Art Shapes
musica-contro-guerra-min
Musica

Musica contro la guerra: canzoni di denuncia contro la barbarie del mondo9 minuti di lettura

Ci troviamo in un periodo storico davvero turbolento. Quando la pandemia sembrava essersi stabilizzata ecco arrivare all’orizzonte un altro fantasma che non volevamo mai più incontrare: quello della guerra.

L’invasione dell’Ucraina ci ha lasciato sgomenti e impotenti, travolti da una situazione enorme e terribile. Le informazioni corrono (a volte troppo) e non ci lasciano riprendere fiato. Quando cerchiamo di distrarci però siamo avvolti da un torpore, quasi un senso di colpa per non essere abbastanza preoccupati.

Come in tantissime altre occasioni della vita a venirci incontro è la musica. Per tanti anni la canzone d’autore ha raccontato gli orrori della guerra, partendo da un evento specifico o come azione umana. L’intera redazione di Art Shapes è tornata a riunirsi per raccogliere alcune tra le canzoni più belle ed emozionanti sul tema della guerra.

Zombie – Cranberries

Scritta nel 1994 da Dolores O’Rian, cantante dei Cranberries, è una canzone dove tutte le emozioni derivanti dal conflitto nell’Irlanda del Nord trovano sfogo. Emozioni che sono in qualche modo accentuate anche dal fatto che il gruppo è irlandese e che quindi sente da vicino gli eventi fi quegli anni. Il testo viene pensato e scritto dopo l’ennesima e tragica esplosione che ha caratterizzato il conflitto avvenuta a Warrington nel 1993. L’ordigno in questo caso fa due vittime, due bambini, di tre e dodici anni, e numerosi feriti. L’evento ebbe un grosso effetto su tutti e soprattutto su Dolores che sente l’urgenza, da cantante e da irlandese, di distanziarsi da quei terribili eventi. Considerata uno dei capisaldi della musica rock alternativa la canzone vuole sottolineare la tragica conseguenza che accompagna ogni conflitto, la morte di innocenti e bambini che quella guerra di sicuro non la volevano. 

Il mio nome è mai più – Ligabue, Jovanotti, Pelù

Era il 1999, esattamente 21 anni fa, quando tutte le emittenti radiofoniche italiane trasmettevano questa canzone cantata a tre voci, quelle di Luciano Ligabue, Lorenzo Jovanotti e Piero Pelù. Testo scritto e inciso in occasione dell’intervento della NATO nella guerra del Kosovo con lo scopo di raccogliere fondi da destinare a Emergency e a tutte le organizzazioni umanitarie che, in loco, prestavano soccorso; fu la canzone più venduta di quell’anno. Brano espressamente partigiano, nel senso che sceglie da che parte stare, si pone contro la guerra auspicando il dialogo e la pace che è l’unica vittoria -L’unico gesto in ogni senso- Che dà un peso al nostro vivere..”. Incredibilmente attuale.

Stefania Cennamo

Goodbye Blue Sky – Pink Floyd

Scritta nel 1979 da Roger Waters, bassista e cantante del gruppo fino al 1984, è un brano di “The Wall“.
Sul vinile originale, Goodbye Blue Sky introduce il lato 2 del primo disco. Il brano viene descritto come una sorta di riepilogo narrativo del lato 1: “Ricordare la propria infanzia ed esser pronti al resto della propria vita“.
L’autore scrive questo brano pensando alla guerra e a tutti gli uomini e le donne, spaventati, che combattono per “un mondo nuovo“.

Un mondo che nonostante tutto non cambia: “The flames are all gone, but the pain lingers on.”
Per Waters, la guerra, che gli ha portato via il padre, è un dolore che rimane. Questo brano vuole evidenziare il fatto che non ha importanza la fazione di appartenenza, tutti i soldati combattono sotto allo stesso cielo. Un cielo azzurro, che lentamente sbiadisce.

Andrea Manca

Africa – Wiyaala

Africa, pubblicata nel 2014, è un brano scritto e composto dalla cantautrice ghanese Wiyaala, collaboratrice di Unicef e da anni impegnata nell’attivismo sociale nel proprio paese.

La prima strofa del brano denuncia in modo chiaro e coinciso lo sfruttamento delle preziose risorse del continente, dilaniato da innumerevoli conflitti, che hanno interessato nazioni quali Angola, Sierra Leone, Liberia e Repubblica democratica del Congo, solo per citarne alcune.

“The land is good, the land is fine
gold we have, diamonds we mine
Yet we fight, we covered it all in blood
Tell me why we wallow in the mud
We cry for peace, Africa”

Il verso finale “Tell me why you fight”, scandito più volte dalla voce possente ed intensa di Wiyaala, risuona come un grido di dolore in nome della propria terra e dei suoi abitanti.

