
La filosofia: un tafano fastidioso ma essenziale3 minuti di lettura
La questione sulla dubbia utilità della filosofia aleggia sin dall’antichità, e da sempre la soluzione più gettonata tra gli ambienti intellettuali suona all’incirca così: “La filosofia è utile perché sviluppa il pensiero umano e allena la mente all’esercizio del ragionamento”.
Ed è senza dubbio tutto vero. Ma per una persona che la filosofia non l’ha mai studiata (o lo ha fatto in modo raffazzonato), motivazioni di questo calibro suonano come paroloni astratti, sofistici, privi di ricaduta pratica. Ma siamo certi che la filosofia debba necessariamente avere una finalità “pratica”? Prima di rispondere a questo quesito, però, occorre fare un passo indietro e chiarire, per quanto possibile, l’oggetto della questione.
Che cos’è la filosofia?
A differenza delle scienze “dure” – che agiscono, cioè, su un campo d’interesse ben distinto e riconoscibile – la filosofia non ha un oggetto specifico o concreto. Quella filosofica è una riflessione che affronta una certa questione, non tanto servendosi di strumenti che permettano di giungere alla risoluzione del problema, ma assumendo piuttosto una prospettiva nuova, che risponde a criteri di profondità. La filosofia indaga il senso di vari concetti e conferisce loro profondità. Non è un’indagine sulla natura effettiva di qualcosa, ma sulla sua essenza, sul suo significato: filosofare significa elaborare soggettivamente qualcosa che non si conosce analizzandolo da differenti punti di vista.
Ma quali sono le potenzialità della filosofia a livello sociale? Insomma, a che cosa serve?
Spesso si ha una concezione erronea delle discipline umanistiche, che tende a conferire obbligatoriamente un senso o una ricaduta pratica a ciò che si apprende. L’informatica è utile per destreggiarsi nel mondo tecnologico nel quale siamo totalmente immersi; le lingue servono a comunicare con l’esterno; le nozioni di economia sono fondamentali per chi desidera costituire il tessuto amministrativo della nostra società. Ma la filosofia a che cosa serve? Beh, la riposta è a niente. Non serve a niente se la si osserva in una prospettiva esclusivamente materialistica, finalizzata a trarne un “oggetto tangibile” o un guadagno concreto.
Ma affiancare una tale concezione pratico-utilitaristica alla filosofia contraddice la sua stessa essenza, ciò che essa deve rappresentare a livello sociale. La filosofia non ha come obiettivo quello di individuare delle strategie per il successo. Il filosofo non è l’intellettuale che varca la soglia di un’azienda e, rigonfio del proprio bagaglio filosofico-culturale, fa immediatamente schizzare in alto i profitti della ditta. Ciò che il filosofo fa per la società è simile a ciò che Socrate faceva per Atene. Il tafano. Un disturbatore seriale. Quel fastidioso individuo che interroga le persone su argomenti di cui non vogliono occuparsi e le costringe a farsi domande e porsi in opposizione con se stesse. La filosofia ribalta la prospettiva standard, insegnando a indagare una stessa questione attraverso differenti lenti d’ingrandimento.
Questo suo meccanismo apparentemente antisociale, che la spinge a non adattarsi sommessamente a ciò che la società impone, costituisce, quasi come un paradosso, il motore del progresso umano, perché incentiva lo sviluppo di un pensiero critico. Grazie alla filosofia, e quindi al desiderio di conoscere, di indagare, di porsi delle domande, l’individuo può prendere una posizione, mutarla oppure respingerla. E se l’uomo non fosse in grado di essere o non essere d’accordo, se accettasse pedissequamente ogni cosa che esiste per come esiste, il mondo non sarebbe altro che un eterno e immutabile dipinto polveroso.

