
La vita bugiarda degli adulti: recensione della serie Netflix firmata Elena Ferrante5 minuti di lettura
Quann si‘ piccirill, ogni cosa te pare grossa. Quando si gross, ogni cosa t’ pare nient.
La serie tv La vita bugiarda degli adulti è arrivata ieri sulla piattaforma Netflix, e dal primo momento ti ammorba con la frase “Quann si’ piccirill, ogni cosa te pare grossa. Quando si gross, ogni cosa t’ pare nient” promettendoti un giallo da togliere il fiato che alla fine non si svela. Purtroppo questa volta non è bastato leggere “sceneggiatura di Elena Ferrante, Francesco Piccolo e Laura Paolucci” a garantire la riuscita dell’adattamento dal romanzo La vita bugiarda degli adulti.
Partiamo dai personaggi
A parte il fatto che sono tutti abbastanza piatti, tanto che non si ricordano nemmeno i nomi, ognuno di loro è piuttosto prevedibile. Per primo il padre della protagonista, Andrea, che da subito capiamo essere “mariuolo”. Dopo dieci minuti del primo episodio sappiamo che ha un’amante e che la moglie lo sa.
La zia Vittoria è abbastanza stereotipata: tacchi, trucco pesante, sigarette e crocifissi che vogliono suggerire una particolare devozione ma in realtà sono il simbolo invadente della natura speculare dei due fratelli: l’intellettuale professore comunista (che poi fa feste con champagne e caviale, come ci suggerisce la voce fuori campo) e la “zoccol” cristianissima che ha amato un solo uomo (sposato con un’altra donna e padre di tre figli).
Nonostante il suo essere tipico, ruba la scena alla protagonista di cui di base non ci importa più di tanto: Giovanna è scontrosa, sempre accigliata con il chiodo fisso sugli adulti. Per quanto possa essere brava l’attrice, il suo personaggio non ce la fa.

La musica: parliamone
La musica in questa serie ha un ruolo molto particolare, oltre ad accompagnare le singole scene e guidare nella crescita della protagonista, di cui narra il passaggio dalla giovinezza all’adolescenza all’età adulta che non arriva mai, facendoci sentire la confusione nella sua testa. Non ha niente di anni ’90 se non i 99 Posse che onestamente ci risparmiavamo. La colonna sonora sembra un mix tra una musicassetta fatta da un paio di bambine che giocano con lo stereo della mamma e i suoni registrati nella pianola che usavano alle medie.
La storia è da sé un velo pietoso
Oltre al fatto che i personaggi non sono molto caratterizzati e che tutto è estremamente monotono, la storia narrata è del tutto irreale e inverosimile. Già il fatto stesso che Vittoria sia l’innominata ma non appena Giovanna dice “ci voglio andare” il papà la accompagna fino a casa della zia e aspetta lì ci basta per avvalorare questa tesi.
E così con il motorino, con la gita al cimitero invece della scuola e via dicendo le peripezie che la riguardano. Senza parlare dell’amichetta scrittrice che non abbiamo considerato per tutto il film e anzi ci è stata abbastanza antipatica perché impicciona e impertinente, ora diventa la nostra compagna fidata per una fuga nel nulla dopo esserci tolte il pensiero di “na chiavat”. Discutibile.
Non tre stelle ma quattro pieghe
Se fossimo sui social darei tre stelle a questo prodotto ma su ArtShapes gli do quattro pieghe. Quattro pieghe tutte merito delle inquadrature, della fotografia e dei costumi. La macchina da presa è il personaggio migliore, lo sguardo dello spettatore è posto dentro la scena. Le sequenze sono riprese come se fossero la soggettiva di un personaggio secondario: noi.
Accattivanti le sequenze con i primi piani delle gambe e delle scarpe. Piedi che camminano e si muovono e fanno strada; jeans e poi collant e poi di nuovo jeans, fino alla scena dell’amore tra Giovanna e Rosario che si costruisce con le voci fuori campo e le gambe di entrambi che si toccano e vengono spogliate e poi si mischiano. La fotografia, i colori, i campi larghi parlano di una Napoli che non è poi così diversa da sé stessa.

Uomini e Donne ma neanche tanto
Come siamo stati abituati da L’amica geniale, gli uomini ne escono tutti distrutti: bugiardi che non hanno a cuore niente e nessuno. Gli adulti come i ragazzi, che sia Corrado o Roberto, l’unica cosa che importa è andare a letto con le donne (anche se si tratta di ragazzine di 16 anni), litigare ed essere uomini veri.
Le donne invece questa volta sono proprio piccole. Le due amiche adulte, Costanza e Nella, potrebbero benissimo non esserci e non sentiremmo la loro mancanza. Le tre amiche ragazze non hanno un minimo di quello che avevano Lenù e Lilla, e non somiglianza alle due donne del rione.
La loro psicologia non è nemmeno indagata, sono messe lì a fare cose che poi non trovano nessun senso. Tutto il mistero che si cela dietro il loro rapporto un po’ odi et amo è proprio distrutto, schiacciato, cancellato con una riga. Baci rubati, minacce di racconti scritti (Ida nuovo Augusto con le liste di proscrizione?) e amicizie finite tutto in mini sequenze senza opportuni sviluppi.
Non proprio da buttare
La vita bugiarda degli adulti aveva molte potenzialità, il trailer lasciava sperare in un prodotto di tutt’altro livello che si è mostrato a tratti banale. Pare che del romanzo sia rimasta solo la trama e un po’ ci dispiace.
L’attenzione per la gente, per le storie comuni è quello che rapisce. A prescindere dall’ambientazione e dalle parolecce, siamo tutti figli e siamo tutti fratelli e tutti adolescenti in un posto che non sembra il nostro.

