
La Sfera di Arnaldo Pomodoro come metafora della psiche umana3 minuti di lettura
In occasione del 96° compleanno di Arnaldo Pomodoro, vi proponiamo una possibile interpretazione delle sue sfere, le sculture che l’hanno reso celebre nel contesto europeo e internazionale.
“Sfera con sfera”
Sfera con sfera, la più famosa delle serie di sfere di Arnaldo Pomodoro, ha fatto il giro del mondo. Letteralmente. Se ne trovano diverse versioni ai Musei Vaticani come anche a Berkeley, a New York e a Dublino. I diametri cambiano, il principio resta lo stesso. Una grande sfera di bronzo, dalla superficie perfettamente liscia e lucida, nella quale è stata aperta una voragine che rivela al suo interno un’altra sfera. Un taglio che mette in mostra meccanismi complessi altresì inaccessibili.
L’interesse di Pomodoro per la forma della sfera, che per poco non sfocia nell’ossessione artistica, è ben testimoniato dalle sue stesse parole:
“La sfera è una forma magica. La superficie lucida rispecchia ciò che c’è intorno, restituendo una percezione dello spazio diversa da quello reale, e crea mistero.”
Arnaldo Pomodoro
È l’apoteosi dell’artista creatore. Partendo da forme semplici, come la sfera, il cubo o il cilindro, Arnaldo Pomodoro riempie quelle stesse forme, inizialmente immediate e pure di significati nuovi. Apparentemente complicando ciò che era semplice, l’artista riesce in realtà a sbloccare un nuovo livello di profondità, accedendo a qualcosa che prima non c’era – o meglio, che forse c’era ma non era evidente.
La sfera, specchio della psiche umana
Spesso lo spettatore tende a rivedersi nell’opera che sta osservando, proiettando in essa la sua interiorità. Le sfere di Arnaldo Pomodoro potrebbero, invece, compiere il percorso esattamente opposto.

È possibile, infatti, interpretare queste sculture come una metafora della psiche umana. La nostra interiorità, di chi scrive e di chi legge, mostrata nei suoi meccanismi più intimi.
Molte persone, nella loro vita quotidiana, indossano una maschera, il quanto più perfetta possibile. A scuola, al lavoro o all’università. Liscia e splendente, come una sfera di bronzo.
Una copertura – o forse una protezione – che, però, non può durare per sempre. A un certo punto, succede qualcosa o arriva qualcuno e la maschera cade. Torniamo a respirare per davvero, smettendo di gonfiare il petto e trattenere la pancia, smettendo di fingere o esagerare. Possiamo essere completamente noi stessi, coi nostri difetti e ferite ancora non del tutto guarite, mettendo in mostra i complessi congegni del nostro essere, senza temere di essere giudicati o non accettati.
Consideriamo, ad esempio, un azione basilare come il pensare. Ogni nostro pensiero, anche il più semplice, è frutto di un meccanismo complesso di connessioni neuronali e impulsi elettrochimici. Dietro un “Sì” o un “No” si celano universi interi di esperienze passate, credenze comuni, ideologie, e a volte anche traumi che ci inducono a preferire una strada rispetto ad un’altra.
Nella nostra epoca, in cui l’instant gratification ci ha abituati a pretendere tutto e subito, l’epoca dei “Ti amo” via messaggio senza aver avuto il tempo di conoscersi per davvero, dell’iper-connessione e dell’apparenza imperante, l’opera di Arnaldo Pomodoro ci invitano ad andare oltre, più a fondo, e a non fermarci in superficie. È lì che c’è molto di più, nella sfera come nella nostra vita.

