
Il potere del cane. La recensione del film distribuito da Netflix5 minuti di lettura
È stato distribuito da Netflix il 1 dicembre del 2021 il nuovissimo e attesissimo film di Jane Campion Il potere del cane (The Power Of The Dog), trionfatore ai Golden Globe 2022, i più serrati della storia, nelle categorie di Miglior film drammatico, Miglior regia e Miglior attore non protagonista. Il film western della regista neozelandese, con Benedict Cumberbatch e Kirsten Dunst in prima linea, era stato presentato in anteprima mondiale il 1° settembre 2021 a Venezia durante la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, dove si era aggiudicato il Leone d’argento per la migliore regia a Jane Campion.
Montana 1925
I deserti della Nuova Zelanda contemporanea indossano la maschera di quelli dello Stato del Montana dei primi anni del Novecento. Le primissime inquadrature, i campi lunghi e lunghissimi tipici dei film western americani fanno pensare di assistere ad un nuovo tentativo filmico di genere. La traversata del bestiame, il gruppo di cowboy che lo guida, il legame tra due fratelli padroni di un importante ranch sono tutti motivi e temi tipici del western. Ma il lavoro di regia e montaggio della Campion progressivamente evidenzia un piano di realtà che è quanto di più lontano ci sia dal western.
Il potere del cane non è un film di genere, ma epica tragica in ‘versi’.
Phil (Benedict Cumberbatch) e George sono due fratelli proprietari di un ranch in Montana isolato dai centri cittadini più vicini. Sono benestanti ma caratterialmente opposti: Phil è burbero, prepotente, schivo, duro, insensibile, indossa sempre indumenti da lavoro sporchi e consunti, mentre George è docile, sensibile e indossa abiti puliti da imprenditore di inizio secolo.

Una locanda in mezzo al deserto
La locanda Red Mill gestita dalla vedova Rose (Kirsten Dunst) e suo figlio Peter è l’unico luogo di ristoro vicino in cui il gruppo di cowboy di Phil e George può godere di un pasto caldo dopo il duro lavoro. Phil durante la cena deride continuamente il figlio di Rose per i suoi modi gentili ed effemminati: un uomo vero non può comportarsi in questo modo, non può realizzare origami e decorazioni di carta come centro tavola.

La vedova Rose teme profondamente il comportamento di Phil nei confronti di Peter e George cerca di scusarsi. Lo stesso rapporto tra i due fratelli è spezzato, freddo e distaccato: Phil è sempre rabbioso e rancoroso. I motivi di ciò non sono chiari, ma non è la dura vita del deserto e del «mondo del ranch» a suscitare tali reazioni. Qualcosa di più profondo, oscuro e primordiale custodisce la verità. George rimane affascinato dai modi di Rose e se ne innamora. Decide di sposarla portandola a vivere con sé nel ranch di famiglia insieme al fratello Phil. Il figlio Peter è impegnato lontano nei suoi studi di medicina, ma la nuova vita per Rose inizia in salita: il terrore nei confronti di Phil è destinato a diventare un tormento quotidiano.
L’amore di George è quasi innocuo, non è tenace, dunque non capace di darle sicurezza e incoraggiamento: sembra quasi che il matrimonio sia stato compiuto più per aggirare il fardello della solitudine che non per assecondare una vera passione. «È solo che volevo dire quanto sono felice di non essere più solo», dice George a Rose dopo il matrimonio.
Metafora e simbolo
Tutto accade all’improvviso. Il racconto infatti procede in modo metaforico: la narrazione della storia è episodica e ogni scena si dà come un lampo che termina con l’inizio del lampo-scena successivo. La vita nel ranch è condotta all’ombra di altri personaggi sempre nominati ma mai visti: «il vecchio signore», «la vecchia signora» e Bronco Henry. Si scopre che i primi due sono i genitori di Phil e George, di cui i figli temono in giudizio e ne cercano l’approvazione; vivono in città ma vengono chiamati al ranch per conoscere Rose. L’invito a cena viene esteso anche al governatore del Montana. George è desideroso di ottenere dei consensi sociali.
Famiglia e società, le famose gabbie ‘pirandelliane’ imprigionano anche Rose.
E Bronco Henry? Un amico di vecchia data di Phil; gli ha insegnato a cavalcare e tutti i segreti della vita del ranch. Ma il ricordo ossessivo di Bronco Henry nasconde qualcosa sul passato di Phil. La vera discriminante de Il potere del cane è, in modo inaspettato, il personaggio di Peter interpretato da Kodi Smit-McPhee. Il suo arrivo al ranch durante le vacanze estive rende l’atmosfera ancora più inquietante di quanto già non fosse.
I personaggi

Un rapporto triangolare quello tra Rose, Peter e Phil all’interno del quale prevalgono il dispetto, l’affronto, l’arroganza e la prevaricazione da parte di Phil nei confronti dei primi due. Come mai Phil si comporta così? Tali interrogativi attraversano tutto il film di Campion trasformandolo appunto in un dramma poetico.
Le risposte giungono alla fine quando ormai pare evidente il disagio di Phil nei confronti di tutto ciò che si mostra fragile e vulnerabile. Rose e Peter sono per Phil il simbolo, l’eco di un passato sepolto che egli cela con rabbia e vergogna. La trasformazione vendicativa di Peter contribuirà a portare a galla tutto quanto.
Le conclusioni
Un film quello di Campion costruito sulla tensione emotiva che affianca ogni evento narrativo mostrato: come si è detto la narrazione ne Il potere del cane non è fluida ma spezzata e la divisione in ‘capitoli’ o ‘atti’ si presta a conferire ad ogni evento il suo alone mitico e definitivo.
Le musiche acuiscono le sensazioni di disagio e instabilità, mentre il montaggio quasi ‘connotativo’ ed espressivo per mezzo delle inquadrature che si incastrano le une sulle altre, favorisce una visione non letterale ma appunto, simbolica e metaforica de Il potere del cane.
Stavolta Netflix non delude. Almeno con la distribuzione.

