
Intervista a Laura Fantini, artista dell’iperrealismo green7 minuti di lettura
Laura Fantini realizza i suoi quadri tra New York e Bologna, amata città natale nella quale ama ritornare appena le è possibile.
Attraverso le matite colorate, racconta le emozioni e i pensieri che sente nella parte più intima e profonda di sé. Con la sua arte, desidera invitare gli spettatori a fermarsi un attimo, prendere le distanze dalla frenesia e velocità del mondo che ci circonda, fare un respiro profondo e ammirare la bellezza della natura.

I tuoi still life rappresentano un unicum nel panorama artistico contemporaneo. Ciò che colpisce è l’utilizzo che del colore, che dona matericità e tridimensionalità al foglio, dando l’illusione di poter toccare con mano l’oggetto raffigurato, oltre alla tecnica magistrale. Qual è il tuo processo creativo?
Negli ultimi anni, mi sono concentrata esclusivamente sulle matite e la natura come pretesto per rappresentare i miei stati d’animo. Pur trovando molta ispirazione nella natura, non mi considero un’artista botanica. Le mie opere hanno sempre un significato metaforico che va al di là del soggetto raffigurato, come nella mia ultima serie intitolata Hope.
Mi piace molto rappresentare soggetti singoli, che nella loro semplicità sono in grado di creare una composizione completa. Li trovo spesso casualmente, mentre cammino in un parco, in un giardino botanico o per strada. Porto sempre con me una piccola scatola per poter raccogliere i miei trofei, fatti di semi, foglie, fiori, germogli etc.
Studio a lungo la luce e la composizione. Spesso preferisco la luce del pomeriggio e i riflessi che ottengo sul mio rooftop, scatto diverse fotografie, che mi serviranno come riferimento quando la natura morta si sarà seccata e avrà modificato nel tempo forma e colore. Utilizzo esclusivamente la tecnica della matita colorata, perché mi permette di essere estremamente precisa nella mia esecuzione. Inoltre, mi piace molto il contatto mano-matita sul foglio e con molta pazienza, tratteggio dopo tratteggio, ricreo sfumature, profondità, giochi di luci e ombre fino ad ottenere l’effetto desiderato.
Fino al 30 maggio è stato possibile visitare la mostra Seedsfor Tomorrow: Woody Plants of the Arnold Arboretum, in collaborazione con l’Arnold Arboretum dell’Università di Harvard. Il tema ecologico è preponderante e si intreccia a quello della speranza, dimostrando di saper cogliere in pieno le istanze di questi ultimi tempi. Da dove nasce il tuo interesse per queste tematiche?
Ho sempre amato la natura e ho sempre avuto un grandissimo rispetto per essa, così come un forte interesse per i semi. Fin da quando ero bambina ero affascinata dal fatto che un piccolo seme potesse avere in sé le potenzialità di una nuova vita e svilupparsi in qualcosa di grande e prezioso come un albero.
L’idea per la nuova serie Hope (speranza in italiano) mi è venuta in mente un giorno mentre affacciandomi dalla mia finestra a Brooklyn mi sono imbattuta in questo seme dalla forma e colore inusuale. Ho capito in seguito, che era un seme di Alianto, una specie esotica invasiva, chiamata anche albero del Paradiso.
Ho scoperto quindi che questo albero può crescere velocemente ovunque, anche su terreni dove altri alberi non riuscirebbero ad attecchire. Da lì mi è venuto in mente di dedicare la mia nuova serie ai semi e di intitolarla Hope, dove i semi sono la metafora di speranza, perseveranza e nuovo inizio. Pur essendo piccoli, sono complicati, affascinanti e misteriosi e il loro ruolo è importantissimo. Senza l’operato dei semi, infatti, la vita sarebbe minacciata dagli esseri umani, alle piante, agli animali. I semi rappresentano dunque una speranza per la generazione futura.

Quando ho iniziato il mio progetto sui semi, l’Arnold Arboretum era il luogo perfetto per osservare e trovare nuovi soggetti. Negli anni successivi ci sono ritornata più volte. Mi perdevo per ore osservando ogni singolo dettaglio che incontravo e ogni volta scoprivo sempre qualcosa di unico, affascinante e stimolante da collezionare e disegnare.
Luoghi come l’Arnold Arboretum sono veri e propri musei a cielo aperto. Avevo in programma la mia personale per il 2022, un anno importante per l’Arboretum, che celebra i suoi 150 anni.
Quando è scoppiata la pandemia, mi è stato impossibile recarmi di persona per trovare nuovi soggetti. Grazie al personale ho potuto ricevere altri semi, compresi alcuni speciali provenienti da Dana Greenhouses, un’importante struttura per la produzione e la propagazione delle piante, che si trova all’interno dell’Arboretum.
La personale Seeds for Tomorrow: Woody Plants of the Arnold Arboretum è stata un vero onore per me e un modo per approfondire ancora di più il mio progetto sui semi.
Rimanendo sul tema ecologico secondo te in che modo l’arte può contribuire a sensibilizzare lo spettatore? Fino adesso ci sta riuscendo?
Penso che l’arte sia uno strumento molto importante per far riflettere e sensibilizzare il pubblico. Con le mie piccole opere sui semi vorrei in qualche modo invitare la gente a rallentare dalla frenesia della vita di tutti i giorni e a riconnettersi con la natura. Far capire quanto sia importante l’ambiente che ci circonda, a partire da un piccolo ma preziosissimo seme. Penso comunque che il percorso sia ancora molto lungo, anche se ho fiducia nelle nuove generazioni.
Un altro scopo che vorrei ottenere con i miei piccoli ma dettagliati disegni di semi, è di far comprendere allo spettatore come la matita per un artista possa essere altrettanto potente, così come un piccolo seme in natura.

Chi sono le tue fonti d’ispirazione, se ne hai, sia dal punto di vista metodologico che teorico?
Ci sono tanti artisti che mi piacciono per diverse ragioni, anche se molto diversi da quello che faccio. In particolare, ho sempre ammirato artiste come Rosalba Carriera, soprattutto per aver reso il pastello una tecnica indipendente, mentre precedentemente veniva usato prevalentemente come tecnica preparatoria, o la teatralità e drammaticità di Artemisia Gentileschi, la sensualità di Tamara de Lempicka, ma ammiro molto anche la genialità delle opere di M.C. Escher.
So che sei alle prese con un nuovo progetto, ti andrebbe di raccontare qualcosa?
Fino al 25 agosto sarò di nuovo in Massachusetts con una personale dal titolo “See the Unseen” alla Miller White Fine Arts, nel cuore della bellissima Cape Cod. Qui ho esposto 25 opere e tra queste molte della serie Hope, con alcuni inediti.
Ad esempio, tra queste ce n’è una che ho fatto durante una recente residenza per artisti per il Denver Botanic Gardens in Colorado, ma comunque sempre incentrate sul messaggio ecologista, che parla di rispetto per la natura, speranza e cerca di risvegliare l’attenzione dello spettatore sulla consapevolezza climatica.

