
Barbie: capolavoro del cinema o del marketing?6 minuti di lettura
Non sono mai stata una fan di Barbie o delle bambole in generale. Fin da piccola ho sempre preferito
giocare a fare finta di essere qualcuno o qualcosa usando il mio corpo, lo spazio intorno a me e la mia
immaginazione, senza delegare giocattoli a fare qualcosa al posto mio. Mia mamma mi ha sempre stimolata in questo, sia a me che a mia sorella, e quando è arrivata mia cugina con la sua passione per Barbie le cose sono diventate un po’ strane.
Lei era abbonata a Barbie Magazine, acquistava tutti i numeri in edicola. Aveva Barbie Magia delle Feste,
Barbie Stoccolma, il microfono di Barbie, la casa di Barbie, poster e magliette. A me è sempre sembrato
inutile collezionare delle cose solo perché rosa e con i brillantini ma a un certo punto serviva uniformarsi.
Fortunatamente i miei non hanno mai assecondato queste tendenze collezioniste e presto anche tutte le
cosine di mia cugina sono finite in qualche scatolone in cantina, però adesso il film evento dell’anno ci sta
un po’ costringendo a rifare i conti con la bimba che è noi.
Sono andata a vedere Barbie, il film di Greta Gerwig campione di qualsiasi cosa, e oltre ogni mia
immaginazione sono rimasta molto delusa.
A parte che nel 2023 ormai bisogna citare 2001: Odissea nello spazio altrimenti non si può fare un film,
Barbie ha un intento molto positivo e di per sé è un film che definirei necessario ma per molti aspetti si
conferma solo una grandissima e riuscitissima operazione di Marketing.

Ciao Barbie, Ciao Ken
L’estetica è curata in ogni dettaglio e forse non serve sprecare troppe parole. Particolarmente apprezzabili
sono la plasticità di Margot Robbie e Kathryn McKinnon (Barbie Stramba) che con le loro movenze
eccessivamente fluide o rigide mantengono ancorati all’idea che quelle che stiamo guardando sono
bambole e non persone. Il resto del cast non sembra particolarmente attento a questo aspetto.
Femministe in erba
La parte in cui Barbie arriva nel mondo reale e va a cercare Sasha è forse quella realizzata peggio dell’intero lungometraggio. No forse la batte il momento in cui la mamma diventa Fast and Furious. Andiamo in ordine.
Una donna giovane, vestita con abiti eccentrici e visibilmente esaltata entra in una scuola (gli americani non impareranno mai)a passo svelto va verso un tavolo di ragazzine con l’aria da bulle ma viene bloccata da un’altra ragazzina che le intima di stare alla larga ma lei imperterrita va da Sasha e le dice di essere la sua Barbie. A quel punto, ovviamente, Sasha riversa su questa donna le sue frustrazioni da giovane Simone de Beauvoir dicendole che per colpa sua, per colpa di Barbie, le donne sono delle poverette e la costringe ad andare via in lacrime. Non aggiungo altro.
L’arco narrativo di questo personaggio è praticamente inesistente. All’inizio si prova a riflettere sui rapporti madre-figlia attraverso flashback e ricordi della mamma ma poi tutto diventa frettoloso e piatto il che è assurdo vista la durata della pellicola! Certo, potevamo ridurre i cavalli e le canzoni di Ken ma poi sarebbe stato troppo femminista anche per Barbie ritagliarsi le attenzioni per un solo film invece di inserire l’analisi dei problemi maschili e della loro virilità.

Barbie e Ken
Adesso iniziano i problemi, quelli veri.
Il film promette un percorso di consapevolezza di Barbie Stereotipo che si trova improvvisamente in un
mondo in cui le donne non sono più protagoniste o meglio hanno il posto degli uomini: eterne seconde in lotta tra loro per elemosinare attenzioni. Purtroppo però lungo la strada si perde, dando attenzione a
troppe cose e lasciandone in sospeso troppe altre.
- Potevamo risparmiarci, almeno per una volta, i problemi degli uomini e il piagnucolio di un macho
che non sopporta di essere stato rifiutato. Per una volta potevamo concentrarci sulla parte
femminile e evitare di mettere in mezzo balletti, cavalli, lotte e fratellanze. Tutto il tempo che Ken
ha rubato gli è servito a fare la figura dell’inetto che vuole solo bere birra e fare a botte
perché ormai è già “un uomo liberato che può piangere”. Ce lo evitavamo questo polpettone
smielato I am (k)enough per una volta. E invece no. Sempre lì. Sempre loro al centro dell’attenzione
perché si, purtroppo ruba la scena a Barbie e alle donne e a quello che avrebbero potuto imparare. - Il CEO di Mettel e il marito di Gloria sono la sconfitta della parità di genere. Così come tutti gli altri
personaggi maschili dopotutto, soprattutto Alan e gli altri Ken bravi solo a fare i bro.
Mi piacerebbe che almeno un film che vuole essere femminista faccia passare il messaggio che
parità vuol dire allo stello livello, uguali, stesse possibilità e stesse capacità, non le donne sono
sfruttate dagli uomini perché sono troppo migliori di loro e allora per paura vengono subdolamente
assoggettate. - Il monologo di Cynthia Nixon “Be a Lady they said” segna un prima e un dopo la presa di coscienza di quali siano le imposizioni sociali che gravano più o meno silenziosamente sulle donne. Il monologo di Gloria sembra il rimprovero di una mamma stanca di raccogliere i giochini dei figli da terra. Mi chiedo perché ci sia bisogno di questi personaggi per far passare queste idee.
Perché Gloria non poteva essere una dirigente di Mattel? Perché non poteva avere un matrimonio
felice? Perché bisogna per forza essere donne misere per essere credibili e avere idee positive?
Perchè bisogna essere emarginate per avere a cuore le altre? Perché bisogna essere strambe per
essere in grado di risolvere i problemi?
What was I made for?
Il pretesto di Barbie serve a dire che c’è stato un tempo in cui si pensava che dando alle bambine un
modello diverso sarebbero potute diventare quello che avrebbero voluto. Una bambola che non sia solo una mamma ma anche un modico, una scrittrice, presidente, e così via. Ma quando il simbolo della libertà si scontra con la realtà arriva il dramma, arriva la consapevolezza di essere individui nel mondo e che il mondo in qualche modo ci plasma e ci condiziona. Barbie diventa una bambina vera, ha detto qualcuno fuori dal cinema. Barbie sceglie di prendere in mano la propria vita e provare a diventare ciò per cui era stata creata: sé stessa.
Forse sotto sotto il film è veramente una grandissima e riuscitissima operazione di Marketing, con qualche strafalcione qui e là (Barbie Ordinaria mi ha fatto venire il mal di pancia) e un tentativo eccessivo e mal riuscito di abbattimento della quarta parete, ma con la canzone di Billie Eilish riesce per un attimo a parlare al cuore di tutte le donne: non hai bisogno di qualcuno che ti dica che puoi farlo, non hai bisogno di un simbolo, la strada è là per te se sceglierai di percorrerla. Con tutte le fatiche del caso, con ogni ostacolo e ingiustizia che ti si parerà davanti perché purtroppo ancora essere una donna significa avere la strada in salita, ma è lì per te e ci puoi provare e provare ancora e di nuovo a diventare quello per cui sei nata.

