
La bombetta di René Magritte6 minuti di lettura
Chi è l’uomo con la bombetta? L’uomo che appare, o per meglio dire scompare, nelle tele di René Magritte? L’artista belga ha disseminato tra i suoi quadri più famosi la figura di un uomo vestito elegantemente, probabilmente di classe borghese, che indossa una giacca lunga e scura. A volte si intravede una camicia bianca costretta da una cravatta rossa, non manca mai il particolare cappello a bombetta.
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Le saboteur tranquille

Il pittore veniva chiamato “il disturbatore silenzioso” perché in grado di trasformare oggetti, scorci, esperienze della più concreta e banale vita reale in assolute opere surreali, pur sfoggiando una tecnica pittorica accademica, aderente ad un maniacale realismo rappresentativo. Magritte osserva e rappresenta con estrema fedeltà e precisione fotografica dettagli e sfondi di un presente reale, proprio per insinuare dubbi sulla realtà stessa, per far emergere un mistero impossibile da definire. Paradossi del linguaggio, non sense, accostamenti stranianti e deformazioni tendono la pittura dell’autore verso l’illusionismo onirico, che si differenzia però dal surrealismo di Dalì per la mancanza di simbologie che rimandano al mondo dell’inconscio. Gli strumenti di Magritte sono oggetti usuali che vengono decontestualizzati per creare il cortocircuito interpretativo.
Così troviamo l’Impero delle luci, dove lo spettatore rimane sconvolto dalla compresenza delle luci del giorno, nella parte superiore del dipinto, e dell’atmosfera della notte che avvolge la casa sul lago; la famosa rappresentazione in Il tradimento delle immagini accosta invece la riproduzione di una pipa e la frase sottostante “Ceci n’est pas une pipe”. Magritte sabota l’evidenza della realtà, le aspettative percettive e lo stesso oggetto convenzionale.
Un’identità segretamente celata

Tornando all’uomo in incognito cui si accennava in precedenza, questi compare in numerosissimi quadri, da Il nottambulo del 1928 a Il figlio dell’uomo del 1964, dipinto in cui si trova come assoluto protagonista. L’identità di questa figura risulta sfuggente: nella prima opera citata infatti appare come sagoma oscura di spalle in una stanza angosciosamente illuminata, come fosse una strada notturna, da un lampione posto al centro dello spazio; in altre tele invece viene ritratto frontalmente, ingessato nell’abito funereo, ma con un elemento che ne copre il volto.
In L’uomo con la bombetta una grossa colomba bianca con le ali dispiegate si ferma in volo proprio in corrispondenza del viso del soggetto rappresentato, in Il figlio dell’uomo è invece una mela verde sospesa nel vuoto a coprirne i lineamenti. Altre volte il misterioso signore è di spalle e la sua figura si riduce a contorno che accoglie al suo interno un possibile paesaggio immaginato oltre il quadro; celebri gli esempi di Decalcomania (1966)e Il donatore felice, dello stesso anno.

L’identità di quest’uomo risulta sempre inafferrabile: l’autore lo pone di petto contro lo spettatore ma impedisce a quest’ultimo, solamente attraverso un dettaglio, di poterne cogliere la natura. L’arte di Magritte provoca quasi un senso di frustrazione in chi si ritrova a fare i conti con questi quadri, poiché presenta una figura nel modo più palese possibile, disegnandola in due dimensioni esattamente davanti allo spettatore, ma contemporaneamente si prende gioco di lui nascondendo con diverse trovate i caratteri necessari per capire chi effettivamente è il soggetto ritratto.
La mediocrità borghese

Si può ipotizzare una sorta di auto-raffigurazione per cui il fatidico uomo con la bombetta potrebbe essere l’alter ego dell’artista stesso. Magritte infatti appare nelle foto dell’epoca vestito elegantemente con un lungo soprabito nero, camicia e cravatta, e, tratto più caratterizzante, la ricorrente bombetta. È difficile stabilire se l’autore rappresentasse se stesso nelle opere o se, al contrario, vestisse i panni del suo personaggio. Emerge in questo modo la personalità stravagante e irriverente del pittore, venata da un umorismo del tutto personale che mira a confondere e contraddire le certezze di un’epoca; ne svela piuttosto le fondamenta traballanti.

Attraverso l’opera Golconda del 1953 risulta chiara la stoccata che Magritte stava sferrando alla società: sullo sfondo un cielo chiaro, alcuni palazzi dalle finestre esattamente identiche e infine innumerevoli uomini, sospesi in aria, posti ad uguale distanza, tutti raffigurati con un lungo abito nero e l’immancabile bombetta. Quella che l’artista porta su questa tela è la rappresentazione di un oggetto standardizzato: l’uomo borghese, rigidamente composto. Anzi, il prototipo d’uomo seriale, irreprensibile e costantemente in divisa, che la società borghese ha costruito. L’autore stesso si riconosce in questa figura senza personalità, vive la sua stessa alienazione. Il mondo borghese appare così una replica anonima di oggetti, in cui la persona si trasforma in un prodotto omologato e indistinguibile, dove l’individualità scompare necessariamente.
Uno sguardo impenetrabile

Due anni prima della sua morte, nel 1967, l’autore realizza La bonne foi. Il dipinto mostra il volto dell’ignota figura ricorrente nell’opera di Magritte, coperto parzialmente da una pipa in levitazione. Lo sguardo tuttavia risulta impenetrabile: occhi spenti, fermi e fissi frontalmente, nessuna espressione muove gli angoli della bocca. Pur mostrando i lineamenti del borghese misterioso Magritte, ancora una volta, non permette allo spettatore di arrivare all’essenza dell’uomo.

