
Arte contro la violenza sulle donne: 12 opere che denunciano la condizione femminile nella storia15 minuti di lettura
Il 25 novembre è stata proclamata la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, un giorno in cui fermarsi per parlare e riflettere su un dramma che coinvolge l’umanità sin dalle sue origini, travalicando culture e confini geografici. La figura della donna è oppressa, marchiata, confinata e distrutta in modi che scavalcano la sola violenza fisica.
L’intera redazione di Art Shapes si è riunita per celebrare questa giornata attraverso l’arte. Perché l’arte non è solo bellezza, ma anche e soprattutto denuncia e voce per chi voce non ha. Abbiamo scelto 15 opere di ogni epoca, stile e provenienza per evidenziare come il dramma della violenza contro le donne sia un tema che trascende i linguaggi creativi.
Mimetismo di Remedios Varo

Remedios Varo, artista appartenente alla Generazione del 1927 e membro del movimento surrealista, sviluppò un vocabolario sintetizzato tra simbolismo, fantasia e surrealismo. Le sue inconfondibili opere, per lo più con donne in cui riflette la propria esperienza, sono spesso accompagnate da una storia di consapevolezza femminista, tra il razionale, il fantastico, la natura e il soprannaturale.
Nella sua opera Mimetismo, una donna appare seduta su una poltrona, la sua pelle ha adattato il tessuto della sedia, mentre le sue mani e i suoi piedi sono già fatti di legno.
La donna, che sembra rassegnata ad aspettare nella sua casa, non la vede più come un luogo di pace, ma piuttosto come un ambiente noioso dove anche i mobili si annoiano e giocano tra loro, mentre lei, con rassegnazione, accetta il destino che storicamente l’attendeva.
Carolina Fernandéz
Irresistible di Sue Williams

Sue Williams è un’artista femminista che ha saputo indagare e interpretare la condizione anche psicologica delle donne e delle forze che le costringono in certi ruoli e a certe azioni. Williams ha sempre sottolineato la violenza ai cui molte donne sono costrette a sottostare e lo fa dal suo punto di vista personale. La stessa artista è infatti stata in relazioni violente e tossiche, molte delle frasi che vengono trascritte nei suoi lavori sono infatti state rivolte a lei direttamente. E la scultura Irresistible vuole far riflettere sulla violenza fisica e verbale che caratterizza la vita di moltissime donne.
La scultura in plastica raffigura una donna sdraiata a terra ricoperta di lividi, tagli, segni come se fosse appena stata picchiata in maniera brutale. L’altra evidente caratteristica sono le scritte che ricoprono il corpo: “you dumb bitch. I didn’t do that. Slut. Look what you made me do”. Frasi rivolte con lo scopo di far sentire la vittima l’unica responsabile della violenza appena avvenuta. Sue Williams mostra in maniera onesta e brutale tutti i della violenza, da quelli fisici a quelli psicologici.
Marco Celi
Rhythm 0 diMarina Abramović

Marina Abramović è la regina indiscussa della performance art. Nel 1974, nella Galleria Studio Morra di Napoli, l’artista si è esibita – nel senso che ha letteralmente esibito sé stessa – in Rhythm 0. In una stanza della galleria, posti su un tavolo, 72 oggetti, tra cui un bicchiere d’acqua, una rosa ma anche un coltello e persino una pistola carica. L’artista ha offerto sé stessa al pubblico come un oggetto, senza opporre alcuna resistenza, immobile con lo sguardo fisso in lontananza, trascendendo così la sua natura di essere umano.
Inizialmente tutto procedeva come previsto: veniva accarezzata, pettinata, qualcuno le offriva dell’acqua. Dopo un paio d’ore, un uomo le ha tagliato i vestiti con le forbici, qualcun altro le ha ferito il collo con una lametta da barba, bevendo il suo sangue. Qualcuno ha persino premuto la canna della pistola carica contro la sua tempia. A performance conclusa, mentre l’artista riprendeva a muoversi e tentava di ricomporsi, il pubblico, posto di fronte a Marina Abramović essere umano e non più oggetto, è scappato, incapace di affrontare le conseguenze delle sue azioni.
La degradazione a oggetto, un corpo senza pensieri e sentimenti degni di essere valutati e rispettati, la facilità con cui la facciata di moralismo è crollata di fronte all’effettiva possibilità di disporre liberamente di un altro essere umano che viene percepito come di minor importanza, tutti questi elementi rendono Rhythm 0 un’opera di denuncia della violenza sulle donne, troppo spesso considerate “meno di” e per questo perseguitate e abusate.
Massimo Vispo
Mientres, ellos siguen libres di Regina José Galindo

