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Musica

“Ma non è una malattia”: il non detto nell’opera di Manfredi6 minuti di lettura

Sull’oggettività o soggettività dell’arte ne avrete già sentite di ogni, un mare magnum di opinioni, idee e concetti che alla fine non trovano risposta a uno dei più delicati quesiti dell’era moderna.

Pensate solo agli scritti che quotidianamente ci capita di leggere o ascoltare: non è raro imbattersi in frasi sibilline, nebulose e a prima vista poco chiare; oppure in periodi apparentemente semplici che però nascondo un enorme carico emotivo.

Il grande dono, intrinseco in poesie e canzoni è quello di poterle leggere, comprendere e interiorizzare a nostro piacere, fondendole o sovrapponendole con ricordi, momenti, stati d’animo.

Tutto ciò è reso possibile dalla scelta dell’autore di disseminare, fra onde di parole, piccole nicchie di libertà interpretativa, ossigeno purissimo per l’ascoltatore/lettore che ama cucirsi addosso il brano, diventandone il protagonista “a targhe alterne”, seguendo il proprio stato emotivo.

Molteplici creatori italiani risultano inclini a questo tipo di composizione; chi vi sta parlando ha scelto di citarne uno non propriamente convenzionale, un uomo che nella sua lunghissima carriera ha abbracciato le più disparate forme di scrittura: Gianfranco Manfredi.

Raccontare la vita lavorativa di Manfredi sarebbe abbastanza complicato vista la mole di opere prodotte, figlie di un uomo che ha sempre fatto della trasversalità e poliedricità il proprio marchio di fabbrica.

Manfredi si affaccia al mondo musicale negli anni ‘70, con una vena dissacrante e ironica che permeerà gran parte delle sue canzoni. Nei decenni a venire appenderà il microfono al chiodo per dedicarsi al teatro, alla scrittura di saggi e soprattutto a fumetti di grandissimo pregio.

Nel 1976, anno tanto intenso quanto contraddittorio (basti pensare che appena una settimana dopo il primo volo commerciale del futuristico Concorde, la Corte di Cassazione condannò “al rogo” tutte le copie dell’iconico film Ultimo tango a Parigi), il cantautore di Senigallia (AN) diede alla luce la sua seconda fatica discografia “Ma non è una malattia”.

Il testo della title track

Mi hanno detto: “Sei scoppiato, come ti sei rovinato
Dimagrito, sembri quasi uno zombie”
Sarà colpa delle notti che ho passato ad aspettare
Cose che forse dovevano arrivare

Ma non è una malattia
No, non è una malattia
E non è una malattia
Malattia

E mia madre m’ha guardato, dice: “Come sei finito
Cosi in basso non t’avrei pensato mai”
Sì, ma in basso puoi scoprire le sottili incrinature
Che non puoi studiare all’Università

E non è una malattia
No, non è una malattia
E non è una malattia
Malattia, oh no

Mi hanno detto: “Il tuo vestito sembra veramente usato
Non ti cambi mai, mi sembri proprio giù”
Beh scusatemi ragazzi, oggi ho altro da pensare
Ho il mio abito di dentro da cambiare

E non è una malattia
No, non è una malattia
E non è una malattia
Malattia, oh no

Mi hanno detto: “Il tuo lavoro non è una cosa sicura
Ogni mese cambia e dopo che farai?”
Forse sono un po’ svanito, ma il domani non esiste
E quest’oggi io non voglio essere triste

Ma non è una malattia
No, non è una malattia
E non è una malattia
Malattia, oh no

Parole scandite da un ritmo iconico che alterna l’estrosità di squillanti fiati a spensierati riff di piano e delicati piatti.

Dopo un primo ascolto del brano è già ben chiaro l’evidente contrasto fra una musica lieta, festosa e un testo profondamente malinconico, carico di dolore.

“Oddio ma parla di me”

Qui entra in gioco l’acume dell’artista, che lascia al fruitore la chiave di lettura per la decodificazione dell’opera.

