
Arte e censura, il futuro dei musei è su Onlyfan? Tra paura e sessualizzazione dei corpi nudi7 minuti di lettura
Da sempre l’arte, in tutte le sue espressioni ha dovuto fare i conti con la censura. Molte opere, oggi considerate capolavori, sono stata additate in origine come scandalose, immorali e deviate.
In una società spesso bigotta, la censura ha colpito in particolar modo le creazioni che ritraevano corpi nudi, soprattutto se femminili.
Ora anche i social media e i loro algoritmi sembrano remare contro al nudo artistico, sempre più cancellato da queste piattaforme. Le opere di questo tipo, però, sono fondamentali per promuovere i musei che le ospitano e attirare i turisti. Censurarle significa anche creare danni economici a un settore, quello culturale, già messo in seria difficoltà dalla pandemia.
I musei di Vienna di nuovo colpiti dalla censura
La notizia è di pochi giorni fa. I musei di Vienna hanno aperto un account su Onlyfans, sito di contenuti per adulti, dopo che il loro profilo TikTok è stato cancellato per la seconda volta. La loro colpa? Aver postato alcune opere del fotografo giapponese Nobuyoshi Araki, tra cui foto che ritraevano seni femminili.
Gli algoritmi e le linee guida dei principali social, Facebook e Instagram in primis, infatti, impediscono la diffusione di contenuti espliciti, nudità o atti sessuali. Regole che si sono inasprite ancora di più a partire dall’inizio del 2021. Ormai è diventato quasi impossibile postare un certo tipo di foto senza essere segnalati. Questo discorso vale soprattutto per creators di genere femminile, queer, sex workers o con corpi non conformi.
Non è la prima volta che i musei di Vienna devono combattere con la censura sia online che offline. Qualche anno fa Facebook aveva rimosso sia un’immagine del dipinto Gli amanti di Moser sia una della Venere di Willendorf, la famosa statuetta preistorica che raffigura una donna nuda.

Forse ancora più eclatante il caso risalente al 2018. In quell’occasione l’ente del turismo di Vienna si era visto rifiutato, dalla metropolitana di Londra, la possibilità di affiggere alcuni manifesti pubblicitari con opere di Egon Schiele, a causa dei personaggi nudi in esse raffigurati.
I musei avevano risposto al rifiuto in modo davvero geniale, risolvendo il problema e, allo stesso tempo, cogliendo l’occasione per fare una critica alla società. Avevano infatti coperto seni e genitali nelle immagini con dei banner e una scritta: “Scusate. Abbiamo più di 100 anni ma siamo audaci ancora oggi”.

Anche nella recente situazione i musei di Vienna hanno dimostrato di saper gestire le difficoltà e, anzi, sfruttarle per fare marketing. Chi si iscrive al loro canale Onlyfans, ovviamente, ha accesso a tutti i nudi artistici. Inoltre, riceve una Vienna City Card gratuita con sconti per musei e mezzi di trasporto della città.
Cheap festival a Bologna: la lotta passa dai corpi (nudi)
Un caso tutto italiano e assolutamente recente di arte che rappresenta corpi nudi e sfida la censura è Cheap Festival a Bologna, un’interessantissima iniziativa di arte pubblica.
Attraverso poster affissi per le strade della città, il progetto vuole evidenziare e creare consapevolezza su alcune tematiche sociali di estrema importanza.
Questa estate Bologna era stata riempita di poster che, come si legge sul sito di Cheap festival, giocavano “con la suggestione POST declinata in postpandemica, postcoloniale, postmoderna, postporno, postcapitalismo”.
Ora, invece, sono in strada con Her name is Revolution, dell’artista Rebecca Momoli. A dare il titolo all’intero progetto è un’affissione in cui compare la pancia di una donna incinta con sopra queste parole.
In generale, i manifesti sviluppano una riflessione sulle lotte femministe, coniugando le rivendicazioni del passato con le nuove istanze del movimento.

