
L’ombra di Caravaggio: quando l’arte incontra il cinema3 minuti di lettura
Uscito nelle sale il 3 novembre, L’ombra di Caravaggio ripercorre le tappe salienti della vita di
Michelangelo Merisi, delineando la figura di un uomo tormentato e del genio pittorico che lo
contraddistinse.
Un’idea lontana nel tempo
Forte di un cast internazionale, la pellicola vede, tra gli attori nostrani, Riccardo Scamarcio nei panni
dell’artista e Michele Placido nelle vesti dei cardinale del Monte, nonché alla regia. L’ambizioso progetto
del regista è il frutto di un amore, quello per Caravaggio, che affonda le sue radici nel 1966, quando
Michele Placido, giunto nella capitale da un paesino della Puglia, trovò nel quartiere di Campo de’ Fiori
una comunità di artisti emarginati per la quale provò subito un senso di appartenenza.
La sfida del maestro
Analogamente, il protagonista del film è un uomo dalle eccelse abilità artistiche che scende in mezzo al
popolo per cogliere il vero, quel vero che vive nella gente di strada, nei malfattori, nelle meretrici e nei
“poveri cristi”, come verranno più volte definiti nel corso del film.
La sfida che Caravaggio porta sulla tela è un vero e proprio affronto alla Chiesa di Roma del XVII
secolo, non pronta ad accettare le innovazioni ‒ potremmo dire provocatorie – proposte dall’artista.
Egli infatti, profondo conoscitore dei Vangeli, sceglieva coloro che erano relegati ai margini della
società come fonte d’ispirazione per i propri dipinti.

Così, ladri e prostitute si trasformavano in santi e vergini ‒ un approccio a dir poco sacrilego agli occhi delle autorità ecclesiastiche, che leggevano nelle opere del pittore maledetto pura blasfemia. Eppure, il genio di Caravaggio era sotto gli occhi di tutti, perfino della stessa Chiesa, sebbene questa condannasse la condotta scellerata e moralmente controversa dell’uomo.
Nella pellicola, l’eterna lotta tra sacro e profano si dispiega nel corso dell’intera storia, mostrandoci un
artista pronto a difendere la propria libertà creativa a ogni costo. Egli infatti, di fronte all’ordine di
pentirsi avanzato dal mondo religioso, afferma di non avere nulla di cui pentirsi, ma di voler
sperimentare con forme, colori ed espressioni, rappresentando il mondo sacro secondo i propri canoni
e rimanendo sempre fedele al suo principio di ispirazione alla realtà, fin nei suoi aspetti più crudi.
Dentro il film
Per la narrazione, il regista adotta l’espediente dell’indagine. Papa Paolo V conferisce a un cupo
servitore dello Stato – che si scoprirà essere l’ombra di Caravaggio, da cui il titolo del film ‒, l’incarico di
raccogliere testimonianze sul pittore, macchiatosi di un omicidio e per questo condannato a morte. Da
questi dialoghi tra l’Ombra e gli altri personaggi emerge a poco a poco la figura dell’artista-genio,
talentuoso e ribelle, in tutta la sua umanità.

Notevoli, nel film, la realizzazione dei costumi e la rappresentazione delle ambientazioni e delle scene,
non di rado crude e decisamente esplicite, che contribuiscono a rievocare lo spirito dell’epoca. Tuttavia,
il regista opta per una scelta al tempo stesso straniante e addomesticante – per prendere in prestito due
termini legati alla teoria della traduzione ‒ per la realizzazione dei dialoghi.
Lo spettatore si troverà infatti immerso in un’atmosfera seicentesca, ma con diversi personaggi che usano un marcato accento romano titpicamente contemporaneo. Se da un lato ciò rende più fruibile la storia, avvicinando il pubblico ai personaggi stessi, dall’altro fa venir meno quell’aderenza alla realtà linguistica del tempo. Ma d’altronde, come per gli scrittori, anche ai registi è concessa qualche licenza “poetica”.

