
Belfast, la dichiarazione d’amore di Kenneth Branagh, al cinema dal 24 febbraio. La recensione4 minuti di lettura
Non serve essere irlandesi per godersi un film come Belfast, basta solamente amare follemente le proprie origini, proprio come il regista e sceneggiatore Kenneth Branagh ama le sue.
Se questo criterio vi appartiene, il resto poi vien da sè. Dovrete soltanto sedervi e lasciare che il cinema compia la sua magia, trasportandovi direttamente sotto quel cielo un po’ troppo colpito dell’Irlanda di fine anni sessanta.
Candidato a ben 6 premi Oscar, Belfast si propone come uno dei miglior film dell’anno e i motivi sono abbastanza chiari: indiscutibilmente ben fatto e visivamente potente.

La trama autobiografica di Belfast
Questa volta il regista irlandese cambia rotta. Non più Shakespeare o Poirot, ora l’obiettivo è raccontare al mondo la sua storia.
Nell’agosto nel ’69, l’Irlanda viene colpita da una struggente lotta interna tra cattolici e protestanti, passata alla storia come i Troubles. I due gruppi religiosi diventano improvvisamente nemici. Attacchi, bombe, rappresaglie o blocchi stradali dividono i quartieri, allontanando il più possibile la minoranza cattolica.

Il piccolo protagonista Buddy (Jude Hill) proviene da una famiglia protestante; la mamma (Caitriona Balfe) è casalinga, mentre il padre (Jamie Dornan) lavora come elettricista in Inghilterra. Nessuno di loro comprende l’odio che sta invadendo il loro paese. Tentano di restare in piedi, per come possono.
Purtroppo però, tutto il background sociopolitico dell’epoca comincia a logorare anche la loro intimità, costringendoli a fare i conti con un mondo impazzito. Il padre vuole emigrare in Australia per salvaguardare il bene della sua famiglia. Questo, però, è troppo per Buddy. Deve lasciarsi alle spalle i nonni tanto amati, il quartiere, la ragazzina di cui è innamorato, la scuola e soprattutto l’Irlanda.
Belfast attraverso gli occhi di un bambino
Nonostante il periodo storico di riferimento, al centro di Belfast non c’è nessun personaggio politico importante, bensì l’uomo comune. Tutto il dramma del popolo irlandese viene messo in scena attraverso un’inquadratura insolita, gli occhi puri e limpidi di Buddy.
Attraverso di lui, il conflitto religioso, le disuguaglianze sociali, la disoccupazione, la povertà e l’emigrazione si raccontano con drammatica leggerezza, ironia ma anche molta serietà. Osserva tutto quello che accade intorno a lui con la vitalità tipica dei bambini, comprendendo il rischio solo in parte, come è giusto che sia.

Buddy ci racconta anche il rapporto tra i suoi genitori, che viene rappresentato dalla regia di Branagh con una straordinaria raffinatezza. Ovviamente l’adulto coglie le ostilità o le fatiche che si intromettono nella coppia, ma dagli occhi del bambino viene rivelata l’essenza: una coppia che tenta affannosamente di non farsi trascinare dalle circostanze, sotto le note significative di Everlasting love.
Per Buddy, così come per Branagh, quegli anni tumultuosi lasciano una ferita aperta nel cuore. Cosa salva? L’amore. L’amore per la sua città, le sue origini irlandesi e per la sua famiglia. La vita del celebre regista e attore lo dimostra forte e chiaro. Branagh si è sempre portato dietro il senso di appartenenza a una nazione e a una famiglia. Lo dimostrano i suoi film, nei quali si ripresentano molte volte le stesse persone, dal cast al team.

Perché usare il bianco e nero?
Sicuramente questa è la prima domanda che tutti si pongono appena guardano il trailer del film. Probabilmente questa scelta è dovuta al viaggio nel passato del regista. Usando questi colori vuole rievocare i ricordi dell’infanzia e mostrarli proprio come se fossero reminiscenze personali.
Il bianco e nero sparisce nelle panoramiche sulla città e in una scena importantissima ambientata al cinema, dove lo spettacolo viene mostrato a colori. Questo è un richiamo alla formazione del regista e alle origini della sua passione.

Conclusioni
Belfast è sicuramente un gran film. Interpretazioni eccellenti, regia e sceneggiatura quasi perfette. Pochissimi i difetti: poco background storico, solo accennato (meglio informarsi un po’) e l’irlandese stretto usato dagli attori, difficile da comprendere se guardato in lingua originale.
Scopriremo cosa succederà a Belfast il 28 marzo al Dolby Theatre, sotto gli accecanti riflettori degli Oscar 2022.

