
Cenerentola (2021): Bibidi Bobidi Boh5 minuti di lettura
Poche storie sono state raccontate tante volte in varianti tanto differenti come quella di Cenerentola. Oggetto di innumerevoli adattamenti lirici e teatrali, nonché televisivi e cinematografici, nel 2021 la favola di Cenerentola approda anche su Prime Video, con un film diretto e sceneggiato da Kay Cannon (Pitch Perfect 2, Pitch Perfect 3) e prodotto, tra gli altri, da James Corden. Un musical che unisce rifacimenti delle più celebri canzoni pop ad animazioni improbabili, cospargendo il tutto di battute femministe – molto apprezzabili, in effetti – e dialoghi il più delle volte imbarazzanti – meno apprezzabili. Bibidi Bobidi Boh.
Un’arma a doppio taglio
Si sa, buttarsi nel rifacimento di storie trite e ritrite è un’arma a doppio taglio. Da un lato, storie di questo tipo offrono un canovaccio stabilito, una base solida alla quale apportare i cambiamenti necessari ad ottenere la propria versione. Dall’altro, questi stessi cambiamenti spesso non sono sufficienti a rimuovere un’inalienabile sensazione di già visto, di ripetizione. E questo è particolarmente vero per la storia di Cenerentola.
Il dono e la condanna del musical

In ogni musical arriva un momento, settato in un punto strategico della trama, quell’attimo di gioia purissima che precede l’inizio della canzone: indimenticabile, spettacolare, epica. Pensiamo a The Lion King, Wicked, Mamma Mia! e Les Misérables e alle loro canzoni più amate. Nel caso di Cenerentola, accade qualcosa di leggermente diverso. Ad ogni minimo pretesto l’intero cast inizia a cantare, ottenendo il risultato di momenti spesso forzati al limite del ridicolo. E che dire della colonna sonora?
Rifacimenti di noti brani pop, come Am I Wrong di Nico & Vinz, Somebody To Love dei Queen, Perfect di Ed Sheeran e Let’s Get Loud di Jennifer Lopez a brani originali, per giungere a pezzi rap eseguiti in abiti pseudo-ottocenteschi con tanto di coreografia. Entusiasmante, su carta. Incubo esplosivamente colorato, su Prime Video.
Certo, non tutte le canzoni vengono per nuocere. Pensiamo a Material Girl di Madonna, cantata dalla non così perfida matrigna, la mitica Idina Menzel (Elsa in Frozen e storica Elphaba in Wicked). Anche il singolo principale del film, Million to One, scritto per l’occasione e cantata da Cenerentola in persona (Camila Cabello) non risulta poi così malvagio.
“Se devo scegliere, scelgo me”

Aggiungere qualcosa di realmente significativo ad una storia diffusa come questa non è impresa da poco. Cenerentola (2021) ci riesce con il femminismo. Se l’unico sogno della protagonista come l’abbiamo conosciuta finora era quello di poter partecipare al ballo, la Ella raccontata da Prime Video ha aspirazioni ben più alte. Sogna, infatti, di aprire un negozio tutto suo, dove vendere le sue creazioni sartoriali. E si trova costretta a dover scegliere tra l’amore che prova per il principe azzurro (Nicholas Galitzine, New York Academy e Handsome Devil) e il suo sogno.

Così, tra battute saggiamente piazzate e ironia sulla cornice storica, il film diventa una storia di autodeterminazione di una business woman ante litteram, in un’epoca in cui il privilegio maschile era ancora più marcato e limitante che nella nostra. “Questa ragazza pensa di essere un uomo d’affari”, canzonano alcuni abitanti del villaggio ad un primo tentativo di Ella di vendere i suoi vestiti. Fondamentale, a questo proposito, la storia della matrigna, mai raccontata da questo punto di vista: anch’essa la storia di una donna che ha osato anche solo sperare di farsi strada in un mondo fatto a misura d’uomo. Maschile singolare.
Divertirsi in un giorno di pioggia

In definitiva, nonostante alcuni elementi positivi – il take femminista della favola, l’estrema cura dei costumi e del set, l’inserimento di un Billy Porter nei panni della fata madrina non-binary, in ode a tutto ciò che è politically correct – Cenerentola (2021) rimane un film insipido, che lascia perplessi.
Le animazioni dei topolini, che definire barbariche sarebbe un complimento, il vestito del ballo di Cenerentola, carino senz’altro ma, per l’appunto, carino e non mozzafiato come invece dovrebbe essere e un inalienabile effetto cringe generale. Un film che pretende di essere divertente ma fa solo ridere. Di sé.
Impossibile non metterlo in pausa ogni cinque minuti ed essere presi da quella terribile domanda che vorremmo evitare ma che ormai è già bella e formata in testa e pretende una risposta: “Vale la pena di continuarlo?”. E alla fine premiamo di nuovo play, certo che lo premiamo, perché magari ci sentiamo un po’ annoiati o perché la vita da adulti è difficile o semplicemente perché fuori piove e non se ne parla di uscire. Sarebbe bello, sentirsi di nuovo bambini per un po’, pensiamo, e così premiamo quel dannatissimo tasto.
Tutto solo per scoprire, quando è ormai troppo tardi, che in effetti non ne valeva la pena, e che avremmo fatto meglio a indossare un impermeabile e un paio di stivali da pioggia e fare il volo dell’angelo in qualche pozzanghera sotto casa.

