
Lorenzo Piemonti tra astrattismo concreto, Madì e manichini7 minuti di lettura
Tra i molti nomi di artisti andati nel cosiddetto “dimenticatoio” c’è l’artista Lorenzo Piemonti (Carate Brianza, 1935 – 2015). Maestro del colore e del rigore, è stato un pittore, scultore ed intellettuale brianzolo. Ha esportato a livello internazionale la sua ricerca e la sua concezione artistica sviluppate nel corso dei suoi più di sessant’anni di carriera.
La prima scintilla d’amore per la pittura scatta quando il suo campione Bartali passa per la tappa brianzola durante il Giro d’Italia e, per quell’occasione, Piemonti realizza un dipinto per ritrarlo e sostenerlo.
La figura di Lorenzo Piemonti è definita da una carriera in crescendo, mai monotona ma sempre sperimentale e alla ricerca di un qualcosa di nuovo ed audace da proporre al pubblico. Dalla pittura figurativa alla performance, all’installazione, allo sviluppo di una pittura (e scultura) inedita fatta di geometrie e colori, divenendo promotore del movimento Madì italiano, fino a giungere alla realizzazione di manichini-sculture richieste dalle grandi case di moda di tutto il mondo.
“Ritengo il mio lavoro di operatore estetico una pura espressione di ordine spirituale, otticamente percepibile attraverso i sensi: visualizzazioni di pensieri, senza alcun riferimento esteriore alla natura o alla trasformazione di quest’ultima, cioè senza l’intervento di un processo di astrazione.”
Le fasi figurativa, ovale e ovale-tubolare
Fino alla metà degli anni ‘60 Piemonti, chiamato il Maestro nella sua Brianza, si dedica al figurativo, dipingendo paesaggi, ritratti, nature morte, macchine da cucire – utilizzate dalla madre, particolarmente esperta di pizzo al tombolo -. Segue il momento ovale (1965-68) e quello ovaletubolare (1966-78) in cui le sculture – tubi come colonne, oggetti tubolari al muro, costruzioni bifrontali e modelli seriali costruiti sull’iterazione di un’unica forma ovale presentano l’elemento del prefabbricato, il ricorso all’intervento tecnico dell’artigiano che esegue il disegno dell’artista, la leggera manipolazione del materiale industriale mediante l’intaglio di un’apertura.

L’artista genera alternanze di pieni (ovali) e vuoti, di superficie piana e curva, trasmettendo un messaggio di apertura a tutto e a tutti. La forma dell’ovale diviene l’elemento che esprime il desiderio di trovare un certo equilibrio di fronte alla realtà di quel tempo.
L’astrattismo concreto
Piemonti trascorre un decennio di vita in Svizzera e da lì la sua arte assume caratteristiche sempre più vicine all’astrattismo concreto, grazie ai primi contatti con il concretismo svizzero e agli influssi di alcuni grandi teorici tra cui Max Bill. La sua indagine si concentra sulle “quantità estetiche”, sull’analisi dei rapporti cromatici e di struttura, in relazione alla percezione visuale.
È un’arte fondata sulla geometria, sull’aritmetica, sulla purezza elementare – il quadrato ne è la matrice fondante – e sui colori – primari, secondari, terziari, insieme al sistema bianco/grigio/nero – accostati secondo gli studi sulla teoria dei colori. Un’arte strutturata ma non realistica, che dà centralità alla forma ed al segno nel loro significato basico essenziale, ma che non manca mai di un’accezione emotiva.

