
Il grande dittatore di Charlie Chaplin: un classico senza tempo5 minuti di lettura
Il grande dittatore, film del 1940 di Charlie Chaplin, è un classico che appartiene alla storia del cinema. La pellicola ricevette cinque nomination all’Oscar, tra cui quella per la miglior sceneggiatura originale, che porta la firma dello stesso regista e compositore britannico, e per la colonna sonora di Meredith Willson. Nonostante la censura e le difficoltà riscontrate nella distribuzione, il lungometraggio riscosse un notevole successo commerciale. Inoltre l’opera segnò la svolta che portò l’artista per eccellenza del cinema muto, ideatore di Charlot, alla realizzazione del primo sonoro della sua carriera, con scene interamente dialogate.
Riguardando Il grande dittatore, alla luce di quanto accaduto in questi 82 anni, pare che il tempo si sia fermato. Ancora si discute di propaganda, armi, alleanze, invasioni e genocidi. Forse l’intera umanità è reduce da una lunga amnesia proprio come il protagonista del film. Cambiano i volti dei leader mondiali, più o meno democratici, ma Charlie Chaplin oggi avrebbe solo l’imbarazzo della scelta tra le personalità da parodiare.
Il grande dittatore: tra comicità e tragedia

La trama si dipana alternando costantemente sequenze della vita dell’umile barbiere ebreo e di Adenoid Hynkle, il despota di Tomania. Entrambi i personaggi sono interpretati da Charlie Chaplin, che si ritaglia un duplice ruolo. Questo continuo avvicendamento è funzionale nel creare un perfetto equilibrio tra la slapstick comedy e la tragicità della persecuzione antisemita sino all’epilogo finale, vero e proprio punto di rottura dello schema rappresentativo.
Il grande dittatore strappa risate con esilaranti gag fisiche, sbeffeggia l’isteria e la vanità del potente di turno e apre la strada alla speranza con un monologo spettacolare. Con coraggio, acume e sensibilità, Il regista britannico narra i soprusi subiti dal protagonista, di ritorno nella sua città natale e nella sua bottega dopo una lunga amnesia e le ferite riportate nella guerra del 15-18. Passiamo così dalle spassose e goffe imprese del soldato sul campo di battaglia, con le quali si apre la pellicola, alla cruda violenza perpetrata dai nazisti ai danni degli ebrei del ghetto, in un scenario storico profondamente cambiato. Un caso fortuito e la straordinaria somiglianza fisica tra Hynkle ed il barbiere, porteranno quest’ultimo sul palco in Ostria, dove pronuncerà un appassionato discorso davanti alla folla gremita.
La parodia feroce ed efficace di Hitler

La maestria di Charlie Chaplin emerge più che mai nell’aver colto e restituito al grande schermo la personalità di Hynkle/Hitler, attraverso lo studio del linguaggio, della tecnica oratoria, della postura e della mimica facciale. Una parodia feroce ed efficace, che enfatizza l’infantilismo e la vanità del dittatore, nato solo quattro giorni dopo l’attore, il 20 aprile 1889. Ossessionato dal potere e dalla sua immagine pubblica, consigliato dal Ministro della propaganda, il Führer compete con il rivale mussoliniano Benzino Napaloni, duce di Bacteria, per conquistare l’Ostria, la sedia più alta e l’inquadratura migliore.
Isterico, urlante, imbroglione, dall’intelletto mediocre, l’autocrate è tutto fuorché un leader di caratura internazionale. Appare piuttosto come un fanciullo cresciuto e insicuro, dall’ego smisurato e narcisista, che sulle note del preludio del Lohengrin di Wagner gioca con il mappamondo sognando di essere l’imperatore del globo. La scena speculare, immediatamente successiva, evidenzia il parallelismo dei personaggi. Con la Danza Ungherese di Brahms in sottofondo, il barbiere è intento nel radere un cliente, sincronizzando i suoi gesti al ritmo della sinfonia.
Il discorso all’umanità di Charlie Chaplin
La scrittura del monologo finale de Il grande dittatore richiese mesi, come testimonia l’archivio Charlie Chaplin catalogato dalla Fondazione Cineteca di Bologna. Ecco l’incipit:
“Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore, non è il mio mestiere. Non voglio governare né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti se possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca, è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abiette.
Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti, la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà nell’uomo, reclama la fratellanza universale. L’unione dell’umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo.
Milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente. A coloro che mi odono io dico: non disperate! L’avidità che ci comanda è solamente un male passeggero, l’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. E il potere che hanno tolto al popolo, ritornerà al popolo. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa”.

