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Cinema

“Marcel!”, tra favola e realtà. La recensione4 minuti di lettura

Marcel! è un film di Jasmine Trinca, con Alba Rochwacher, Mayaane Conti e Giovanna Ralli, presentato a Cannes e uscito nelle sale l’1 giugno. Per usar le parole della regista stessa, il film parla di:

«Una bambina che ama sua madre, ma sua madre ama Marcel, il suo cane. Un evento imprevedibile le porterà in viaggio, avvicinandole e svelando loro, oltre ogni dolore, le vie grandi e segrete dell’amore».

Jasmine Trinca

Sulle corde di Chaplin e dei Peanuts, alcuni dei riferimenti di Trinca, la vicenda, narrata dal punto di vista della bambina, si si svolge in un tempo e un luogo non specificati.

Mayaane Conti in una scena di “Marcel!

La genesi di “Marcel!”

Partendo da una storia intima, pur in maniera trasfigurata, attraverso Marcel! Jasmine Trinca vuole parlare del proprio vissuto. Anni fa si è cimentata in un cortometraggio, Being my Mom, con lo stesso cast e dalla trama simile: un rapporto madre-figlia in cui sussiste un ribaltamento di ruoli. Anche se si tratta di due opere separate, tra di loro si può evincere un dittico sulla maternità, un tema che ha profondamente segnato la vita dell’attrice e regista romana. L’idea del film nasce da una fotografia degli anni ‘80 che ha a che fare con la memoria più che con la nostalgia. 

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Giovanna Ralli e Mayaane Conti in una scena del film “Marcel!”

“Marcel!”: oltre il tema della maternità

Già il titolo stesso appare come un grido soffocato rivolto a un’assenza: quella maschile. A parte il cane, che è l’unico personaggio connotato da un nome e uno spasimante della madre dal ruolo comunque molto marginale, nel film le figure maschili appaiono come fantasmi.

Il padre è assente e di lui si parla pochissimo, il nonno è una figura mitizzata dalle parole della nonna, interpretata da Giovanna Ralli. In questo modo, Marcel! si connota non come una rappresentazione della realtà, ma come sua trasfigurazione. Il punto di vista è quello della memoria di una bambina, la regista stessa, e di come questa porti a rileggere il suo vissuto: tutto è verosimile, ma nulla assolutamente reale

Tutti i personaggi sono archetipi, non hanno nomi propri e non rappresentano degli ideali di persone: e infatti, la crudeltà è distribuita in equa misura in ognuno di essi. Il film è suddiviso in capitoli, come fosse un racconto fiabesco, e la scelta dei titoli segue un ordine filologico.

Un’altra tematica presente è quella dell’I Ching, una pratica divinatoria sciamanica di origine cinese: la madre (Alba Rochwacher) usa questa pratica per cercare di tracciare il proprio destino. In uno dei momenti più importanti, scopre una terribile verità proprio durante questo rito. 

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Alba Rochwacher e Mayaane Conti in una scena del film

“All’arte si deve la vita”

«All’arte si deve la vita» motto che nel film la madre ripete spesso alla figlia, quasi fosse il suo lascito. Infatti la bambina, anche per un bisogno dell’approvazione della figura materna, interiorizza questo concetto a tal punto che segue la madre ovunque ella si esibisce e impara a suonare il sassofono per accompagnarla nello spettacolo, fino ad arrivare a fingersi il cane durante uno spettacolo

Considerazioni finali

Marcel! è un film dolce amaro: il rapporto madre figlia viene approfondito cercando di slegare entrambi i ruoli dalle aspettative imposte dalla società. Non mancano, comunque, i momenti comici. Come quando la nonna si trova al circolo degli anziani, ballando El Tipipitero, e la scritta che campeggia sull’edificio è “Museo di Anatomia Patologica”.

Lo spettatore è indotto a empatizzare con la bambina, che pur non rappresenta l’innocenza, ma nella sua umanità è mossa dal costante bisogno di approvazione della madre. Commovente, a questo proposito, la scena in cui ruba una camicia del nonno “irresistibile”, quasi come se a indossarla potesse diventarlo anche lei. Non a caso, forse, è proprio indossando quella camicia che giunge a un punto di contatto con la madre mentre ballano sule note di Enola Gay

Laureata in Visual Cultures e Pratiche Curatoriali presso l’accademia di Belle Arti di Brera, la scrittura rappresenta per me un modo attraverso cui connettere realtà apparentemente distanti. Mi considero una boutade, una battuta di spirito, osservazione arguta, in cui la spontaneità e l’immediatezza si uniscono in una punta di paradosso.