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Cinema

Killers of the flower moon: sai riconoscere i lupi in questo quadro?5 minuti di lettura

Killers of the flower moon, con i suoi premi Oscar per protagonisti, si inserisce nella scia dei noir americani che riflettono sulla storia degli Stati Uniti e dei popoli che ne costituiscono i cittadini. Tutto quello che fa Scorsese è aggiungere il suo personale tocco polemico nemmeno tanto celato, e realizzare l’ennesima pellicola di successo che non sa nemmeno come ha attenuto.

La storia è piuttosto semplice, basata su un triangolo di personaggi che compiono poche azioni ripetute più spesso sempre con lo stesso schema. I protagonisti sono Ernest, Re, Mollie rispettivamente Di Caprio, De Niro, Gladstone. Ernest è di base uno sciocco: un uomo di ritorno dal fronte, non soldato ma cuoco, con l’intestino “scoppiato” e una pancera che lo tiene. La mascella à la Marlon Brando ma nemmeno un briciolo del suo savoir faire, gli piacciono “le grassocce” e i soldi, dormire durante il giorno e ubriacarsi la notte. Il marito che tutti vorremmo insomma!

Da subito sottomesso allo zio William detto “re”, un proprietario terriero che ha basato e costruito la sua fortuna sulle spalle dei nativi Osage impersonificando il classico “uomo bianco” conquistatore e colonizzatore. Ovviamente Re non ha scrupoli a uccidere e far uccidere i nativi, a creare legami con matrimoni di convenienza e sfasciare anche quelli senza pietà. È proprio per questo che spinge il giovane Ernest a sposare Mollie, una nativa purosangue ricca e con parecchie concessioni petrolifere.

Mollie è la memoria storica del popolo: una donna affezionata alle tradizioni che non si corrompe con i costumi e gli usi dei bianchi. Accetta di sposare Ernest consapevole dell’interesse di costui per il suo patrimonio, ma riesce lo stesso a toccare il suo cuore malato e insieme costruiscono una famiglia sciagurata.

Riesci a vedere i lupi in questo quadro?

La risposta a questa domanda topica nel film è sì, certamente, senza alcun dubbio. La farsa della cittadina allegra e felice si svela subito e da subito è evidente che William gestisce la contea con accordi quasi clientelari, falsificando certificati e approfittandosi dei più deboli. La sua merce di scambio è la protezione, è la falsa convinzione che conti qualcosa come uomo al di fuori della contea, la menzogna di affetto e rispetto nei confronti degli Osage dietro alla quale si nasconde ma a cui nessuno sembra credere davvero.

Lo scontro tra i branchi

I tre personaggi principali sono inseriti in un’atmosfera da vecchio west che però mantiene poco delle distese erbose e delle lotte di cowboy: gli scontri non sono mai frontali, Scorsese decide di lasciare la violenza fuori dalle inquadrature e mostrarci solo le macchinazioni e gli intrighi subdoli che i bianchi imbastiscono contro gli Osage. In Killers of the flower moon i bianche, i visi pallidi, vengono mostrati come parassiti che in massa si trasferiscono in queste terre per sfruttare completamente la minoranza, senza però volersi integrare. Emblematica la scena in cui, durante un pranzo in famiglia, due signori anziani commentano il colore della pelle dei bambini meticci chiamandoli mezzo sangue e disprezzando quella con la pelle più scura. La maggior parte dei bianchi colonizzatori svolge lavori poco raccomandabili, si da alla micro criminalità, derubando anche le tombe Osage. La prima raccomandazione che viene fatta a Ernest è “se devi delinquere devi guadagnarci bene”. Così Scorsese decide di costruire il ritratto della società statunitense degli anni 20, quella del boom economico, quella che non vede l’ora di mettere le mani sull’oro nero. Una società senza scrupoli, fatta di arrivisti e criminali di quartiere travestiti da uomini per bene.

In risposta, il popolo dei nativi non oppone resistenza smodata e infuriata: di fronte al furto legalizzato delle loro terre e delle loro donne, gli Osage non impugnano le armi ma si lasciano morire direttamente o indirettamente, scappano o accettano le decisioni del re addirittura mostrando riconoscenza. Solo dopo nascerà un timido senso quasi di nazionalismo, ma oramai le usanze di questo popolo si sono mischiate ai vizi acquisiti dai lavoratori: nonostante il diabete Mollie continua a mangiare “come i bianchi”, sua sorella si lascia ammaliare dal whisky. Fin quando, non appena gli omicidi sono all’ordine del giorno, le famiglie originarie che compongono il clan si riuniscono per decidere come affrontare il problema. Ancora un ritratto malato di un popolo troppo debole per farcela senza “l’uomo bianco”, infatti la delegazione mandata a Washington è un bianco, anche William propone dei soldi per la causa che vengono accettati subito. (Tra l’altro, cosa ci faceva lui alla riunione delle famiglie originarie?)

Killers of the flower moon è un film per amanti di Scorsese

Non solo per la durata decisamente impegnativa, soprattutto per il carattere della pellicola. Tutta la vicenda si può riassumere in 3/4 episodi raccontati con una lentezza analitica e riflessiva che sembra volerti trascinare dentro l’azione. La sensazione è che Scorsese abbia voluto realizzare un film a cui lo spettatore deve abituarsi. Le immagini, le credenze indiane, i dialoghi, i campi sempre ravvicinati, tutto sembra convergere a una totale immedesimazione dello spettatore che diventa uno dei visi pallidi. Anche il finale con il gioco televisivo come espediente per raccontare “come finisce ai personaggi” ha il carattere familiare di qualcosa di solito.

A essere sinceri

A essere sinceri Killers of the flower moon è un film ampiamente dimenticabile. Un film da vedere se piace il genere, se si ama il regista, ma un film niente di che. Non cambia la vita. Non è un capolavoro e non è un flop. È uno di quei film che, una volta fuori dalla sala, fanno dire “potevo aspettare lo streaming”.

Non che fosse noioso o pesante o banale, semplicemente manca il twist. Manca quell’inquadratura, quel dialogo che cattura, manca la frase iconica, la battuta memorabile. Il film scorre come un fiume lento nelle radure sconfinate delle Grandi Pianure, neanche l’arrivo della neonata FBI risveglia la scena come ci si aspetterebbe. Siamo tutti come Mollie: in attesa della nostra dose avvelenata di insulina.

Non lo diresti ma ho 26 anni. Sono siciliana e questo lo potresti dire dopo avermi sentita parlare! Vivo a Pavia dal 2016, qui ho fatto lettere e mi sono laureata e ora studio cinema, teatro e arte contemporanea alla magistrale. Ho scelto di scrivere quando ero piccola perché penso che a parlare sono bravi tutti e poi si sa: scripta manent. Sono la terza di quattro figli, ho due bellissimi cani e una piantina di aloe, mi piace leggere soprattutto in treno o nei cortili dell’università e ascoltare musica dalle mie cuffiette con il filo. Le tragedie greche a teatro sono un appuntamento fisso, come i thriller che guardo spesso coprendo gli occhi con le dita. Per le serie tv non c’è storia: bringe watching tutta la vita. Se dicessi che il mio quadro preferito è Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles, sarebbe troppo banale per questo scelgo Sogni di Vittorio Corcos.