
Arctic Monkeys, un capolavoro chiamato The Car3 minuti di lettura
Lo scorso 30 agosto sulla homepage di YouTube appariva il fotogramma di un nuovo video degli Arctic Monkeys. Un frame ritraente Alex Turner in sala di registrazione che guarda al vetro divisorio con le mani ai fianchi. Alle sue spalle, un microfono. There’d Better Be a Mirrorball è il titolo del nuovo brano che i fan delle scimmie artiche di Sheffield attendevano da più di quattro anni.
Tra il click sull’immagine e lo start del brano una domanda balena in un attimo: “che pezzo sarà”. C’è chi sperava in un ritorno alle radici indie rock e chi si attendeva un seguito del disco precedente. “La seconda che hai detto” come direbbe il Guzzanti di Quelo. There’d Be Better a Mirrorball, infatti, è un brano accattivante, elegante, proveniente da un’altra dimensione temporale ad accompagnare la voce quasi recitante di un Alex Turner sempre più ispirato. Un assaggio del nuovo disco, in uscita a ottobre.
Trascorre un mese ed ecco apparire Body Paint: riff di tastiera ad aprire il falsetto di Turner. Le visualizzazioni dei due video schizzano alle stelle, l’hype si alza vertiginosamente, l’attesa si fa spasmodica. Intanto il gruppo suona in giro per l’Europa presentando alcune nuove canzoni. E così, tra una data e l’altra, arriva il 21 ottobre, giorno dell’uscita di The Car, il loro settimo disco in studio. Un degno seguito di Tranquility Base Hotel & Casino o una timida copia? Stavolta, la prima.
The Car affila le sonorità di Tranquility Base Hotel & Casino

The Car è una conferma del nuovo corso che la band inglese ha intrapreso da qualche anno a questa parte. I riff appiccicosi che hanno esaltato un’intera generazione nella metà dei 2000 sembrano ormai un lontano ricordo, così come i testi tardo adolescenziali cantati da Alex Turner in modo così tagliente, al vetriolo, quasi da schiaffi.
La band è cresciuta tanto, è passata attraverso le produzioni oniriche di Joss Homme per Humbug, il mix di rock, elettronica e hip hop di Am fino ad arrivare a un songwriting lento, raffinato e ricercato come quello a cui ci stanno abituando. The Car rafforza il concetto del disco precedente, le melodie si fanno più sofisticate, raffinate.
Se il disco del 2018 era quasi Turner – centrico qui l’apporto della band è più forte: si spazia dal funky bowiano di I Ain’t Quite where I Think I Am alle atmosfere costelliane della titletrack, dall’intro folk di Mr Schwartz passando per le atmosfere elettroniche e cupe di Sculptures of Anything Goes e il wah wah irresistibile ma misurato di Jet skis on the Moat. E si spera che quel genio di Burt Bacharach ascolti soprattutto Big Ideas, il miglior brano dell’album. La apprezzerebbe molto.
Un album fondamentale
Registrato tra gli studi La Frette di Parigi, i RAK Studios di Londra e il monastero Butley Prior del Suffolk, The Car si candida non solo ad essere uno dei migliori dischi del 2022 ma la vera consacrazione artistica degli Arctic Monkeys, l’apice di un processo di crescita costante. Un percorso che ha fatto storcere il naso a tanti fan della prima ora ma che ne ha conquistati di nuovi. Non si sa cosa ci riserverà la futura discografia della band, ma una cosa è certa: The Car è un capolavoro.
Punto.