Nata e cresciuta in Guatemala, teatro di una perenne instabilità e violenza, Regina José Galindo è tra le artiste più rappresentative rispetto al tema della violenza contro le donne in America Latina. L’artista utilizza il suo corpo come metafora delle atrocità avvenute e come portatore di una ferita collettiva. Denuncia la situazione delle donne nel suo paese e dà voce alle vittime attraverso pratiche performative, attaccando spesso le strutture patriarcali dello Stato e gli abusi derivanti dalle relazioni di potere che affliggono la società contemporanea.
Tra le numerose performance, Mientres, ellos siguen libres (2007) è una di quelle più forti. L’artista mette in scena la violenza sessuale subita dalle donne indigene incinte da parte dei paramilitari durante la guerra civile. Questi, infatti, assassinarono o violentarono centinaia di donne portandole all’aborto e provocando loro sterilità, con lo scopo di sterminare la popolazione maya e latina ed effettuare una pulizia etnica e sociale voluta dalla dittatura.
Galindo, all’ottavo mese di gravidanza, si sdraia nuda su una brandina con le gambe divaricate – nella stessa posizione in cui venivano costrette le donne durante il conflitto. Le sue braccia e le sue gambe sono legate al letto dai cordoni ombelicali di quei bambini nati morti, reperiti nelle cliniche dove erano avvenuti gli aborti.
Secondo le Nazioni Unite, il Guatemala è, insieme a El Salvador, il paese con il maggior numero di vittime di femminicidio.
Irene Rivolta
Semiotics of the Kichen di Martha Rosler
La violenza maschile sulle donne passa anche dall’imposizione di rigidi ruoli di genere e dalla dipendenza economica, che ancora oggi molto spesso impedisce alle donne di allontanarsi da situazioni violente.
Tutto questo era anche più vero nel 1975, quando Martha Rosler realizza Semiotics ok the kitchen; video/performance in cui l’artista critica i ruoli femminili tradizionali e denuncia la società che vorrebbe limitare le donne a essere mogli ubbidienti e madri affettuose.
Il video, della durata di 6 minuti, è la parodia femminista di un programma di cucina (genere in voga tra le casalinghe dell’epoca). Rosler nomina e mostra oggetti e strumenti da cucina di uso quotidiano, con cui le donne avevano familiarità.
I rumori degli utensili che sbattono tra di loro in modo ripetitivo generano un senso di angoscia; i gesti sono violenti e gli scatti rapidi. Quando l’artista mostra un coltello, ad esempio, esso più che tagliare pugnala.
In ogni movimento ed espressione di Rosler traspare un senso di rabbia e frustrazione. Lo stesso sentimento che provavano (e tuttora provano) le donne, costrette a scontrarsi ogni giorno con un sistema che le opprime, nega loro pari diritti e autodeterminazione.
Giulia Marzorati
Unos cuanto piquetitos di Frida Kahlo

Unos cuanto piquetitos è un quadro di Frida Kahlo: artista messicana che ha impiegato tutta la sua vita nella lotta alle discriminazioni di genere. Denunciando al mondo, attraverso la sua arte, le innumerevoli ingiustizie nei confronti di chi viene considerato inferiore. Un’opera del 1935 che vuole denunciare la disumanità dietro i delitti “d’onore”. Ovvero quei crimini commessi contro le donne con l’attenuante dell’onore ferito, quindi giustificato agli occhi della legge.
Il quadro è un manifesto contro la violenza sulle donne. Se oggi è importante combattere per qualcosa in cui si crede, nel 1900 le donne non potevano fare altro che vivere sottomesse. Prima dal padre e poi dal marito.
Un passaggio di proprietà effettivo che giustificava qualunque azione nei confronti del genere femminile. Frida lesse sul giornale la seguente notizia: un uomo ha ucciso la moglie e si è giustificato in tribunale dicendo di averle dato solo qualche “bacetto”. L’Artista decise così di mostrare il fatto attraverso i suoi occhi.
Una donna giace riversa su un letto, con il corpo martoriato dalle coltellate. L’uomo, con il sorriso beffardo di chi probabilmente è riuscito a farla franca è in piedi accanto a lei. Il sangue, copioso è sparso ovunque sulla tela, anche sulla cornice. Per rompere la separazione fisica tra spettatore ed opera. Per far sì che questo crimine non passi inosservato. Due volatili, simili a colombe, portano un nastro con su scritte le parole dell’assassino. A rimarcare sarcasticamente che la scena davanti ai nostri occhi, non rappresenta l’amore e quelli non sono bacetti.
Andrea Manca
La Street Art di Panmela Castro per sostenere i diritti delle donne

