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Cinema

Ma Rainey’s Black Bottom: l’ultimo Chadwick Boseman5 minuti di lettura

Ma Rainey’s Black Bottom, tratto dall’opera del premio Pulitzer August Wilson, è totalmente ambientato all’interno delle mura di uno studio discografico, racconta di tempi lontani, di quando il jazz fioriva, abbracciando la cultura afroamericana.

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Viola Davis in Ma Rainey’s Black Bottom

Siamo nella Chicago degli anni 20’, la band di Ma Rainey (Viola Davis) aspetta l’arrivo della star fra le mura di uno studio musicale. Al piano Toledo (Glynn Turman), al trombone Cutler (Colman Domingo), al basso Slow Drag (Michael Potts) e alla tromba Levee (Chadwick Boseman), nell’attesa parlano di vita vissuta, storie di razzismo, donne, aneddoti.

Il più vivace dei 4 è Levee, nonché il più giovane, tende a schernire gli anziani del gruppo, vuole fare strada e formare una band tutta sua. Finalmente arriva Ma Rainey, accompagnata dalla giovane amante. Il ritardo scatena le ire del produttore Sturdyvant apparentemente calmato dal manager della diva, il povero Irvin, che per l’intera storia fungerà da mediatore fra i due.

Le registrazioni cominciano in un angosciante ritardo dovuto alle richieste di Ma Rainey, che sul finire del girato litiga con lo sfrontato Levee e decide di licenziarlo. Allontanato dal gruppo e rifiutato dal produttore in cui aveva riposto le speranze per la sua carriera, Levee viene sopraffatto dalle emozioni e sporca le sue mani concludendo la pellicola nel più amaro dei finali.

Chadwick Boseman fino all’ultimo respiro

La vicenda è claustrofobica e sente il bisogno di grandi interpretazioni. Ci pensa Viola Davis, candidata ai Golden Globe per l’interpretazione, canta anni di dolore e di etichette, per una generazione che ha sofferto ma che con la musica è risorta dalle ceneri di un razzismo mai davvero finito.

E poi, Chadwick Boseman.

Visibilmente consumato dalla malattia, morirà due settimane dopo la fine delle riprese, ci regala un’ultima perla dal collier di una carriera finita troppo presto. Il film è prettamente discorsivo, e la voce principale è la sua, un paio di monologhi rubano il tempo e riempiono il cuore del pubblico, pochi minuti che lasciano evadere dal mondo per far tornare un po’ più coscienti. Vale il prezzo del biglietto.

Ma Rainey’s Black Bottom e il passato teatrale

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La storia nasce dalle mani di August Wilson, da molti definito il più grande drammaturgo della storia afroamericana. È importante ricordarlo. Perché Ma Rainey’s Black Bottom proviene dal teatro e la riverenza dimostrata dal regista George C. Wolfe va apprezzata.

L’approccio è evidentemente riproduttivo più che trasformista, la kermesse è quella della Broadway di qualche anno fa, nonché delle parole scritte dal signor Wilson. Se l’esperienza è quella teatrale inevitabilmente i tempi, le dinamiche e la struttura tendono al palcoscenico più che al cinema.

Ma la vicenda che sta dietro a questa rappresentazione è molto più interessante. Ma Rainey’s Black Bottom fa parte di un gruppo di opere noto come il ciclo di Pittsburgh, nome tratto dall’ambientazione di queste pièce, ad eccezione di una, ovvero la narrazione ripresa da Wolfe ambientata a Chicago.

Ogni racconto narra un decennio differente e si impegna a raffigurare la cultura afroamericana del XX secolo, diventando l’opera di riferimento per chi vuole approfondire l’argomento. 

A scuola da Denzel Washington

Il destino dietro questo ciclo è strettamente legato all’attore Denzel Washington. Oltre ad essere il produttore di questo adattamento, fu il primo a portare davanti al pubblico cinematografico il ciclo di Pittsburgh. Nel 2017 infatti, dirige e interpreta Fances (Barriere) una delle sue prime opere come regista, nel quale la stessa Viola Davis vince un Oscar come miglior attrice non protagonista.

Visto il grande successo del film decide di acquisire i diritti di tutto il ciclo di Pittsburgh. La saga passa poi nelle mani della HBO e infine arriva in quelle di Netflix che decide di concentrarsi sulla storia di Ma Rainey. Ma squadra che vince non si cambia, infatti, Denzel Washington torna a produrre il film e Viola Davis torna ad interpretare un ruolo nel ciclo di Pittsburgh che le ha già regalato tre Tony Awards.

Aspettando il premio Oscar

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Il teatro portato al cinema e lasciato immutato, sicuramente una storia mai vista sullo schermo ma che lascia un po’ di amaro in bocca nel finale,. Il jazz fioriva ma erano tempi duri, anni in cui si moriva per poco e si viveva per niente.

Una pellicola che dopo pochi giorni dalla sua conclusione ha già il destino segnato, rimarrà l’ultima volta in cui abbiamo apprezzato un grande attore, ma ci ricorderà sempre di non dare per scontato un grande uomo.

Laureato in Relazioni Internazionali, scrive da alcuni anni per testate specializzate in Cinema, Arte e Musica. Nel 2021 fonda Art Shapes, per dare voce a chiunque avesse voglia di raccontare la vita a modo suo.