
Arte felina: il gatto tra storia e cultura15 minuti di lettura
Sensuale, elegante, misterioso: il più piccolo dei felini non smette mai di affascinare. Con il suo portamento regale, l’aspetto raffinato e uno sguardo a volte enigmatico, il gatto ha accompagnato l’uomo per secoli, fino a diventare il padrone indiscusso delle nostre dimore. Perché chi ha un gatto lo sa: in casa, gli ospiti siamo noi!
Nell’era di Internet nessun animale ha catturato l’attenzione del pubblico quanto il gatto domestico. La sua popolarità nelle immagini e nelle arti grafiche, tuttavia, non è un fenomeno recente, ma affonda le sue radici in tempi antichi.
Ciò nonostante, la convivenza con l’uomo non è sempre stata semplice. Se infatti, ad esempio, il gatto rivestiva un ruolo di prestigio nell’antico Egitto, lo stesso non si può dire per la sorte che ebbe in epoche come il Medioevo, quando fu relegato a simbolo demoniaco.
Grazioso, gentile, armonico, ma allo stesso tempo incarnazione dei vizi: pigrizia, lussuria, impudenza. Da antichi dipinti a grafiche moderne, i gatti rubano la scena da secoli. Oggi esploreremo il ruolo che hanno avuto nel corso del tempo in arti e culture di epoche diverse.
Animale sacro per gli Egizi
Nel corso della storia dell’arte, nessuna cultura ha rappresentato i felini come gli Egizi, che consideravano i gatti come animali sacri. Nell’antico Egitto i gatti erano ovunque: scolpiti nella roccia, dipinti su piatti e pareti di camere funerarie, modellati attraverso l’argilla. Disegni di gatti venivano spesso rinvenuti su antichi sarcofagi e sulle mura che li racchiudevano.

Gli Egizi ne fecero oggetto di rappresentazione sulle superfici e sui materiali più disparati, dai papiri ai dipinti, e ne utilizzarono le sembianze nella raffigurazione degli dèi. Emblematico è l’esempio di Bastet, dea della fertilità e della femminilità, con corpo umano e volto animale. Considerati parte della famiglia, i gatti domestici, al pari dei cari defunti, venivano mummificati e seppelliti, affinché potessero anch’essi proseguire il loro viaggio nella vita ultraterrena.

Storia antica
Grazie agli Egizi, intorno al 500 a.C. i gatti giunsero in Europa dall’antica Grecia attraverso le navi mercantili, e per molto tempo furono considerati animali esotici e lussuriosi. Dall’Europa la loro diffusione si estese ai paesi musulmani, per poi raggiungere il continente asiatico intorno al 200 a.C.
Fu solo ai tempi degli antichi Romani che i piccoli predatori cominciarono a essere utilizzati per scopi pratici. Nei dipinti greci e romani le immagini dei gatti erano riprodotte su monete, anfore, mosaici ecc.; tuttavia, erano solo visti come degli alleati nella lotta contro i roditori. In ogni caso, fino alla distruzione dell’impero romano il gatto rimase un animale domestico utile e ricercato.

La persecuzione nel Medioevo
Nel Medioevo, quando l’Inquisizione dichiarò guerra ai miscredenti, si diffuse un clima di ostilità verso i piccoli felini. Con l’intolleranza verso ogni forma di adorazione pagana, il gatto cominciò a essere associato alla superstizione e alle streghe, per via della sua propensione alla vita notturna e per il suo portamento furtivo e silenzioso. Persino la peste del XIV secolo fu ingiustamente attribuita ai gatti, e l’arte finì per risentirne, al punto che l’immagine del gatto nero divenne, nelle rappresentazioni del tempo, emblema del male.

A ciò contribuì la natura religiosa dei dipinti dell’epoca, che faceva sì che ogni oggetto raffigurato fosse rivestito di una carica simbolica e assumesse un significato ideologico. Nell’iconografia cristiana, i gatti simboleggiavano pigrizia e lussuria, ma anche tradimento e inganno. In alcune immagini medievali erano addirittura rappresentati insieme a Eva durante la cacciata dall’Eden.

