Art Shapes
Lee Jeffries, Ritratto
Arte

Lee Jeffries al Museo Diocesano di Milano: uno sguardo che abbraccia la fragilità5 minuti di lettura

Il Museo Diocesano di Milano dal 27 gennaio 2023 ospita una cinquantina di ritratti di Lee Jeffries (Bolton, UK, 1971). L’esposizione, curata da Barbara Silbe e Nadia Righi, offre la possibilità di scoprire lo sguardo del fotografo che ha deciso di indagare la vita e la condizione degli emarginati, tra la strade del mondo.

Le strade sono quelle di New York, Londra, Miami, Las Vegas, Roma; gli estranei che le abitano diventano volti, storie. Jeffries sceglie la fotografia come testimonianza dei racconti e delle esperienze che ha avuto la possibilità di ascoltare e che noi possiamo immaginare, tramite i suoi scatti.

Nessuno è inutile in questo mondo, se è capace di alleggerire i fardelli di un altro uomo” (Charles Dickens) : questa una delle frasi scelte da Jeffries per accompagnare i suoi scatti, insieme ai nomi delle persone ritratte, perché avere un nome, poterlo dire e conoscere, è ciò che ci ricorda di avere una luce, un destino, un valore, anche negli attimi più bui, anche quando veniamo dimenticati

Lee Jeffries, Love. © Lee Jeffries

La dignità nell’abbandono

La storia di Lee Jeffries inizia come iniziano molte storie: con un incontro.
Laureato in economia e finanza, Jeffries non aveva previsto una carriera artistica, ma nel 2008 si lega inevitabilmente alla fotografia dopo aver conosciuto una giovane ragazza senzatetto tra i marciapiedi di Londra. Superato un primo momento di diffidenza, cerca un contatto, mettendo da parte ogni tipo di pregiudizio o paura, con la rara capacità di mostrare umanità, apertura, vicinanza.

Ormai profondamente segnato e incapace di rimanere indifferente, inizia la sua ricerca concentrandosi su homeless, clochard, prostitute, uomini e donne che sopravvivono agli angoli delle strade, invisibili, mentre il mondo corre e scorre imperturbabile nella propria routine. “Prima correvo… ora cammino”, dice nel video di backstage “I walk”, facendo riferimento al suo passato da sportivo maratoneta e a ciò che invece il suo progetto gli ha insegnato.

Rallentare, conoscere, sentire e trasmettere. Cercare di dare a ogni persona un po’ del proprio tempo, un tipo di attenzione e di cura che tutti meritiamo, indipendentemente dalle nostre scelte. Jeffries non pretende di rivoluzionare un sistema, di salvare chi si è perduto e portarlo su una strada diversa, che spesso non è più percorribile. 

Cerca invece di farci riflettere su quanto poco basti a restituire dignità a una vita abbandonata, dandogli voce, sguardo e luce. Togliendola da quel margine in cui si è confinata, anche solo per il tempo di un racconto, di una lacrima o di una risata, di uno scatto. 

Dare un volto all’invisibile tra luci e ombre

Le foto di Jeffries nascono da una profonda indagine emotiva e si trasformano nello scatto con un preciso gioco di luci e ombre; particolari nascosti emergono nitidi dalla sobria inquadratura frontale o di profilo, segni impercettibili si confondono su sfondi monocromatici scuri. Qualcuno non a torto ci vede il chiaroscuro caravaggesco, con la sua necessità di mostrare gli ultimi, quei piedi che toccavano la strada nudi e senza difese qui diventano mani vissute che portano i segni di una città sporca.

Il suo bianco e nero sembra il risultato di un carboncino che ha deciso di liberarsi, creando qui contorni evanescenti, che ci costringono ad avvicinarci così tanto da annullare le distanze, e altrove particolari materici, portati completamente alla luce. Quando utilizza il colore i contrasti sono così marcati da permetterci di distinguere ogni minimo dettaglio, ogni flessione e pigmento della pelle.

Lee Jeffries, Agnes, New York, 2018. © Lee Jeffries

La vicinanza tra noi e loro così è assoluta; ci ritroviamo abbracciati da espressioni facciali, da nei e lentiggini, dalle rughe, dai sorrisi sdentati, dai segni delle difficoltà quasi incise sulla pelle. Ci scopriamo costretti a guardare, fisicamente e poi non più solo con gli occhi, ma con la mente, nelle anime di altri. Senza capirne il motivo, ci sentiamo osservati a nostra volta, come risvegliati, vivi, presenti. È il segno che l’incontro a cui stiamo partecipando richiede uno strumento che in pochi conosciamo e ancora meno utilizziamo: l’empatia.

Indaghiamo ogni centimetro di quelle solitudini e cominciamo a chiederci cosa nascondano, cosa abbiano attraversato. Quella che avviene davanti ai ritratti è una ricerca di tracce, di gioia e di dolore, di delusioni e piccole conquiste; una passeggiata dentro ad una moltitudine di universi, di vissuti dolorosi, di orgoglio e di difesa della propria dignità, anche quando non c’è più null’altro da difendere.

Ed è proprio questo il potere delle fotografie di Jeffries, che da “ritrattista Umanista” come viene definito, riesce a renderci partecipi e consapevoli dell’esistenza-presenza dell’altro, che diamo spesso così scontata e teniamo sempre così distante; ci dimostra quanto sia possibile generare un contatto, costruire un volto, se solo fossimo capaci di mettere il nostro io finalmente da parte per guardare un estraneo negli occhi.

Info sulla mostra

Lee Jeffries. Portraits. L’anima oltre l’immagine
dal 27 gennaio al 16 aprile 2023
Museo Diocesano Carlo Maria Martini, Piazza Sant’Eustorgio, 3, Milano

Orari:

  • Martedì-Domenica: 10-18

Biglietti:

  • Intero: € 9
  • Ridotto e gruppi: € 7
  • Scuole e oratori: € 4

Laureata magistrale in Storia dell'Arte, crede fortemente nella cultura come motore del quotidiano. Ama il cinema fin dai suoi albori, la musica in ogni sua forma, la fotografia, la conoscenza. Scrive soprattutto di Arte, quella cosa capace di parlare dell'essere umano nella sua complessità.