
Cassina Projects: X_minimal, un viaggio tra i minimalismi7 minuti di lettura
Da Cassina Projects a Milano torna, dopo la pausa estiva, la mostra X_minimal visitabile fino al 2 ottobre 2021. Una collettiva, curata da Friederike Nymphius, che riunisce artisti di diverse generazioni e provenienze per sviluppare una riflessione sul minimalismo e sui vari esiti artistici possibili.
Minimalismi a confronto
A partire dal titolo, da leggersi come “across minimal”, è evidente l’intenzione di strutturare l’esibizione come un viaggio attraverso i vari tipi di minimalismo, “un’indagine trasversale sulle tendenze minimaliste a partire dalla fine dagli anni ’70 fino ad oggi”, come si legge sul comunicato stampa.
Il minimalismo non è mai stato un movimento unitario, al contrario ha riunito diverse forme espressive e teorie. La varietà di opere esposte permette, dunque, di analizzare i cambiamenti, le caratteristiche, le specificità e le sfumature che esso assume nelle diverse decadi della sua storia.
Ogni artista selezionato per la mostra ha sviluppato il proprio stile personale che lo distingue dagli atri. Questo è dovuto anche in parte al fatto di aver vissuto in momenti e luoghi differenti, entrando in contatto con situazioni e problemi specifici e sviluppando una propria sensibilità e prospettiva su certe questioni.

Le opere esposte: primo piano
La mostra si sviluppa sui due piani, nelle ampie sale della galleria. Appena entrati lo sguardo viene subito rapito da un’alta croce che si staglia davanti all’ingresso, nel centro della sala. Si tratta di Mechanics and Animality (2021) di Valentin Carron. La croce, qui, viene spogliata del simbolismo cristiano e diventa una semplice forma. Nessun significato è già dato in partenza, sarà poi lo spettatore a caricarla di contenuti. Lo stesso vale per i materiali utilizzati: l’opera sembra costituita da legno e marmo, ma, in realtà, si tratta di pannelli dipinti.

Altre opere che si interrogano su senso e significato sono, ad esempio, Paul Klee: Pädagogische Skizzenbuch (2018) di Gerard Eide Einarsson, una ricerca sui segni e sul loro senso una volta estrapolati dal contesto originario, e Yellow (2017) di Olivier Mosset, una tela completamente nera in cui ci sono solo forma e colore e tocca allo spettatore immaginarci ciò che vuole.

Smoke on the water (Deep Purple) (2019) di Blair Thurman e Ghost towns should prolifarate… (2018) di Liam Gillick attirano invece l’attenzione per i colori sgargianti, forti e vivaci. L’ultima opera citata possiede una forte componente di critica sociale, che condivide con Untitled (2012) di Monika Sosnowska. Un pezzo di recinto deformato rimanda alla Polonia, uno dei primi paesi ad aprirsi al blocco occidentale dopo la caduta dell’Urss, e in cui la fioritura di centri commerciali e attività economiche viene presto spazzata via dalle grandi catene americane. Il recinto è dunque simbolo di una società e un mercato che crollano, ma anche di speranze e sogni per il futuro ormai disillusi.

Le opere esposte: secondo piano
Al piano superiore ci si scontra subito con Ohne Titel (2021) di Gerwald Rockenschaub: un’amplia superficie nera lucida in cui il visitatore riesce a specchiarsi, diventando quasi partecipe dell’opera.

Di fianco a essa si erge una colonna nera, che appare resistente e pesante, ma in realtà fatta di cartone. Si tratta di Untitled (2015) di Heimo Zobernig. Con questa creazione egli intende muovere una critica alle istituzioni artistiche, accusate di prediligere solo un certo tipo di opere. L’artista gioca sulla contrapposizione tra aspetto robusto e fragilità della colonna, ma anche tra materiali a buon mercato – come appunto il cartone – e preziosi.

Procedendo oltre la parete divisoria creata dall’opera di Rockenschaub, si trovano ulteriori installazioni di dimensione più ridotta. Crossing 3 (2015) dell’artista palestinese Tarik Kiswanson, una maschera dorata che riprende un elemento tipico della sua cultura; Dead Star Constellation (2014) di Martin Boyce; e i tubi fluorescenti che costituiscono Untitled (1998) di John Armleder.



Alle pareti sono invece esposte numerose tele, tra cui citiamo Untitled di Francesco de Prezzo, opere di Francesco João, Fernanda Gomes e Beth Letain.

Una presa di posizione sul ruolo dell’arte
Nelle intenzioni della curatrice X_minimal vuole rappresentare una presa di posizione e un tentativo di restituire all’arte il ruolo di spazio di dibattito e confronto.
In questa mostra, minimalismo non va inteso come arte senza contenuto. Piuttosto, si addice meglio l’interpretazione data da James Mayer, che lo definisce“campo pratico” e “dibattito critico”.
Già a partire dalla fine degli anni ’60 il minimalismo aveva accolto le nuove istanze politiche della società. Riprendendo queste caratteristiche, la curatrice è riuscita ad allestire una mostra che ripercorre lo sviluppo del movimento artistico, ma che si rivolge al presente.
Nel momento storico attuale molto viene messo in discussione; categorie ritenute universali diventano fluide e cangianti; credenze, identità e valori tradizionali non rispecchiano più la realtà, le minoranze hanno finalmente il modo di far sentire la propria voce e chiedono di essere ascoltate.
Nulla è dato per scontato e questo rappresenta una grande possibilità di auto-definirsi. Di fronte a questa enorme libertà, però, può capitare di vacillare o avere paura. In questo contesto l’arte deve tornare ad avere anche un ruolo critico e aiutare la riflessione.
L’arte contemporanea si manifesta in particolare attraversi la sua interazione vitale con il presente. […] Produrre un’arte svincolata dal presente, quindi, non può più essere considerata la risposta. […] In tempi così incerti è molto importante che l’arte manifesti una presa di posizione, oltre a consapevolezza e coscienza