Il Rinascimento: la svolta con Leonardo
Agli inizi del Rinascimento si aveva ancora una certa avversione nei confronti dei gatti. Nella sua Ultima Cena, ad esempio, il Ghirlandaio dipinge un gatto dietro alla figura di Giuda Iscariota, traditore di Cristo, continuando la tradizione medievale di ostilità verso l’animale.

Gli artisti del Rinascimento rimasero per molto tempo legati alla simbologia canonica, come testimoniato dal Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch. In questo caso, nella prima sezione del trittico, il gatto con il topo tra le fauci rappresenta il male.


Col tempo la situazione iniziò gradualmente a cambiare: i freni del pregiudizio religioso cominciarono ad allentarsi, le condizioni di vita migliorarono e i gatti cominciarono a essere visti non più come una minaccia ma come animali da compagnia. Per il maestro del Rinascimento, Leonardo da Vinci, essi divennero oggetto di ricerca scientifica. “Il più piccolo dei felini è un capolavoro”, scriveva Leonardo, riempiendo le pagine del suo album con disegni di questo animale intento nella toelettatura, impegnato nel gioco o nella caccia.

Una strada tutta in discesa
Pian piano i gatti conquistarono il loro posto non solo in casa ma anche nella pittura. Spesso venivano simpaticamente ritratti mentre rubavano il cibo, con un senso di ammirazione per la loro destrezza e sagacia. Ne sono un esempio le tele della pittrice fiamminga Clara Peeters, come quella che segue.

Tra il XVII e il XVIII secolo, i gatti erano ormai entrati a far parte della vita umana, e già intorno alla metà del ‘600 cominciarono a essere riconosciuti come parte integrante della famiglia, come nella Famiglia felice di Louis Le Nain. La loro presenza era spesso una metafora della maternità, di una casa accogliente e della libertà.

I gatti divennero quindi personaggi degni di nota in scene domestiche di artisti come Jean-Baptiste Perronneau.

A ciò contribuì la consapevolezza che la causa scatenante della nuova epidemia di peste fosse riconducibile ai ratti e non ai loro antagonisti per antonomasia. Riammessi in società, i gatti tornarono a diffondersi in Europa e a popolare pagine di romanzi, poesie e quadri come attributo indispensabile per una vita familiare felice.
Nei ritratti di giovani donne, essi enfatizzavano la femminilità e la tenerezza dei loro proprietari, mentre alle nature morte apportavano un senso di intrigo e azione, per via del loro lato giocoso.
Verso la metà del XVIII secolo cominciò a diffondersi in Europa l’animalier come genere indipendente. In tale ambito, il famoso pittore inglese George Stubbs realizzò un ritratto, The Godolphin Arabian, nel quale rappresentò l’amicizia tra un cavallo e un gatto.

Tra ‘800 e ‘900: il gatto come protagonista e metafora
Il romantico ‘800 vide accogliere il gatto in casa come compagno del focolare e non più come semplice strumento scaccia-topi. Nel XIX secolo gli artisti si affrancarono dal simbolismo tradizionale e iniziarono a utilizzare gli animali come mezzo aggiuntivo per esprimere le emozioni ed enfatizzare stati d’animo o tratti della personalità dei personaggi che dipingevano. Tra ‘800 e ‘900 furono diversi gli artisti che fecero dei gatti i protagonisti indiscussi delle proprie tele.
Una di questi era Henriëtte Ronner-Knip, principalmente conosciuta per i suoi dipinti di animali domestici, in particolare di gatti. Le sue opere, di impronta sentimentale, raramente si prestavano a interpretazioni metaforiche, e si concentravano esclusivamente sui gatti in quanto tali. La Ronner-Knip infatti studiò con dedizione e profondo interesse tale soggetto. Pensate che arrivò perfino a costruire uno studio con delle pareti di vetro nel quale i suoi gatti potessero scorrazzare liberamente.