Come scriveva Tommaso Trini, da un lato vi è un’evoluzione strutturale suggerita dalla ragione, dall’altro il linguaggio delle sue astratte combinazioni nasce da qualcosa di insondabile, il preconscio. Gli elementi della geometria piana si materializzano nelle sculture, abbondando di giochi di incroci e sovrapposizioni, e svolgendo in progressione tridimensionale le molteplici variazioni di una sequenza numerica.
Bruno Munari diceva “In un primo momento sembra di trovarsi davanti ad opere che definiremmo “arte concreta” rigorosa e geometrica. Dopo un poco che osserviamo le righe, di colore, disposte in modo inclinato rispetto alla base, ci si accorge che non si riesce a dire quanti sono i colori che appaiono sul dipinto. […] si forma una mescolanza ottica per cui spostando lo sguardo sul fondo neutro vediamo apparire altri colori che si muovono attorno alle righe. Il nostro sistema percettivo è stato provocato da una composizione cromatica che ci fa vedere di più di quello che c’è sul dipinto. […] Non siamo più sicuri dei nostri organi visivi, questa è una provocazione. Le provocazioni ottiche di Lorenzo Piemonti.”
La performance e i manipolabili
Dal 1973 Piemonti aggiunge al rigore delle sue opere un processo di mutazione molto significativo, con la pratica della performance. Nella performance colore come significazione (1973) a Varese – Galliate, l’opera non è più solo oggetto estetico ma modulo manipolabile all’infinto grazie al supporto di persone e di personaggi come Remo Bianco, Mario Schifano, Bruno Munari, Emilio Isgrò. Gli artisti modificano di continuo il supporto proposto da Piemonti, provocando quella scomposizione dell’immagine che ognuno si illudeva di possedere come unica possibile chiave di lettura.
Tra le sue opere “manipolabili”, l’artista realizza i multipli che mettono tutti in condizione di formare, con gli elementi disponibili, quadri e composizioni secondo gli istinti individuali. Il multiplo causa la riflessione e la dissoluzione del concetto di unicità dell’opera; stimola l’istinto ludico; grazie a nuove tecnologie produttive moltiplica l’oggetto d’arte industrialmente con una conseguente riduzione dei costi, rendendolo accessibile ad un vasto pubblico. Non è una riproduzione né una copia di un originale, ma un originale autonomo.
I manichini
Dal suo periodo svizzero emerge l’intuizione che ha portato l’artista anche nel mondo della moda a livello internazionale. Grazie alla collaborazione con la Schlaeppischaufensterfiguren di Zurigo, Piemonti inizia a realizzare modelli per esposizioni di moda (manichini!) in fiberglass, dalle forme uniche e peculiari, giocando su estensioni, allungamenti e rientranze.
I suoi manichini arrivano ad essere esposti nei musei di Zurigo e Madrid con Balenciaga, al Metropolitan Museum d’Arte di New York con Yves Saint Laurent, al Guggenheim di New York con Armani e altri ancora.
Il Madì Italia
Nel 1990 Piemonti diviene co-fondatore del Madì Italia, movimento artistico nato nel 1946 in Argentina, il cui nome deriva dalla contrazione di “materialismo dialettico”. Dedito alla continua reinvenzione delle leggi matematico – geometriche e basato appunto su una concezione pittorica logica e matematica (coerentemente con la sua pratica artistica fino allora svolta), il Madì si caratterizza di una originale spazialità.
Piemonti, infatti, riflette ancor di più sulla dialettica superficie-rilievo liberando il secondo dal primo con aggiunte di fuoriuscenti e applicazioni di elementi esterni alla matrice di base, come nei suoi cromoplastici che si fanno sintesi tra pittura e scultura. Pian piano la geometria si sublima e raggiunge una ricchezza cromatica che rafforza la cinetica compositiva ed esprime armonia e gioiosità, in un connubio tra istinto e ragione.
Le opere pubbliche e le mostre
Piemonti è anche autore di opere pubbliche, come Fratellanza universale (1976), monumento in acciaio collocato nel cortile della scuola elementare di Carate Brianza, suo paese natio. Alto sei metri, articolato su una base triangolare con punti di innalzamento che reggono uno svolgimento modulare che può essere modificato da chiunque nella disposizione asimmetrica degli elementi.

L’abilità artistico-artigianale dell’artista brianzolo lo ha portato a realizzare numerose mostre personali e collettive in Italia, Francia, Svizzera, Serbia, USA, Ungheria, Romania e Spagna. Tra le ultime esposizioni: Galleria Civica Mariani di Seregno (2019), Galleria Cart 70-10 di Monza (2017), Galleria Schubert di Milano (2016), IV biennale Italia Cina a Pechino (2016), MAC Museo d’Arte Contemporanea di Lissone (2013).
Le opere di Piemonti si trovano oggi nei musei internazionali e italiani, tra cui: Museo Nazionale di Belgrado, Kilgore Law Center and Madì Museum di Dallas Texas, Galleria d’Arte Moderna di Torino, Maga di Gallarate, Museo Pagani di Legnano, Museo d’Arte Magi di Pieve di Cento, Museo dei Lumi di Casale Monferrato, Museo d’arte Contemporanea di Lissone.