Ogni ascoltatore/lettore tenderà ad etichettare il malessere intrinseco nel testo, a dargli un nome e, probabilmente, a ricercare dentro sé stesso un sentimento similare, col fine di “appropriarsi” di quella composizione, di entrare a farne parte non più come spettatore ma come componente attiva, testimonianza vivente.

Una breve lettura

Il principio di ogni strofa della composizione (ad eccezione della seconda, sulla quale ci focalizzeremo più avanti) racconta di costanti giudizi negativi verso il protagonista della canzone da parte di persone non bene identificate:

Mi hanno detto: “Sei scoppiato, come ti sei rovinato
Dimagrito, sembri quasi uno zombie”

Oppure

Mi hanno detto: “Il tuo vestito sembra veramente usato
Non ti cambi mai, mi sembri proprio giù”

E anche

Mi hanno detto: “Il tuo lavoro non è una cosa sicura
Ogni mese cambia e dopo che farai?”

Pensieri cinici, forti, di un’eccezionale violenza, al quale il narratore risponde però con straordinaria fermezza, senza abbandonarsi ad uno sconforto più che comprensibile in situazioni simili. Se nel:

“Sarà colpa delle notti che ho passato ad aspettare
Cose che forse dovevano arrivare”

Il protagonista sembra scaricare la responsabilità su un’entità terza, rea di avergli negato situazioni favorevoli e quindi aver minato la sua salute, nella terza strofa:

“Beh scusatemi ragazzi, oggi ho altro da pensare
Ho il mio abito di dentro da cambiare”

il personaggio palesa un atteggiamento attivo e propositivo, facendo comprendere come sia più importante combattere e vincere una guerra intestina, una dolorosa battaglia contro sé stesso.

Quest’ultima affermazione è avvallata anche da una disperata quanto agognata ricerca di serenità anche se effimera e macchiata da una costante sfiducia nella vita:

“Forse sono un po’ svanito, ma il domani non esiste
E quest’oggi io non voglio essere triste”.

Nella seconda strofa l’accusa arriva direttamente dalla madre del protagonista (o comunque da una figura di maggior importanza rispetto ad una persona qualunque):

“E mia madre m’ha guardato, dice: “Come sei finito
Cosi in basso non t’avrei pensato mai”

L’attaque non sortisce comunque gli effetti sperati, tanto che la risposa del figlio arriva impetuosa:

“Sì, ma in basso puoi scoprire le sottili incrinature
Che non puoi studiare all’Università”

Con questa frase, l’autore sembra voler far percepire come anche nelle situazioni più buie, tetre e borderline, ci siano sempre sfumature di dignità da analizzare e comprendere.

Il ritornello consta, invece, in una frase ripetuta come mantra:

“E non è una malattia
No, non è una malattia
E non è una malattia
Malattia, oh no”

Qui il protagonista potrebbe star operando su sé stesso un’opera di auto convincimento sul fatto che le problematiche non siano legate ad una vera e propria “malattia”. D’altro canto questo grido potrebbe suonare come provocatorio e sarcastico verso chi non vuole o non è in grado di comprendere appieno il disagio (fisico ed emotivo) provato dal narratore della vicenda.

La risposta non è mai una soltanto

Dopo l’ascolto e la lettura dell’opera, ognuno di voi si sarà fatto un’idea di quali siano le problematiche che affliggono il protagonista, nonché delle tematiche toccate da Manfredi.  

Qualcuno fra voi si sarà sicuramente immedesimato nel pezzo, trovando assonanze con la propria situazione: in questo caso il responso vi apparirà chiaro, cristallino. Questo può essere un efficace stratagemma per trovare il coraggio di affrontare i vostri demoni senza sentirvi soli o incompresi. Badate bene però a non chiudervi mai nelle vostre certezze e a valutare attentamente le modalità e soprattutto lo stato in cui state analizzando l’opera: in casi come questo, la risposta non è mai una soltanto.