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Ode a Jeff Beck, l’antieroe della chitarra elettrica3 minuti di lettura

Se n’è andato velocemente, come i suoi virtuosismi sulla Fender. Geoffry Arnold Beck da Wallington, Londra, meglio noto come Jeff Beck ha lasciato questo mondo a 78 anni martedì 10 gennaio. La sua figura sorniona contornata da capelli corvino ha diviso i palchi di tutto il mondo con una valanga di big del rock e non solo. Una lista lunghissima di artisti che hanno condiviso con lui l’amore per la musica.

Già, l’amore per la musica. Un sentimento che viene prima del mestiere, degli obblighi contrattuali con questa o quella casa discografica. L’amore per la chitarra era viscerale in Beck, un amore artigianale. Come quando creava piccoli strumenti a corda con le scatole di sigari a dodici anni. O come quando restaurava in età adulta le macchine d’epoca. La sua passione artigianale per la chitarra gli ha fatto guadagnare il rispetto sincero e profondo da parte di colleghi e musicisti dilettanti.

Sì, perché Jeff Beck non è mai stato un guitar hero in chiave divistica. Aveva tutte le carte in regola per essere un artista “da poster”. Ma non è mai stato legato a una sola band, neanche il perno di un movimento. Alzi la mano chi imitava le sue movenze: probabilmente pochi. Lui parlava con il suo suono, un muro sonico che si è costruito nel corso di tanti anni di gavetta.

La gavetta e gli esordi con gli Yardbirds

Jeff Beck Group

I suoi esordi da session man prima di sostiutire l’enfant prodige della chitarra britannica, Eric Clapton, negli Yardbirds. Un solo disco, una partecipazione a Sanremo nel 1966 accompagnando la psichedelica Paff… bum di un giovanissimo e strambo cantante bolognese di nome Lucio Dalla. Un solo disco, poi entra Jimmy Page. Due galli in un pollaio, non va bene. Jeff va via e insieme a Rod Stewart, Nicky Hopkins e Ron Wood forma il Jeff Beck Group. Truth (1968) e Beck Ola (1969) sono due capolavori, il sound di Beck va oltre quello che si potesse ascoltare all’epoca.

Durezza, dolcezza, armonici, c’è di tutto e di più in quei dischi. Ma qualcosa non va. Jeff vorrebbe di più. Ron e Rod non ci stanno, litigano con il loro chitarrista e lasciano il gruppo. Jeff incide altri due dischi con la rinnovata band (insieme a Cozy Powell e Bobby Tench) anticipando la fusion.

Finisce l’avventura con il Group, incide dischi solisti, il primo del 1975 ha un successo inaspettato, gli altri di meno ma non gli interessa più di tanto. Diventa una figura di culto per molti musicisti. Tanti chitarristi nell’Inghilterra della seconda metà dei seventies si ispirano a lui per creare un suono più violento rispetto a quello di Jimmy Page e soci. Ragazzi che avrebbero suonato in formazioni heavy metal, più o meno famose.

Una miriade di collaborazioni

Eric Clapton e Jeff Beck

Nel corso degli anni le sue collaborazioni, in studio e live, si sono sprecano: da Pete Townshend ai Bon Jovi, da Luciano Pavarotti a Roger Waters passando per gli Hollywood Vampires di Johnny Depp e Ozzy Osbourne. “Iconico e geniale” per Toni Iommi, “meravigliosamente originale” per Joe Satriani, “un eroe” secondo David Gilmour, “di un altro pianeta” ha detto lo storico amico Rod Stewart, “la sua chitarra ti scorticava la pelle” per Cesareo degli Elii. Ci mancherà.