I gatti spopolano anche nel trittico stampa dell’illustratore giapponese Utagawa Kuniyoshi, dove ne compaiono ben 53. Uno sgattaiola fuori da un cesto, alcuni acchiappano dei topi e altri mangiano del pesce… Kuniyoshi amava i gatti, e il suo amore per i felini sconfinò nelle sue opere, divenendo l’ispirazione di molte delle sue pregiate stampe. A volte essi appaiono come protagonisti di storie famose, altre volte sono degli splendidi oggetti di studio. Kuniyoshi dipinse spesso anche gatti con forme antropomorfe.

Gatti rappresentati come le 53 stazioni della Tōkaidō è una divertente parodia delle 53 stazioni della Tōkaidō di Hiroshige, collezione bestseller nella storia del genere ukiyo-e. La Tōkaidō (strada del mare orientale) aveva 53 diverse stazioni – dei punti di ristoro – che offrivano riparo e cibo ai viaggiatori. Kuniyoshi decise di riprendere il soggetto delle stazioni adattandolo a quello felino, creando dei giochi di parole a tema. Per esempio, la stazione 41 denominata Miya ricorda il suono della parola giapponese “oya” (親), che significa “genitore”. Per questo è stata raffigurata con due cuccioli insieme alla loro mamma.

Simpatica e divertente, La sinfonia dei gatti di Moritz von Schwind raffigura il pentagramma di una melodia per violino rappresentata in chiave umoristica con dei gatti al posto delle note, probabilmente una versione caricaturale della musica di Wagner, che l’artista non apprezzava molto.

Tuttavia, nonostante gli esempi positivi che abbiamo appena visto, il passato oscuro dei gatti non era ancora del tutto superato. Manet, ad esempio, inserisce un esemplare di gatto nero nella sua controversa Olympia, un nudo di donna ai cui piedi troviamo l’animale che ne simboleggia la natura lussuriosa (la donna è infatti una prostituta).

Nonostante i retaggi del passato, possiamo comunque affermare che si fossero ormai generalmente diffusi sentimenti positivi nei confronti del piccolo felino. Il gatto è spesso protagonista nelle tele di Gauguin, accanto a figure perse nei propri pensieri o a fiori appassiti ormai privi di vivacità, e in quelle di Matisse, per il quale i gatti erano inseparabili compagni di vita.


Franz Marc, artista tedesco attivo a cavallo tra ‘800 e ‘900, è conosciuto per le sue rappresentazioni dai colori brillanti di animali di vario genere, tra cui i gatti, come quello che vediamo qui sotto. Alcune delle sue opere più famose raffigurano i piccoli felini mentre dormono o si dedicano alla toelettatura. Per Marc, gli animali sono simbolo di verità, purezza e bellezza.

Nel XX secolo i gatti non erano più solo protagonisti della pittura di genere. Gli artisti utilizzarono la loro immaginazione creativa per dotarli di caratteristiche umane e viceversa. Ne sono un esempio Parigi dalla finestra di Marc Chagall, dove il gatto rosso alla finestra ha una testa umana, o il Gatto che cattura un uccello di Picasso, che testimonia la natura predatoria dell’animale: con i suoi artigli enormi e le zanne in vista, tiene in ostaggio un volatile che tenta disperatamente di divincolarsi – una metafora della minaccia fascista emergente a quei tempi.


Uno sguardo all’arte contemporanea
Il tema felino non fu ignorato neppure da Andy Warhol, che era un vero appassionato di gatti, ai quali dedicò una ricca serie di disegni.

Chiudiamo il nostro viaggio nell’arte felina con una imponente scultura dell’artista americano Jeff Koons, di cui sono state realizzate cinque versioni in colori differenti. L’installazione in polietilene, secondo l’artista, può essere interpretata come protezione del grembo materno o come una forma di crocifissione contemporanea o, più semplicemente, come un tenero e simpatico gattino all’interno di un calzino appeso. A voi la scelta.