Rayana Angioletti

Dove l’aria è polvere – Laura Pausini 2004

Dove l’aria è polvere, è una canzone scritta da Laura Pausini e Antonio Galbiati nel 2004 per denunciare la guerra in Iraq. Attraverso la storia di un bambino che a causa del conflitto perse oltre che alla sua famiglia, anche le braccia, il brano ci pone delle domande alle quali tutti noi, oggi più che mai, siamo chiamati a rispondere.

Ma che cos’è la libertà?
E che significato ha? È il sole che non sorge mai?
È il buio addosso a noi?

“La vita non è un gioco e non si può più tollerare un mondo che insegna solo odio”, così in questi giorni la Pausini condivide sui social le sue riflessioni sulla guerra domandandosi che cosa potrà raccontare a suo figlio quando vedrà queste terribili immagini.

La storia insegna, così si dice… eppure oggi la realtà è che la storia si ripete. Ancora guerre, e ancora tante, troppe vittime innocenti in nome di una bandiera.

Ed un soldato raccontò di come il cielo si oscurò, Di come a vincere c’è una bandiera che Ha il sangue dentro se.

Giorgia Mori

III. Mrs Dalloway: War Anthem – Max Richter

Una melodia materica, spessa, come una coltre di fumo e polvere da sparo. Il ritmo è lento, cadenzato, come un respiro affannato, timoroso, a cui però non è concesso di esitare. La musica di Max Richter si distingue per la sua qualità narrativa, che in un’opera come Three Worlds: Music From Woolf Works trova massima espressione. Il segnale d’attacco è stato dato. Il mondo si ferma, l’intero creato concentrato in un unico atto di morte e odio. Chiudendo gli occhi è possibile visualizzarli, tutti quei soldati che corrono a rallentatore, tra esplosioni e fuoco nemico, con l’unico obiettivo di sopravvivere, per ripetere tutto il giorno dopo. Le vite spezzate, i volti contorti dal terrore. Essere umano contro essere umano. Perché? Per chi? Una coltre di incertezza si stende, gelido presagio, sul mondo. Una musica disperata che ricorda un lamento, forse un grido d’aiuto, e l’attesa di una salvezza che purtroppo arriverà troppo tardi.

Massimo Vispo

Blowin in the Wind – Bob Dylan

Siamo nel 1963: gli Stati Uniti sono in guerra contro il Vietnam, da quel terribile evento nasce una canzone, anzi una poesia. Bob Dylan la scrive per denunciare la brutalità di quel periodo, il problema è che quel momento di odio sembra essere tornato senza motivo.

Si chiede quanto tempo servirà ancora prima che le persone si accorgano davvero di quanto male c’è nel mondo, e quando avranno intenzione di farlo cessare senza girare la testa. Ormai quasi 60 anni dopo, dobbiamo tornare a chiedercelo…

“How many roads must a man walk down Before you call him a man?

How many seas must a white dove sail

Before she sleeps in the sand?
Yes, and how many times must the cannonballs fly
Before they’re forever banned?The answer, my friend, is blowin’ in the wind
The answer is blowin’ in the wind”


Giacomo Curti

Sidùn – Fabrizio de André

La canzone è parte dell’album di Fabrizio de André Creuza de Mä, uno dei più importanti esempi di world music europeo ancora oggi. Sidùn è Sidone, la città libanese da cui partì la diffusione del moderno alfabeto latino e del vetro. Un faro di civiltà devastato dall’invasione istraeliana del 1982, pensata per sdradicare le forze armate palestinesi insediate in Libano. Un racconto che suona terribilmente attuale.

La voce rotta di Faber canta la disperazione di un padre che raccoglie da terra i resti del figlio, schiacciato da un carroarmato. L’urlo di rabbia parla de “gli occhi dei soldati cani arrabbiati con la schiuma alla bocca cacciatori di agnelli. A inseguire la gente come selvaggina, finché il sangue selvatico non gli ha spento la voglia e dopo il ferro in gola i ferri della prigione e nelle ferite il seme velenoso della deportazione“.

In un’intervista a Mixer del 1984 De André racconta così la sua canzone: “La piccola morte a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea“.

‘nte sta çittæ

ch’a brûxa ch’a brûxa

inta seia che chin-a

e in stu gran ciaeu de feugu

pe a teu morte piccin-a

Gli articoli firmati dalla redazione di Art Shapes. Pezzi collettivi o firmati a più mani dai nostri autori.