
Pinocchio: il teatro dei burattini di Guillermo Del Toro5 minuti di lettura
Se avete in mente una qualche storia di Pinocchio, il racconto di Collodi o una delle qualsiasi trasposizioni, dimenticatela proprio come ha fatto Del Toro. Tra perdita, alcolismo, non-espressività e pessimi rapporti padre-figlio, Pinocchio di Guillermo Del Toro si allontana dalla tradizione per raccontare tutta un’altra storia.
Pinocchio di Guillermo Del Toro
Partiamo dal fatto che il film si chiama proprio Pinocchio di Guillermo Del Toro. Fin da subito il regista ci tiene a farci sapere che questa non è la storia classica, o una delle tante, ma è la sua storia, è il suo Pinocchio. Dimentichiamo il Gatto e la Volpe, il Paese dei Balocchi e la Fata Turchina. Niente più abecedario né la scuola italiana appena fondata. Lasciamo da parte Mastro Ciliegia, che già poverino ha una notorietà di 10 minuti, e il Pesce Cane. Niente Melampo, niente Campo dei Miracoli.
Siamo negli anni Trenta, in un Nord Italia vicino Alessandria. Un paesino arroccato su una collina abitato da poca gente, tra cui Mastro Geppetto e suo figlio Carlo. A parte il fatto che Geppetto sembra il burattino di Babbo Natale e che è veramente troppo vecchio per avere un figlio di circa otto/dieci anni, i due sono legati da un profondo affetto e dalla voglia di fare sempre tutto insieme. Sono talmente tanto felici che passano le giornate a ripetersi quanto si vogliano bene e quanto siano importanti l’uno per l’altro.
Geppetto è il falegname del paesino impegnato nella realizzazione di un Crocifisso ligneo per la chiesa e proprio mentre padre e figlio vivono il loro iddillio arriva la guerra a guastare le feste: Carlo muore proprio in chiesa, guardando il crocifisso dritto negli occhi, colpito in pieno da una bomba sganciata “per alleggerire il carico”.
La nascita di Pinocchio
Geppetto seppellisce il figlio all’ombra di un pino che ha tutto il tempo di nascere e crescere prima che lui, già molto vecchio, muoia. Preso dalla rabbia e dall’alcolismo, il falegname decide di costruire suo figlio proprio dal legno di quel pino, che abbatte senza remore in circa due o tre secondi e intaglia in pochi minuti prima di cedere al vino e addormentarsi per terra dopo essere violentemente caduto dalle scale.
Come dicevo, dimentichiamo la Fata Turchina: un cherubino fatto di occhi fluttuanti (gli “spiriti del bosco”) con una maschera al posto del viso recita una simpatica filastrocca che dà vita – e nome – a Pinocchio, giusto per “rendere felice il povero Geppetto”.
Qui due parole spese per l’unico personaggio di cui valga la pena parlare: Sebastian J. Cricket. Il Grillo Parlante non è più un petulante so-tutto-io che infastidisce Pinocchio con un rimprovero dopo l’altro, ma un sir inglese, un intellettuale in giro per l’italia intento a scrivere le sue memorie. Trova riparo nel pino poco prima che Geppetto decida di tagliarlo e rimane all’interno del pezzo di legno mentre questo viene intagliato (davvero). Sir Cricket, infastidito dal trambusto, si rivolge al cherubino, dicendo che quella è casa sua e giustamente la risposta che ottiene è: “Fa in modo che si comporti bene e io a un certo punto esaudirò un tuo desiderio.” Onesto.

Padri e figli: storie che non volevamo davvero vedere
Il pretesto di Pinocchio sembra usato da Del Toro per raccontare brutti rapporti padre-figlio. La prima coppia disfunzionale è quella composta da Geppetto e Pinocchio: il vecchio falegname vorrebbe un figlio diverso, vorrebbe Carlo, Pinocchio è solo “un pesante fardello”.
Seconda coppia: il Podestà del paese schiaccia suo figlio Lucignolo (proprio lui) senza curarsi della sua volontà, lo porta in un campo di addestramento per giovani soldati (moderno Paese dei Balocchi? Davvero?) e gli ordina di uccidere il suo amico Pinocchio, chiamandolo “codardo” quando Lucignolo si rifiuta. Segue il quarto d’ora di notorietà dell’ex asinello che si ribella al padre dicendogli: “Non mi hai mai accettato per quello che sono.” Familiare?.
Ultima la coppia che scoppia: il Conte Volpe e Spazzatura. Si tratta della nuova, e tristissima, versione del Gatto e la Volpe, con un po’ di Mangiafuoco che non possiamo lasciare di lato. Il Conte Volpe ha il ruolo di padre nei confronti di Spazzatura, un scimmia malconcia e mezza cieca che a un certo punto si ribellerà e molto freudianamente ucciderà il padre-padrone.
Il passo con i tempi
L’eccezionalità registica di Del Toro non è messa in discussione. Il film è ben fatto e ben realizzato. Le atmosfere e i colori trasportano all’interno di una storia senza tempo che ha una parola per tutti. Le aggiunte alla sceneggiatura fanno sì che la storia di Pinocchio trovi il suo posto in un mondo molto diverso da quello di Collodi: in una società stringente che impone modelli e comportamenti, in cui non è la coscienza che ti guida ma lo spirito di iniziativa e di ribellione. I personaggi che entrano in contatto con Pinocchio assorbono la sua forza d’animo e il suo pensare fuori dagli schemi, riuscendo a autodeterminarsi e trovare la propria strada.
Sembrano tutti dei burattini, tutti intagliati fino ai minimi dettagli, tutti si muovo a scatti e si comportano come ci aspetteremmo. Tutti, tranne Pinocchio, che imperfetto e non-finito è entusiasta del mondo e della vita, buono e altruista fino alla morte.

