
La malinconia essenziale nelle illustrazioni di Inbar Algazi3 minuti di lettura
Non è usuale nella critica d’arte contemporanea esplorare il mondo dell’illustrazione, ma nel caso di Inbar Algazi (1994), artista israeliana nata a Berlino, vale la pena ampliare i propri orizzonti. La sua produzione è contenuta soprattutto in libri dedicati all’infanzia, ma dopo gli studi all’Ecole de Condé di Toulouse, ha partecipato anche a mostre e workshop, si è aperta a collaborazioni con altri artisti, istituzioni e gallerie. L’approccio al disegno è tradizionale, ma non mancano le sperimentazioni tecniche, sempre orientate alla creazione di intime storie su carta. Nel nostro breve scambio telematico è emersa la sua necessità fin dalle origini di ritrarre l’effimero, il semplice, quello che generalmente definiamo quotidiano, ma elevato a momento unico, denso di significato perché irripetibile, su cui fermarsi a riflettere.

La bellezza di cui parla attraverso le sue tavole, è quella che si può trovare negli scorci della vita che scorre; così felicità e tristezza, componenti basiche e al contempo difficilmente rappresentabili, diventano elementi imprescindibili per la sua arte. Il suo è:
uno sguardo su piccole cose, anche se portano tristezza. Può essere uno scambio di sguardi tra bambini per strada o la luce che attraversa una nuvola, la sera.
Ammette fin da subito di essere predisposta alla commozione e al fascino di tutto ciò che la circonda, ma questo non svilisce il suo lavoro, al contrario ne rafforza i contenuti. Il suo trasferimento in Francia ha avuto indubbiamente un’influenza sul suo lavoro. Ha passato il primo anno come una specie di “spugna umana”, assorbendo ogni parola, ogni scenario che potesse smuovere la sua creatività. Il fatto di non avere ancora dimestichezza con la lingua in realtà l’ha spinta a lasciarsi andare, con vista e udito aperti, “un dono prezioso, anche se solitario”, e le ha fatto capire come sia proprio l’arte il mezzo costante con il quale potersi esprimere e farsi comprendere.
Un altro aspetto della sua vita che sente di dover sottolineare è l’importanza delle esperienze precedenti, per lo sviluppo della sua arte come lavoro a tempo pieno. Inbar ha studiato presso un teatro di marionette e proprio il modo in cui un burattinaio porta in vita e dirige il suo burattino, portandovi un po’ di sé e del suo respiro, è lo stesso che utilizza lei quando inizia a disegnare: “è il modo per caricare il disegno con qualcosa che voglio dire. Un’emozione o un pensiero”, dice.
Per lei il momento della creazione può essere inaspettato, perché a volte è proprio il personaggio che ha ideato a portarle un’emozione, a raccontarle qualcosa che non si immaginava, e non viceversa.

Ancor più che per altre arti visuali, il rischio per gli illustratori è perdersi tra le innumerevoli figure che producono immagini, digitali e non, senza realmente distinguersi. Certamente la produzione di Inbar riesce nell’intento di affermarsi come un universo ben distinto. Lo fa mostrando una particolare attenzione, se non devozione, a un codice poetico e stilistico costante, quello che in Giappone chiamano wabi-sabi. Non per caso lo stile di Inbar rimanda spesso alla calligrafia giapponese, così come ad alcuni kakemono in cui emerge chiaramente questa antica visione del mondo, insieme al rispetto e al radicato amore nei confronti della natura.Il wabi-sabi concepisce l’universo, le cose e gli esseri viventi che lo compongono, come bellezza imperfetta, impermanente e incompleta.
La meraviglia e la malinconia, la serenità e la consapevolezza interiore di uno scorrere inesorabile, sono alla base della perfetta imperfezione del tutto. Quello che il mondo illustrato da Inbar Algazi ci mostra in ogni sua linea, in ogni suo colore e sfumatura.