Panmela Castro, nata a Rio de Janeiro nel 1989, è impegnata da diversi anni nella lotta contro la violenza sulle donne: utilizzando come mezzo di comunicazione l’arte di strada, l’artista riesce ad educare in forma semplice e diretta anche i bambini delle baraccapoli brasiliane e a portare così il suo messaggio a tutte quelle persone ai margini della società.
Grazie ai suoi colorati graffiti, oltre a mostrare la sofferenza delle vittime, Panmela informa le donne sulle leggi che tutelano i loro diritti e su quali siano gli strumenti a loro disposizione per difenderli.
L’obiettivo di Panmela Castro è quello di sconfiggere i femminicidi attraverso l’educazione e la coesione sociale, alimentando nelle donne la consapevolezza di non essere sole, e le sole, a subire violenza.
Per far sì che ciò accada, l’artista fonda nel 2010 REDE NAMI, un’organizzazione tutta al femminile che rompe il silenzio attraverso campagne di sensibilizzazione e che cerca di mantenere alta l’attenzione sul problema tutti i giorni grazie a progetti come “graffiti per la fine della violenza contro le donne”.
Giorgia Mori
Rapture di Kiki Smith

Rapture, scultura in bronzo frutto del lavoro dell’artista Kiki Smith, affronta il tema della rinascita della donna dopo un avvenimento traumatico ed il ritrovamento della sua forza interiore, trionfando così sul proprio aggressore.
L’opera, realizzata nel 2001, rappresenta a grandezza naturale una figura femminile che riemerge dal ventre squarciato di un lupo, simbolo del trauma. L’elemento fondamentale della scultura è il suo dinamismo. La protagonista, in posizione eretta con un piede in avanti ed il corpo proteso, simbolizza il primo passo di un inarrestabile cammino verso la libertà, mentre l’animale giace impotente dietro di lei.
La ruvida pelliccia della bestia ormai innocua e sconfitta, contrasta con la pelle levigata e lucente della donna che, nonostante il volto ancora carico di agonia e dolore, si erge come un’imbattibile guerriera in tutto il suo splendore.
“Our culture seems to believe that it’s entertaining to teach women to be frightened”
Kiki Smith
Rayana Angioletti
Susanna e i vecchioni di Artemisia Gentileschi

L’Antico Testamento racconta di Susanna, una giovane e bella donna intenta a fare il bagno nei giardini della sua casa. Due anziani amici del marito la notano e la avvicinano con fare malizioso. Non si tratta di due vecchi qualunque: sono giudici della comunità ebraica di Babilonia e amici del marito della giovane. I due vogliono Susanna, ma la donna si ritrae disgustata. Così la coppia la minaccia di raccontare alla comunità di averla sorpresa con un giovane amante se non cede alla loro lascivia, ma nemmeno questo funziona.
Susanna come promesso dai due vecchi viene trascinata in tribunale con la grave accusa di adulterio e condannata alla lapidazione. Prima che la sentenza venga eseguita però si fa avanti il profeta Daniele, che interroga ferocemente i due vecchi giudici svelando al popolo di Israele la verità e salvando la giovane.
Artemisia Gentileschi affronta l’episodio biblico di Susanna e i vecchioni per la prima volta nel 1610 a soli 17 anni, ma tornerà a dipingere la vicenda dell’eroina biblica in altre due tele, nel 1622 e nel 1649. È il suo primo lavoro che però si impone con forza stilistica e compositiva, mostrando tutto il dramma della giovane sola con i due anziani molestatori.
La coppia di vecchi sporge da una balaustra e si impone pesantemente sul corpo nudo di Susanna, illuminato dai forti chiaroscuri tipici del caravaggismo. Il volto della donna è deformato dalla paura e dal disgusto, mentre con le mani cerca di allontanare i due uomini. La scena è priva di elementi naturali, concentrando la composizione in un’inquadratura strettissima sul gruppo, dando ancora più l’idea di una situazione claustrofobica e senza scampo.
Molti hanno voluto vedere nel dipinto e nel tema un riferimento a un fatto tragico della vita di Artemisia Gentileschi: lo stupro da parte del pittore Agostino Tassi nel 1611, ritratto come l’uomo a sinistra, troppo giovane per essere definito “vecchione”. Dopo un lungo processo (caso piuttosto raro nella Roma del Seicento, dove la violenza spesso si risolveva con un accordo in denaro o il matrimonio), Agostino fu condannato all’esilio per violenza, calunnia nei confronti di Orazio Gentileschi e tentata corruzione dei testimoni. La condanna, fatto più unico che raro in casi del genere, venne favorita dall’enorme forza d’animo di Artemisia, che lasciatasi alle spalle la vicenda divenne una delle pittrici più celebri e richieste del suo tempo.
Beatrice Curti
Tarquinio e Lucrezia di Tintoretto

