
Luigi Tenco e la denuncia al Festival del perbenismo3 minuti di lettura
No, non è giusto ricordare Luigi Tenco come “il cantante della tristezza”. Tenco era molto di più, ma probabilmente ce ne siamo accorti tutti troppo tardi.
Fortunatamente, però, ci sono anime più sensibili che sono riuscite ad andare oltre il giudizio superficiale che i più avevano nei suoi riguardi, soprattutto dopo la morte così tanto chiacchierata – forse troppo – durante la 17esima edizione del Festival di Sanremo.
Stiamo parlando del cantautore italiano Francesco De Gregori e della sua canzone intitolata proprio Festival, per ricordare e raccontare l’effetto del suicidio di Luigi Tenco e di come, oltre a non essere mai stato compreso perfino in un momento così delicato, non si è riusciti e capire “chi ha ucciso quel giovane angelo che girava senza spada?”

Festival, l’omaggio di Francesco De Gregori
Nella città dei fiori disse chi lo vide passare / Che forse aveva bevuto troppo ma per lui era normale / Qualcuno pensò fu problema di donne / Un altro disse proprio come Marylin Monroe / Lo portarono via in duecento / Peccato fosse solo quando se ne andò
È il 1967 e Luigi Tenco viene trovato morto nella sua camera d’albergo con un buco sulla tempia. Poco prima, si era esibito nella città dei fiori con la sua canzone, Ciao amore, ciao, che non fu però apprezzata.
De Gregori, con la sensibilità che lo contraddistingue, racconta proprio di ciò che succede subito dopo, con chi si affanna per trovare una qualche giustificazione per il tragico gesto del cantante e chi pensa di avere già la risposta semplicemente appellandosi a ciò che ha sentito dire.
E l’uomo della televisione disse / Nessuna lacrima vada sprecata / In fin dei conti cosa c’è di più bello della vita / La primavera è quasi cominciata / Qualcuno ricordò che aveva dei debiti / Mormorò sottobanco che quello era il motivo / Era pieno di tranquillanti, ma non era un ragazzo cattivo / La notte che presero le sue mani / E le usarono per un applauso più forte
C’è chi, quella sera, si limitò a sentenziare che il problema fossero alcune pillole prese prima dell’ultima esibizione e dopo essere tornato in albergo; tutti avevano qualcosa da dichiarare, nessuno, però, rispettò il silenzio davanti a un gesto di resa così disperato.
Si ritrovarono dietro il palco / Con gli occhi sudati e le mani in tasca / Tutti dicevano “Io sono stato suo padre” / Purché lo spettacolo non finisca
Lo spettacolo in ogni caso è andato avanti, tra chi si fingeva un suo caro amico e chi faceva finta di averlo realmente conosciuto. Probabilmente è stato molto più semplice convincersi che la causa del suicidio sia stata la delusione nel vedere la propria canzone non apprezzata, senza accorgersi realmente del problema nella società e cultura italiana che Tenco cercava di denunciare.
È la notte del 27 gennaio e le sue ultime parole, in un biglietto scritto a mano e trovato in quella camera d’albergo, sono queste:
«Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e a una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi».
Ciao Luigi, ciao. E scusaci se non ti abbiamo capito.

