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Cinema

Marilyn ha gli occhi neri. La nostra recensione4 minuti di lettura

Stefano Accorsi e Miriam Leone sono i protagonisti di un film che parla di ‘pazzi’, di matti, quelli che vivono in mezzo a tutti gli ‘altri’, che passano quasi inosservati ma talvolta sono capaci di alterare tutti gli equilibri di convivenza reciproca. I matti che hanno bisogno di giustificare se stessi nei modi più assurdi per sopravvivere.

Marilyn ha gli occhi neri firmato dalla regia di Simone Godano esce al cinema nel dicembre del 2021 ed è attualmente disponibile su Sky e in streaming su Netflix.

La fine prima dell’inizio.

“Mi sono un po’ arrabbiato”, dice Diego.

La sequenza d’apertura del film che accompagna i titoli di testa immette subito lo spettatore in un contesto straniato e assurdo: Diego (Stefano Accorsi), un cuoco di un ristorante prestigioso, distrugge completamente la sala rovesciando tavoli, sedie e coperti, fomentato da chissà quale impeto d’ira.

Poco più tardi, di fronte al suo terapeuta Paris (Thomas Trabacchi), Diego si giustifica sminuendo le sue azioni sconsiderate, cercando di portare a suo favore tutta la situazione. 

Il risultato? Il licenziamento in tronco e un periodo prolungato di terapia presso un centro diurno di recupero.

Diego convive da sempre con dei tic facciali accompagnati da una forte balbuzie e da manie ossessivo-compulsive che lo rendono ostile agli occhi altrui; è stato sposato e ha una figlia che può vedere poche ore alla settimana e sempre sotto supervisione. Il rapporto con lei non è semplice in quanto le patologie di Diego la spaventano profondamente.

La vita di Diego procede al contrario e ogni rapporto personale è marchiato a fuoco dalle sue sensibilità nervose che lo rendono sempre imprevedibile:

«A scuola come va?» chiede Diego alla figlia.

«Male» risponde.

«Brava» commenta Diego.

«Papà sei un po’ dimagrito».

L’assurdo, il ‘carnevalesco’ vincono qui sull’ordinario. La preoccupazione di una figlia piccola per la salute del padre e l’assenso di questi nei confronti di una condotta scolastica manchevole sono i sintomi comunicativi e relazionali più evidenti di un quadro patologico problematico.

E quando arriva Clara la situazione si complica.

«Questa carbonara fa schifo».

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Diego e Clara in cucina

Clara (Miriam Leone) è una giovane ragazza abituata a mentire. La menzogna che racconta a se stessa prima ancora che agli altri è la sua verità. Come Diego, anche Clara deve affrontare diversi mesi di terapia presso il medesimo centro diurno. E proprio qui si incontrano.

L’iniziale conoscenza è spigolosa poiché entrambi, testardo lui e orgogliosa lei, sono costretti a collaborare insieme ad un progetto organizzato per loro da Paris: la preparazione del pranzo per gli anziani della vicina bocciofila.

«Il fuori viene qui dentro», commenta Paris a proposito dell’imminente apertura del ‘ristorante terapeutico’

I ‘pazzi’ del centro hanno bisogno di uno scopo che li aiuti a convivere con le convenzioni e le regole del mondo esterno e se il «fuori» fa così paura, allora sarà necessario escogitare una strategia per addomesticarlo.

«In quel laboratorio tutti hanno qualcosa di importante, per esempio loro stessi, la possibilità di fare qualcosa di personale, condiviso, sostanzialmente tutto», dice Paris.

Diego è metodico ma ossessivo, Clara è creativa ma disorganizzata e imprevedibile. Al progetto partecipano anche gli altri pazienti del centro, ognuno dei quali è affetto e travolto da patologie diverse.

Inaspettatamente si crea una vitale sinergia all’interno del gruppo. La carbonara prima gettata nella spazzatura da Diego, insoddisfatto, e poi raccolta da Clara, ostinata, e servita diventa il simbolo di questo gruppo di ‘pazzi’ che piano piano affrontano i propri disagi.

Il Monroe.

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Diego e Clara insieme al Monroe

La gestione del disagio avviene attraverso la comprensione e l’accettazione di quello dell’altro. Ma le nuove avventure possono complicarsi in fretta e il ‘ristorante terapeutico’ diventa oggetto di un’espressione estrema delle manie di Diego e Clara. Diego vuole sfruttare l’occasione di lavorare ancora come cuoco per recuperare il rapporto con sua figlia, mentre Clara tenta di dare una consistenza reale alle sue fantasie.

La svolta si verifica quando entrambi decidono di trasformare il ‘ristorante terapeutico’ in un ristorante vero e proprio aperto al pubblico.

«E allora invece che spaventarvi, per una volta lasciate che l’altro da voi, l’estraneo, il matto, vi coinvolga in un’esperienza unica e irripetibile, perché forse il matto vi è molto più vicino di quanto immaginiate».

Così commenta Clara l’apertura del ristorante Il Monroe. La paura più grande dei ‘pazzi’ è la consapevolezza della loro diversità rispetto ai ‘normali’. Ma la normalità non è una condizione privilegiata, bensì un numero.

«Pensano di avere ragione perché sono di più», dice Diego.

«Chi?», chiede Clara.

«Quelli normali», risponde Diego.

E la normalità che tanto spaventa, viene qui affrontata e superata, in modo originale, fantastico e imperfetto.

Laureata in Italianistica all'Università di Bologna. Tra il suo dire e il fare ci sono di mezzo il cinema e la letteratura. Scrive di cinema su Art Shapes.