
Su Cézanne e sull’arte come destino5 minuti di lettura
“Tutta la realtà lì è dalla sua parte: in quel celeste denso, ovattato, che è suo, in quel suo rosso, nel suo verde privo d’ombra, nel nero rossastro delle sue bottiglie di vino. Che povertà hanno anche in lui tutti gli oggetti: le mele sono mele da cuocere e le bottiglie di vino si addicono a vecchie tasche slabbrate”.
L’incontro
È l’ottobre del 1907 quando Rainer Maria Rilke scrive alla moglie Clara Westhoff da Parigi per un incontro che lo ha scosso profondamente. Si tratta della scoperta dei dipinti di Paul Cézanne, morto l’anno precedente, esposti al Salon d’Automne.


Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen
Tra i corridoi del Gran Palais, Rilke ammira le rocciose angolature della Sainte Victoire e gli tornano alla mente le parole con cui Emile Bernard rievocava a sua volta l’amico pittore: un essere umano umile, dedito al lavoro fino all’ossessione, creatore di una pittura essenziale volta a cogliere la vera sostanza del reale, disinteressato alla cieca imitazione.
Una figura piena di dignità, quella di Cézanne, che si è privato di qualsivoglia ricchezza per donarsi con sempre più vigore e spirito alla tela. Definito in dissidio con ognuno dei suoi lavori, sempre insoddisfatto, Cèzanne, in solitudine e nel modo più ostinato possibile, trascorreva i suoi giorni ad Aix-en-Provence immerso nel lavoro. Rilke si specchia in questo ritratto, si sente compreso “da un punto di vista personale” e vi ritrova la sua sfida più grande: dare forma a ciò che di così frammentario, confuso e provvisorio ci circonda.
In uno stato di continua meraviglia, Rilke si sofferma su alcune opere tra cui il noto dipinto La signora Cézanne sulla poltrona rossa (1877 circa); nella sua ultima visita al Salon dichiara di voler “cercare ancora un viola, un verde o certi toni celesti” così da fissarli eternamente, “in modo più indimenticabile”. E in modo più sentito ed esatto di qualsiasi critico di professione, Rilke ci racconta di questa poltrona rossa, tanto vivida nella presenza da essere “una personalità”, sulla quale:

“siede una donna le mani nel grembo di un’ampia gonna a righe verticali, resa con levità da piccoli tocchi sparsi di giallo-verde e di verde-giallo, fino all’orlo della giacca grigio- azzurra, chiusa sul davanti da un nastro di seta che gioca con riflessi verdi. Nella chiarezza del viso, la prossimità di tutti questi colori è sfruttata per una semplice modellazione: persino il marrone dei capelli avvolti a cercine al di sopra della scriminatura e il bruno serico degli occhi deve farsi sentire da quanto lo circonda.
È come se ogni punto sapesse degli altri. Tanto partecipa; tanto si avverano in esso adattamento e rifiuto; tanto ciascuno prende cura a suo modo dell’equilibrio e lo mette in opera: come l’intero quadro, infine, tiene in equilibrio la realtà”.
Si evince da queste parole la grande stima nei confronti della produzione di Cézanne, che ha saputo andare oltre quella dei pittori della tradizione precedente. Il maestro provenzale è riuscito a ritrarre “un senso ostinato del reale”, tutto ciò che ha conosciuto e amato restituisce attraverso i colori. La grandiosità dei suoi quadri, dice Rilke, è da attribuirsi alla perseveranza con cui è rimasto nell’intimo della sua opera, dedicandovisi completamente, senza cercare altrove il proprio compimento, la propria felicità.
L’arte come destino
È chiaro che l’incontro con la pittura di Cézanne non lascia Rilke indifferente, anzi scatena in lui “un incendio di chiaroveggenza”. Ad ogni più approfondito sguardo, Cézanne non solo lo colpisce, mostrando cosa sia la dedizione nella propria arte, ma gli rivela il senso ultimo dell’opera e di conseguenza il compito dell’artista. “Come una freccia fiammeggiante” gli rivela ciò che manca per affrontare il suo costante senso di inadeguatezza e malinconia, svelando come cogliere l’evanescenza del mondo, che egli desiderava trattenere nelle sue pennellate.
Il pittore desta nel poeta la forza di affrontare la caducità, l’angosciosa consapevolezza del panta rei greco che tanto lo affligge e che lo ostacola nel portare a termine i suoi scritti. Cézanne aveva compreso, tra insoddisfazioni e sacrifici, che è necessario dare una forma propria alle cose, così che possano avere un senso per noi; non si possono solamente guardare per come appaiono, perchè essere cambiano continuamente, nascono e svaniscono.
Bisogna arrivare a quella réalisation su cui ossessivamente insisteva e che rende le cose del mondo, proprio in virtù della loro caducità e frammentarietà, eterne dentro di noi; non semplicemente “riprodotte”, ma ogni giorno fatte vive, animate attraverso lo sguardo e attraverso l’opera d’arte nella sua concezione più ampia. Un invisibile che può essere reso visibile, dalla nostra consapevolezza e dalla nostra accettazione del bene e del male. Questo è l’insegnamento più grande che Paul Cézanne lascia a Rilke e che perdura oggi insieme alla sua arte.
Un’arte che si rivela come destino, come necessità di abbracciare e dunque saper dire il bello e poi l’orribile, il tremendo, la vita generata e la decadenza, affinché tutto passi attraverso di noi, abbracciati a nostra volta.
Fonti
* Le citazioni presenti nell’articolo sono tratte dal seguente volume, a cui anche il titolo si ispira liberamente: F. Rella (a cura di), R. M. Rilke, Verso l’estremo. Lettere su Cézanne e sull’arte come destino, Pendragon, 2007.

