
Apollo e Dafne di Bernini: il divenire della narrazione fermato in un istante4 minuti di lettura
Apollo e Dafne di Bernini è un capolavoro che esprime il dinamismo fisico e psicologico di una narrazione, realizzato grazie alla padronanza degli strumenti e delle tecniche del mestiere, che raggiungono il loro apice nella cura dei particolari. Impressionante la delicata maestria con la quale minuziosi dettagli sono stati scalfiti nel marmo, tanto da farne dimenticare la durezza. L’artista multidisciplinare, che portò alla massima espressione il linguaggio barocco, sembra conferire al marmo il dono della parola, animando la materia inerte.
Fu scultore, pittore, scenografo, commediografo, disegnatore e architetto, rivale di Francesco Borromini. Lo storico d’arte Baldinucci scrisse in proposito:
“Grazie al Bernini abbiamo visto le tre grandi arti nel pieno possesso della loro antica dignità”.

Realizzata tra il 1622 e il 1625 per Scipione Borghese, l’opera esposta alla Galleria Borghese di Roma era originariamente posizionata sul lato della sala confinante con la cappella e poggiava su una base più bassa rispetto all’attuale. Tale disposizione, voluta dallo stesso scultore, rispondeva ad un preciso effetto scenografico e teatrale, volto a coinvolgere emotivamente lo spettatore. Alla fine del XVIII secolo, in seguito a dei lavori di ristrutturazione, il gruppo marmoreo venne spostato al centro della stanza.
Apollo e Dafne di Bernini: il mito

Il soggetto della scultura Apollo e Dafne di Bernini è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio.
Il mito racconta del rancore di Cupido, sbeffeggiato dal provetto arciere, fiero di aver appena abbattuto il gigantesco serpente Pitone. Indignato, dal monte del Parnaso, il dio dell’amore mise in atto la sua vendetta. Due dardi di effetto contrario trafissero Apollo e la figlia di Peneo. Mentre il primo bruciò di desiderio per possedere la ninfa, la seconda lo respinse fuggendo nei boschi deserti.
Dopo un lungo inseguimento, Dafne spossata, ormai braccata, supplicò il potere divino paterno, affinché la sua bellezza si trasformasse e svanisse. Le membra avvolte da una pesante inerzia annunciano la metamorfosi della fanciulla in una pianta di alloro, che la divinità da quel momento porterà sempre addosso.
Il virtuosismo di Bernini funzionale al racconto scenico della transizione

La figura del dio si sviluppa lungo un asse verticale, perpendicolare al suolo, mentre quella di Dafne delinea un arco, i cui estremi convergono con il capo e il piede di Apollo. I protagonisti si fondono nell’evento, la loro correlazione visiva e logica è funzionale alla fruizione della sequenza narrativa. Ci troviamo di fronte al concetto unitario dell’opera, ma anche a molteplici piani di visualizzazione attraverso i quali scoprire nuove visioni.
L’artista conferisce ad entrambe le figure un senso di movimento fino ad allora estraneo alla tradizione scultorea. La divinità è rappresentata mentre corre, con la gamba sinistra sollevata dal suolo alla quale si contrappone il braccio destro rivolto all’indietro, per equilibrare lo slancio. L’arto destro poggia saldamente ancorato al terreno roccioso e sono ben visibili le rifiniture dei calzari indossati. Persino la capigliatura ondulata e il panneggio avvolto in vita e sulla spalla sono mossi dall’impeto dell’inseguimento.

L’esile corpo nudo di Dafne invece, è proteso in avanti, nel vano tentativo di sottrarsi alla presa di Apollo, che le cinge il fianco sinistro. Le sue mani, tese verso il cielo con i palmi aperti, si stanno già tramutando in ramoscelli di alloro. I capelli si sviluppano in fronde. Il piede destro della figlia di Peneo è trattenuto nella corsa dalle unghie, che progressivamente si stanno trasformando in radici. Quello sinistro è circondato da foglie di alloro frastagliate e con i margini in rialzo. La metamorfosi della ninfa è ormai in atto. La pelle del suo corpo incredibilmente liscia e morbida, così come quella del suo viso, è divenuta ruvida corteccia.
Attraverso il gioco di chiaroscuri, i differenti gradi di finitura, le meticolose levigature e lucidature, Bernini attribuisce ad ogni elemento che compone il gruppo marmoreo l’effetto desiderato, per enfatizzarne la resa complessiva.

