tema della salute mentale, prendendo posizioni nette o condividendo la propria storia personale senza tabù. Lo ha fatto il cantante belga Stromae, tornato sulla scena dopo anni di pausa con il brano “Enfer”, parlando sul canale TF1 della sua vulnerabilità.
Invece Billy Corgan, frontman degli Smashing Pumpkins, in una recente intervista ha dichiarato:
“Non so se puoi essere felice nel mondo della musica perché il business della musica è progettato per incasinarti la testa. Pensate a tutte le persone che la mia generazione ha perso solo a causa della dipendenza e del suicidio. È una parodia che non ci fossero più sistemi di supporto intorno a quegli artisti. Non intendo gettare ombra su nessuno. So solo come funziona il business. È uno sfruttamento”.
E se l’industria musicale accelera nella ripresa post pandemica, giovani star si fermano, annullando o posticipando le date delle tournée e dando priorità al loro benessere psicofisico. È il caso di Arlo Parks, Justin Bieber, Demi Lovato, Shawn Mendes e tanti altri.
Nel frattempo cresce il numero delle realtà che offrono supporto psicologico a musicisti e addetti ai lavori dell’industria musicale. Ad esempio il servizio Music Minds Matter promosso da Help Musicians, a sostegno della comunità del Regno Unito. Oppure il progetto tutto italiano Restart – A Safe Space for Music Minds, che ha lanciato la campagna “It’s ok to not be ok” contro lo stigma.

