
Asterischi e schwa: la forzatura della lingua può contribuire al rispetto di genere?3 minuti di lettura
Sono parecchi mesi, ormai, che si discute di asterischi, schwa e altri segni grafici in sostituzione delle comuni desinenze maschili e femminili dei lemmi della nostra lingua. L’ambizione? Rendere la lingua più neutrale per tutti coloro che non si considerano inquadrabili nel genere binario. Il risultato effettivo? Una resa errata e antiestetica della lingua, l’impossibilità della produzione orale di fronte a segni grafici manchevoli di pronuncia, nonché la difficoltà nella comprensione di testi scritti.
Si badi bene: la questione dell’identità di genere e la discriminazione a essa legata sono dibattiti più che necessari, e in questa sede non si intende minimamente sminuirne la portata. Ma forse l’inclusività di genere non andrebbe conquistata sul piano della lingua, meccanismo che segue regole ben distanti dalla volontà di discriminazione sessuale. Andrebbe conquistata nell’educazione famigliare, tra i banchi di scuola e nelle aule parlamentari (dove peraltro andrebbero discussi temi davvero pericolosi per i minori, e Rosa Chemical non ne fa parte).
L’eco che il dibattito su asterischi e schwa ha generato è segno di un grande interesse da parte dell’opinione pubblica, che ha dimostrato atteggiamenti di civiltà e disponibilità all’apertura. È infatti cosa fondamentale, e anzi doverosa in un mondo in cui tutti si arrogano il diritto di dire tutto, prestare attenzione alle parole e al loro genere, evitando di cadere nel sessismo linguistico. Sacrosanto è il peso delle parole, è vero. Ma la lingua, almeno quella standard, non può e non deve essere forzata in nome di un’ideologia, per quanto corretta si pensa che sia.
Non ci si addentrerà qui in questioni linguistiche specialistiche: basti sapere che i generi grammaticali, che nella lingua italiana sono solo il maschile e il femminile, sono cosa ben diversa dal genere biologico e non intendono obbligatoriamente sottintenderlo (un esempio semplificativo: “spia” è un sostantivo di genere femminile, ma questo non impone a tutte le spie di essere donne).
Fatta questa precisazione, l’italiano non dispone di elementi morfologici che possano contrassegnare un genere diverso dal maschile o dal femminile; quindi, anche ammettendo l’invenzione di un genere “neutro”, sarebbe impossibile introdurlo senza causare enormi scorrettezze morfologiche.
E qui arriviamo all’asterisco. In effetti esso, sostituendosi alla desinenza di genere, avrebbe il vantaggio di rappresentare anche le esigenze delle persone non binarie. Ma questo può avvenire soltanto nell’uso grafico: nel momento in cui una persona si trovasse a leggere di fronte a una platea un copione scritto che comincia con “Buonasera signor*”, come ne potrebbe uscire? E questo è solo un piccolo esempio, ma si pensi alla lingua parlata e all’impossibilità di comunicare che si creerebbe di fronte alla pronuncia di parole marcate dal genere sostituito dall’asterisco. Considerazioni diverse, ma altrettanto ostacolanti, si pongono anche di fronte al grafema della schwa.
Che cosa fare allora?
Bisogna semplicemente prendere atto che la lingua non può, proprio in virtù della sua schematicità, essere modellata a piacimento dai singoli. I tasti da toccare e sui quali provare ad intervenire nella lotta alla discriminazione di genere giacciono ad un livello più profondo (sensibilizzazione nelle scuole e da parte dei media, educazione sessuale, eliminazione della disparità nei salari uomo-donna, leggi che tutelino chiaramente le differenze, e molti altri interventi).
In questa battaglia per l’inclusività, da modificare sono i fatti, non le parole.