Quel senso di possesso, sopraffazione e minaccia che prende di mira le donne, rendendole impotenti, prorompe e si impone nell’opera di Tintoretto “Tarquinio e Lucrezia”, un olio su tela risalente al 1610 circa e custodito sapientemente al Museo Ermitage di San Pietroburgo.
Nel dipinto si può notare Lucrezia, moglie del politico romano Collantino, nell’atto di respingere Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo, da cui è stata violentata e minacciata con una spada. La scena del triste evento è la casa della donna nella quale Sesto si è auto-invitato all’insaputa del marito. Tanto dolore è difficile da sopportare per Lucrezia che, infatti, decide di suicidarsi.
Stefania Cennamo
Touch & Tap Cinema di VALERIE EXPORT

Waltraud Hollinger cambia il suo nome all’età di 28 anni per lanciarsi nella scena artistica viennese. Il suo nuovo nome, VALERIE EXPORT, è volutamente maiuscolo, per urlare al mondo la sua esistenza opposta al gruppo di artisti maschilisti Azionisti di Vienna. La giovane donna optò per un cognome provocatorio, ispirato al marchio di sigarette Export, per anticipare il tono ribelle delle performance che avrebbe realizzato. La più famosa è Touch & Tap Cinema.
Decise di sfidare il pubblico a confrontarsi con una donna reale invece che con una proiezione su uno schermo. Il corpo dell’artista si sostituisce alla celluloide dando vita a un’interazione attiva con lo spettatore. VALERIE indossò una scatola (come se fosse un televisore) con una tendina frontale che permetteva alle persone di inserire le mani e toccarle il seno. La sua ribelle azione femminista è stata immortalata dal fotografo Peter Hassmann a Vienna.
Sara Stefanovic
Ratto di Proserpina di Gianlorenzo Bernini

Bernini raffigura il rapimento di Proserpina per mano di Plutone, il dio degli Inferi. Il mito, racconta del rapimento della giovane donna alle rive di un lago nelle vicinanze di Enna. La madre Cerere, distrutta dal dolore decide di portare la siccità sulle terre, costringendo Giove a consentire a Proserpina di tornare dalla madre per sei mesi l’anno. Bernini rappresenta in quest’opera l’attimo più forte del mito, il Dio trascina la povera Proserpina nell’Ade, lei si divincola ma non può che soccombere alla forza di Plutone che infila le mani nella sua carne.
Le due figure vengono rappresentate frontalmente, ma viene sottolineata la distanza dalle braccia di Proserpina, intenta a divincolarsi per scappare al suo inevitabile destino. Molto marcato è il sentimento di violenza che viene rappresentato, i muscoli del Dio sono tesi e spingono per trascinare la giovane donna, che al contrario ha un corpo dolce e morbido nelle linee. La mano che stringe la coscia di Proserpina è uno dei tratti scultorei più celebrati nella storia, racchiude oltre alle immense doti del Bernini un sentimento di privazione della libertà, che ancora oggi rimane attuale.
Giacomo Curti

