
Francisco Goya e Il cortile dei lunatici. Follia e buio nell’arte3 minuti di lettura
La rappresentazione della follia e della malattia mentale ha una storia lunga e particolare che copre secoli e secoli della storia dell’uomo. Ma non dobbiamo pensare che questa rappresentazione abbia a che fare solamente con la scienza. Infatti, per lungo tempo furono gli artisti, pittori o scultori, a fornire le uniche rappresentazioni di folli, sia con ritratti che con scene di vita quotidiana. Uno di questi artisti fu sicuramente Francisco Goya che diverse volte raffigurò scene all’interno dei manicomi del tempo. La prima di queste opere fu il Cortile dei lunatici, dipinto mentre il pittore si riprendeva dai suoi problemi di salute.
L’imagine del folle ai tempi di Goya
Il rapporto tra la malattia mentale, la sua definizione e la sua identificazione visuale è un argomento interessante e complesso. A lungo si è creduto che una qualsiasi deficienza mentale potesse essere identificata da qualche segno esteriore, da qui l’esigenza di avere delle rappresentazioni grafiche. Nel corso del tempo si forma una vera e propria tradizione della rappresentazione della follia che produce immagini che si ripeteranno continuamente nel corso dei secoli. La figura del melancolico o dell’irascibile sono solo due dei molti aspetti della malattia mentale del tempo. E le forme tipiche di queste malattie rimarranno ben impresse nel pensiero comune non solo degli artisti che le usano nei loro lavori, ma anche nella mente di persone comuni.

Come vedremo, all’interno del suo quadro Goya utilizza alcune queste rappresentazioni stereotipate permettendo di identificare quale sia lo stato mentale dei pazienti. Sappiamo inoltre che i vari quadri che Goya dedicherà alla follia e ai manicomi sono influenzati anche dall’esperienza diretta del pittore che fu testimone diretto di scene simili al manicomio di Saragozza. Inoltre, lo stesso Goya non gode di ottima salute con malattie che costantemente mettono a dura prova la sua salute mentale.
Il cortile dei lunatici
Il quadro viene prodotto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, e la follia dipinta è figlia del pensiero del tempo, ma non solo. Come già accennato Goya si lascia influenzare dalle classiche forme della follia come quella della melancolia o dell’esorcismo. Al centro possiamo vedere un paziente che lotta con gli infermieri in un impeto d’ira e agitazione che rende l’operazione di immobilizzazione molto complessa. Al lato sinistro del quadro vediamo invece la figura del melancolico, in piedi con la bocca spalancata e le mani nascoste. Nel frattempo, al lato opposto, una figura con lo sguardo macabro che abbraccia le proprie gambe chiudendosi in sé stesso, richiama la figura del demone di Füssli nel suo Incubo. Infine, dietro quest’ultima figura possiamo vedere un altro personaggio. Anch’egli è riconducibile alla melancolia ma questa volta con un’iconografia differente, ossia quella che si rifà alle statue di Cibber.

Tutta la scena permette al pittore di sottolineare la situazione disperata degli internati nei manicomi dell’epoca. L’uso del bianco e del nero amplia fortemente questa sensazione di chiusura e disperazione. Il bianco irraggiungibile della luce esterna contrasta con il profondo nero dell’interno. Qui i pazienti sono costretti a vivere la propria esistenza di emarginati. Il nero della follia è tradotto da Goya come l’oscurità del manicomio.