Ogni poster raffigura un corpo nudo con uno slogan che racchiude valori, desideri, prospettive fondamentali per l’attivismo femminista: sorellanza, body positivity, autodeterminazione, emancipazione, liberazione sessuale e ribellione al patriarcato.
Come facilmente e tristemente prevedibile, nelle ultime settimane l’account Instagram di Cheap Festival ha subito diversi attacchi e si è visto segnalare e rimuovere molteplici post e storie in quanto violano le linee guida in materia di nudo e atti sessuali.
Sembra quasi che quando le donne decidono liberamente e autonomamente come usare i propri corpi, e lo fanno promuovendo messaggi sovversivi e scomodi per la società, essi vengano immediatamente visti come pericolosi e quindi da censurare.
La Spigolatrice di Sapri e l’ipocrisia della società contemporanea
A fare da contraltare a queste vicende c’è la polemica, anch’essa tutta italiana, scoppiata intorno alla statua della Spigolatrice di Sapri. A inizio ottobre il comune campano ha svelato la statua, commissionata all’artista Emanuele Stifano, raffigurante la spigolatrice, figura protagonista della poesia omonima di Luigi Mercantini.
“Eran trecento, eran giovani e forti,
L’incipit della poesia “La spigolatrice di Sapri” (1858)
e sono morti!
Me ne andava al mattino a spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore.“
L’opera ha subito destato scalpore e non sono mancate accuse di sessismo, a causa del sedere messo particolarmente in risalto dal vestito attillato.
Chi ha sostenuto questa visione ha sottolineato il fatto che la statua male si accorda alla figura della spigolatrice, contadina che dovrebbe rappresentare lo spirito patriottico. Coloro che invece, difendono l’opera lo fanno in nome della libertà artistica e di espressione.
Senza entrare troppo nella discussione, è innegabile che la statua sia volutamente sensuale. Altrettanto innegabile è che non si sente per niente la necessità dell’ennesima rappresentazione di donna (fatta da un uomo) che deve essere bella e appetibile allo sguardo maschile sempre e comunque. In questo caso, infatti, il nudo – anche se tecnicamente non lo si può definire tale – è assolutamente gratuito. Non serve a veicolare un aspetto particolare del carattere della spigolatrice. Non ne fa trasparire la forza, la caparbietà o il coraggio, insomma, è solo un bel sedere.
Chiariamo, nel nudo e nella sessualità non c’è assolutamente nulla di male. Il problema è che le donne sono stanche di vedersi continuamente rappresentate da altri come oggetto sessuale e secondo i rigidi canoni estetici voluti dal male gaze. Anche perché quando decidono autonomamente di esporre i propri corpi vengono additate come delle “poco di buono” o censurate dai social.

Arte: libera dalla censura ma attenta alla società
Bisogna riconoscere che la quasi totalità di opere d’arte famose ed esposte nei musei di tutto il mondo è creata da uomini, che vivevano (e vivono) in una società profondamente maschilista e patriarcale. In questo contesto alle donne è riservato un ruolo marginale e subordinato. Anche in campo artistico esse sono state principalmente relegate al ruolo di musa ispiratrice. Basti pensare a Dora Maar, fotografa e pittrice, e alla scultrice Camille Claudel, rispettivamente legate sentimentalmente a Pablo Picasso e Auguste Rodin. Entrambe di grandissimo talento, ma ricordate solamente come amanti di artisti famosi.
Come loro, nel corso della storia sono numerosissime le donne artiste che non si sono mai viste riconosciute le proprie capacita. Al contrario, si sono viste sminuite e dimenticate.
Ovviamente non si sta dicendo di censurare o cancellare le opere d’arte che fanno parte del nostro patrimonio perché i creatori erano maschilisti. Tuttavia, è quanto meno doveroso conoscere e tener presente il contesto in cui queste opere hanno visto la luce. Ci si può interrogare e mettere in discussione certe dinamiche senza rinunciare a capire e apprezzare il valore estetico e artistico di un dipinto.
Detto questo, sarebbe bello se nel 2021 non si riproponessero vecchi stereotipi di genere e si imparasse a distinguere sessualità espressa liberamente da sessualizzazione.


