
Marina Abramović: corpo e spirito alla Royal Academy of Arts di Londra5 minuti di lettura
Gli schermi di Piccadilly Circus non lasciano dubbi: a dominare la scena dell’arte londinese è la mostra dedicata a Marina Abramović (Belgrado, 1946) inaugurata alla Royal Academy of Arts.
La pioniera della Performance Art è la prima artista donna negli oltre 200 anni di storia dell’istituzione ad avere una personale nei suoi prestigiosi spazi, come già era accaduto per Palazzo Strozzi a Firenze (2018).
L’esposizione, curata da Andrea Tarsia, non segue una sequenza cronologica, ma organizza video, sculture, fotografie e performance attraverso nuclei tematici costanti nella pratica di Abramović fin dagli anni Settanta.

Courtesy of the Marina Abramović Archives. © Marina Abramović
Il percorso espositivo
Il percorso si sviluppa a partire da due performance iconiche e distanti nel tempo, in cui il pubblico è stato, in maniera differente, attivatore e attore fondamentale dell’opera. Si tratta di Rhythm 0 (1974), conclusione della serie omonima di opere, e la più nota The Artist is Present (2010).
In Rhythm 0, nello spazio dello Studio Morra di Napoli, il pubblico aveva a disposizione oggetti di vario genere e la possibilità di utilizzarli a piacimento sul corpo nudo dell’artista. Di fatto, di fronte a questa libertà totale, emersero reazioni molto differenti e ad Abramović divenne chiara la volontà tanto di sfidare i limiti di corpo e mente, quanto di mettere alla prova l’essere umano.
In The Artist is Present, svoltasi per 736 ore al MoMA di New York, questi aspetti si sono fusi perfettamente, perché l’artista e il suo interlocutore si incontrano, posti uno di fronte all’altro in un rito silenzioso e prolifico, che scandaglia le emozioni umane.

La scelta di collocare insieme le due opere nelle prime sale non è una scelta casuale e fa intuire l’evoluzione che caratterizzerà la produzione dell’artista serba. Se è vero che fin dal principio Marina Abramović ha saputo scardinare le regole del mondo dell’arte con una nuova concezione di performance, senza curarsi dei tabù della società e delle sue convenzioni, indagando il potere energetico del corpo e le sue pulsioni, è altrettanto vero che non si è fermata a quel tipo di rivoluzione. Pur comunicando sempre una precisa immagine di sé, è riuscita a generare rivoluzioni nuove; non ha provocato per il piacere di provocare, ha messo in discussione confini e convinzioni, ed è questo ciò che l’ha resa prima outsider e poi star.
Ha continuato ad indagare, è andata sempre più in profondità. Da una riflessione sulle sue origini (Balkan Baroque, 1997), si è avvicinata alla natura e alla meditazione, ad un’autodisciplina sempre più solida, attingendo all’esoterismo, al folklore, alle filosofie orientali. Convinta che “in qualsiasi condizione si trovi, lo spirito non può bruciare”, Abramović ha portato la sua arte ad un livello sempre più alto, senza mai smettere di interrogarsi e interrogarci su ciò che siamo: violenti o compassionevoli, pazienti o istintivi, audaci o meschini, sacri o profani, ingenui o maliziosi.

Nel percorso espositivo non mancano le opere realizzate insieme al compagno Ulay (1943-2020), suo partner artistico e di vita tra gli anni Settanta e Ottanta. Tra le performance in mostra si susseguono Relation in space (1976), Breathing in/Breathing out (1977), AAA-AAA (1978), Rest Energy (1980), fino all’eloquente The Lovers, The Great Wall Walk (1988), una separazione della mente e dello spirito, simbolicamente sancita da una camminata di novanta giorni attraverso la Grande Muraglia cinese. I due artisti, partiti alle estremità opposte, si sono ritrovati al centro e, dopo essersi abbracciati, hanno proseguito la loro vita separati.
Le performance live
A rendere unica la retrospettiva della Royal Academy è la presenza di alcune performance riprodotte live da performer che, istruiti dall’artista attraverso un preciso training, sono in grado di affrontare gli imprevisti dello spazio museale e l’ampia affluenza di pubblico.
Imponderabilia fa da ingresso ad una delle sale; il visitatore deve passare attraverso due corpi nudi e immobili, scegliendo chi guardare e a chi dare le spalle, esattamente come era avvenuto alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna nel 1977.
Allora i due corpi erano quelli di Marina Abramović e Ulay.
Nude with Skeleton (2002/2005/2023) e Luminosity (1997) catturano gli occhi degli spettatori, tra curiosità e stupore per il predominio della nudità e del suo rapporto inusuale con gli oggetti, ma è The House with the Ocean View (2002), posta a conclusione del percorso, a trasformare la sala in un luogo sospeso, intimo, non-comunicabile.

Performance; 12 days. Sean Kelly Gallery, New York. Courtesy of the Marina Abramović Archives © Marina Abramović. Photo: Attilio Maranzano
“Riesco a modificare il mio campo energetico? E può questo cambiare a sua volta il campo energetico del pubblico e dello spazio?”, con questa domanda sono nati i tre ambienti sopraelevati in cui, nella performance originale alla Sean Kelly Gallery, Marina Abramović è rimasta in isolamento, silenzio e digiuno per dodici giorni continuativi.
Non si assiste alla performance cogliendone a pieno la ragione o il significato, non la si valida del tutto. Sappiamo e soprattutto capiamo di non assistere a uno spettacolo teatrale e, se lo accettiamo, ne siamo travolti. Occhi negli occhi con chi abita la casa – che non ha vista sull’oceano, ma su di noi – non c’è un unico modo di rispondere, di sentire, di riflettere, tuttavia ovunque ci sono silenzio, domande che non impongono risposte, umanità in ascolto. E non è poco.

