
Chagall e l’Opera Garnier: un sogno tra musica, danza e colore3 minuti di lettura
L’Opéra Garnier di Parigi custodisce al proprio interno un tesoro pittorico che lascia qualunque visitatore o spettatore senza fiato. Nel 1963 infatti il Ministro degli Affari culturali francese affida la decorazione della cupola del primo teatro parigino all’artista Marc Chagall.
Marc Chagall: l’artista del sogno

L’autore, nato in una famiglia ebraica a Lëzna, trasferitosi poi per studiare arte a San Pietroburgo, una volta arrivato a Parigi scopre e si nutre delle correnti pittoriche delle Avanguardie europee; si colloca inizialmente nel quadro dell’Espressionismo selvaggio russo animato però da una vena mistica derivante dalla sua religione, si avvicina successivamente al cubismo criticandone in un secondo momento l’eccessivo attaccamento alla macchina, si appropria infine di un linguaggio ricostruttivo.
Le figure, definite “infantili”, presentano torsioni inverosimili, si staccano dal suolo, levitano e volano leggiadre in un sogno senza tempo. Il colore a poco a poco si fa sempre più brillante, vivo e fuoriesce dai contorni, espandendosi come macchia.
Il lavoro di Chagal sull’Opera Garnier

I pannelli di Chagall vengono presentati al pubblico nel 1964, non senza critiche che hanno mosso dubbi sulla coerenza stilistica della struttura. Il capolavoro del nuovo soffitto della Grande Salle consiste in 220 metri quadrati in cui l’elemento dominante è il colore: il rosso, il giallo, il blu, il bianco e il verde circoscrivono delle sezioni in cui l’artista rende omaggio a 14 tra i più grandi compositori della storia della musica europea.
È possibile distinguere scorrere, nel pannello centrale, la Carmen di Bizet (su sfondo rosso) dove un toro suona le corde di una chitarra, accanto al giallo dedicato alla Traviata di Verdi, Orfeo e Euridice di Gluck e il Fidelio di Beethoven; al Boris Godunov di Musorgskij viene riservata la sezione blu della circonferenza più esterna, affiancato da un lato dalla citazione del Flauto magico mozartiano, dall’altra dai movimenti angelici delle Villi di Giselle accompagnate dalla rappresentazione de Il lago dei cigni (in giallo). Oltre si trovano le storie d’amore (in verde) di Tristano e Isotta messa in musica da Wagner, e di Romeo e Giulietta raccontata da Berlioz, gli omaggi a Ravel, Debussy, Stravinskij.
Attira l’attenzione la creatura onirica dal busto e le ali in rosso, che trapassa l’area riservata alla narrazione della storia russa di Musorgskij: si tratta della fusione dei protagonisti del Flauto magico, Tamino e Papageno; la figura regge in mano lo strumento incantato e viene raffigurato con il volto e il corpo di uomo (il principe Tamino), la nuca da uccello che simboleggia l’aiutante “uomo uccello” e un paio di grandi ali innestate sulla schiena.

La musica, la danza e il colore si mescolano in quest’opera come in un turbinio di emozioni, di visioni sognanti, di percezioni immaginative proprie delle arti. Le figure si snodano leggere, risultano flessuose come i gesti dei più grandi ballerini, si muovono senza peso con la musica, e come il suono stesso, nello spazio, scandito unicamente dalle macchie di colore.
Numerosi elementi lontani tra loro dialogano rompendo le barriere tra discipline, sfidando il peso dei corpi, ignorando il dato del reale: un violino alato accompagna l’omaggio a Stravinskij, vedute dall’alto sulle città affiorano tra corpi amanti intrecciati, altri sospesi, ancora creature alate e cavalli vorticano sostenuti solo dalla linea netta dei loro contorni fiabeschi, e dalla fantasia visionaria dell’artista.

