
Paganini tra storia e leggenda4 minuti di lettura
Il 27 maggio si ricorda la morte di uno tra i più grandi personaggi che hanno segnato il corso della storia musicale: Niccolò Paganini. Figura avvolta da un alone di mistero e leggenda, fu l’autore più significativo del primo Ottocento; ritenuto da Schumann e Liszt uno dei simboli del romanticismo, rivoluzionò la tecnica violinistica portandola ad un virtuosismo estremo, ma riuscì ad incanalare in questo nuovo linguaggio tutta la tradizione strumentale di cui era erede. I Concerti e i 24 Capricci per violino solo aprirono le porte al linguaggio romantico del nuovo secolo.
L’enfant prodige e la nuova tecnica

Nato nel 1782 a Genova, Paganini dimostrò il suo talento musicale d’eccezione intraprendendo giovanissimo, ad appena tredici anni, la carriera concertistica che lo porterà a calcare i palchi di tutte le più grandi città, italiane ed europee. Il pubblico dell’epoca e la critica musicale lo acclamarono come musicista prodigioso in tutti i teatri. E proprio il suo talento precoce, la tecnica straordinaria ed inimitabile, la novità della sua scrittura, portarono a delineare attorno a lui un profilo oscuro.
Nelle concitate tournées organizzate tra il 1828 e il 1831 a Vienna, Berlino, Parigi e Londra diffuse uno stile violinistico non più classico, ma dominato da forti contrasti dinamici e timbrici, velocità mai eseguite prima. Paganini consolidò nuovi colpi d’arco alternati a pizzicati con la mano sinistra, salti melodici tra ottave lontane sfruttando il registro acuto dello strumento, difficoltosi passaggi dominati da accordi a quattro corde. Il suo virtuosismo risultò talmente tanto spinto da modificare i parametri di una tecnica strumentale già complessa, che portava i nomi di Corelli, Vivaldi, Tartini e Viotti.
L’oscuro mistero del virtuoso

La sua vita spettacolare non poteva che far gravitare attorno al personaggio una serie di leggende, che lo vedono nei panni di assassino o di galeotto, ma anche coinvolto in un patto con il diavolo. Satana gli avrebbe permesso di suonare in quel modo del tutto fuori dalle possibilità umane. Il pubblico, ascoltando la produzione di armonici artificiali ed esecuzioni violentissime, immaginò l’associazione con il diavolo anche per impatto visivo. Infatti l’aspetto fisico e la fisionomia del volto dell’interprete erano consumati e deformati da moltissime malattie, tra cui la sifilide e la tubercolosi, che gli procurò la morte nel 1840.
Il mistero leggendario legato a Paganini non sfumò con i secoli, tanto che nel 1935 Mario Castelnuovo- Tedesco compose il Capriccio diabolico op. 85 a in omaggio a Paganini, ammiccando nel titolo alle credenze popolari. Non è un caso che l’opera in questione sia una composizione per chitarra. Paganini viene ricordato come maestro del violino, ma la sua storia ci racconta di un secondo amore, ovvero quello per la chitarra. Se il violino è lo strumento simbolo della vita pubblica e della sua straordinarietà leggendaria, la chitarra incarna la storia privata dell’autore, la poesia e l’ eleganza, le affezioni più intime dell’autore.
La chitarra di Paganini

La chitarra è una presenza costante nella produzione di Paganini. Oltre a prediligere lo strumento nei momenti di intrattenimento tra amici, Paganini agli inizi della sua prestigiosa carriera violinistica si occupò anche di dare vita ad un repertorio chitarristico altrettanto virtuoso. Si ricordano le Variazioni sul tema della Carmagnola (andate perdute), le 37 sonate, la Grand Sonata scritta per chitarra e violino, ma spesso eseguita per chitarra sola. Paganini utilizzò poi le potenzialità dello strumento nelle composizioni da camera (Quartetti per archi e chitarra), sia in relazione al timbro che al peso sonoro dello strumento.

La figura di Paganini vive, ancora oggi, della duplice natura del musicista. Da una parte la spettacolarizzazione virtuosistica e folgorante delle maggiori opere per violino, dall’altra la delicata personalità innocente e malinconica del pezzo breve per chitarra.

