
Qui rido io: la recensione del film con Toni Servillo su Eduardo Scarpetta4 minuti di lettura
Il 9 settembre, dopo essere stato presentato al Festival del Cinema di Venezia, è uscito al cinema Qui rido io, ritratto dell’attore Eduardo Scarpetta, padre fondatore del teatro moderno napoletano sia in senso metaforico che in senso fisico, dato che molti dei suoi figli sono diventati alcuni degli interpreti più importanti del cinema e del teatro dialettale. Due in particolare: Peppino e Eduardo de Filippo.
Toni Servillo, sotto la regia di Mario Martone, prende la difficilissima responsabilità di mettere in scena un personaggio iconico della tradizione popolare, che con il suo Felice Sciosciammocca mise in pensione persino Pulcinella. L’attore si muove sul filo dei registri recitativi, mostrando la doppia personalità di Scarpetta: l’istrionico mattatore da palcoscenico e l’uomo tormentato, che vede messo a rischio il più grande dei suoi amori: la fama.
Qui rido io: storie dimenticate

Il più grande pregio della pellicola di Martone è ridare vita per il grande pubblico a una storia che si era persa nelle pieghe del tempo, restando confinata a una venerazione popolare che con il passare degli anni si sta via via spegnendo, concentrandosi su altri miti che a Eduardo Scarpetta devono molto, se non tutto.
Il film si inserisce nella grande tribù degli Scarpetta, nel cuore di una Napoli all’alba del Novecento. Una casa dove moglie, amanti e figli più o meno legittimi mangiano allo stesso tavolo al cui capo siede Eduardo, direttore e proprietario della compagnia e delle vite di tutti i presenti.
Tutto, in casa Scarpetta passa dal teatro: dal passaggio all’età adulta del primogenito all’introduzione dei bambini più piccoli, nella speranza che possano finalmente essere riconosciuti con il cognome del padre. Non c’è scelta: la gerarchia della famiglia scorre tra i personaggi di Miseria e Nobiltà, aspettando lo scettro (e il cilindro) di Felice Sciosciammocca.

In questo delicato equilibrio si inserisce la vicenda che darà corpo al film: Scarpetta decide di mettere in scena una parodia comica del dramma La Figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio, recitato in napoletano. Il Vate, una volta letto il copione, gradisce enormemente la parodia, dando la propria benedizione alla messa in scena.
Il parere del poeta cambia però drasticamente nel momento in cui la parodia si rivela un terribile fiasco, fomentato da un circolo di intellettuali napoletani fortemente offesi da Il Figlio di Iorio. La vicenda finirà in tribunale, scatenando una serie di eventi che rischieranno seriamente di mettere la parola fine alla compagnia teatrale di Scarpetta e al riconoscimento stesso della comicità come forma d’arte.
Toni Servillo ancora una volta commuove e diverte
Qui rido io ruota intorno al personaggio di Eduardo Scarpetta e alla sublime interpretazione di Toni Servillo, che dà all’attore ormai anziano una vena di tragedia, conscio di essere ormai una maschera al termine della sua gloria, come fu per Pulcinella.
Il registro recitativo passa dall’enfasi della commedia teatrale napoletana, fatta di espressioni esagerate, lunghe pause e movenze eccessive allo Scarpetta sceso dal palco: un uomo sanguigno, ma stanco e assillato dalla paranoia di scomparire per sempre. Le luci sono sempre sul capofamiglia, mentre in penombra i figli sgomitano per avere la sua attenzione, o semplicemente guadagnarsi un posto nel mondo.
Nell’ombra si muove il più grande, Vincenzo (interpretato da Eduardo Scarpetta, nipote e omonimo del grande attore) che vede nel cinema la possibilità di diventare qualcuno e non vivere schiacciato dall’eredità di Felice Sciosciammocca. A cercare una loro identità ci sono anche i tre piccoli De Filippo, mai riconosciuti dal padre ingombrante: Eduardo, Titina e Peppino, quest’ultimo allontanato dalla famiglia e mandato a balia in campagna, distante dalla vita fastosa di Napoli a cui farà fatica ad abituarsi.
Il rapporto tra i futuri simboli della napoletanità e l’ingombrante genitore non fu mai disteso. A distanza di molti anni dalla morte di Scarpetta, Eduardo de Filippo non volle mai parlare di lui come padre, limitandosi a dire che “era un grande attore”.
Un grande attore Eduardo Scarpetta lo fu di certo, tanto da diventare la fonte di ispirazione non solo per i figli, ma per intere generazioni di attori della commedia napoletana, da Totò a Massimo Troisi. Ancora oggi il luogo più amato da Scarpetta, villa La Santarella, riporta una frase iconica, specialmente se attribuita a un uomo che fece della risata la sua missione: “Qui rido io”.


