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Arte

Andrea Pazienza moriva 33 anni fa. Cosa ci è rimasto della sua arte5 minuti di lettura

Il 16 giugno 1988 moriva Andrea Pazienza, chiuso nel bagno della sua casa di Montepulciano. Sulle cause della morte non ci sono certezze, ma aleggia come un mostro la parola overdose. Si, perché insieme alla carta e alla matita con cui creava fumetti pieni di dolore, rabbia e comico cinismo, il grande amore di Paz era l’eroina.

33 anni fa ci lasciava una delle più grandi matite del fumetto italiano, di sicuro la più caustica nel senso stretto del termine. I suoi lavori bruciano come l’acido e lasciano in chi li legge dei buchi nel cuore, dove trovano spazio gli echi dei suoi eroi: Zanardi, Pentothal, Pompeo e tantissimi altri apparsi sulle pagine di Frigidaire o Alter Alter, le storiche riviste con le quali collaborava. Cosa è rimasto di Pazienza nel mondo del fumetto di oggi? Pur andandosene a soli 32 anni ha lasciato un’eredità alla cosiddetta “nona arte”?

Pazienza: una vita stropicciata

La storia di Andrea Pazienza è quella di un mito, di un nome conosciuto da tutti ma approfondito da pochi. Come raccontò in un’intervista del 1983 il suo primo disegno riconoscibile risale a quando aveva solo 18 mesi, tanta era la foga di esprimersi attraverso l’immagine.

Nel 1974 arriva a Bologna per cominciare gli studi al DAMS, che abbandonerà a due esami dalla laurea. Qui forma la sua coscienza politica e conosce tanti di quelli che saranno i suoi più grandi amici e colleghi. Partecipa alle rivolte studentesche del 1977, dalle quali sorgerà Pentothal, suo primo “vero” lavoro a fumetti, dopo le tantissime opere realizzate negli anni del liceo e dell’università.

Pentothal non è altri che lui, Andrea, perennemente in bilico tra osservazione e partecipazione attiva alle vicende politiche intorno a sé, travolto dagli impegni universitari, dalle amicizie e dalle relazioni con le donne e con la sua nuova fiamma: la droga.

Nel corso degli anni Ottanta Andrea passerà dall’assunzione di acidi e LSD al suo grand amore: l’eroina. Nonostante l’appellativo di tossico, con il quale viene appellato e con cui gioca in modo autoironico, Paz lavora senza sosta, investendo tutte le sue energie in quello che sa fare meglio: creare arte.

Le opere a fumetti pubblicate sul periodico Il Male, poi le strisce sulla rivista fondata insieme ad altri amici fumettisti Frigidaire, entrata nel vocabolario storico di ogni artista italiano che si rispetti. Qui nascono opere come Francesco Stella e Pertini, rivisitazione “tascabile” dell’amato Presidente della Repubblica ed ex partigiano.

I suoi dipinti vengono esposti nelle più importanti gallerie di arte contemporanea di Roma e Bologna, mentre le scenografie da lui realizzate per il teatro diventano sempre più apprezzate e richieste. L’immaginario che vuole Andrea Pazienza come un outsider incompreso e maledetto è vero solamente a metà: già in vita la sua arte era estremamente apprezzata e riconosciuta, tanto da garantirgli la commissione della locandina del film La città delle donne di Fellini e la realizzazione di videoclip animati per la Rai.

Negli ultimi anni lascerà parlare più spesso l’ago della matita, riuscendo a seguire con sempre più difficoltà i suoi impegni lavorativi, pur collaborando con Roberto Benigni alla sceneggiatura del film Piccolo Diavolo e organizzando la sua prima mostra personale a Peschici. Paz non vedrà nessuna delle due cose compiuta: la notte del 16 giugno la moglie Marina Comandini lo vede entrare in bagno, per non uscirne più.

Se dovesse succedermi qualcosa, voglio un po’ di terra a San Severo e un albero

Queste parole, ripetute in diverse occasioni, sono state le sue indicazioni per la morte, che in un’intervista aveva previsto il 6 gennaio 1986, sbagliando purtroppo di soli due anni e sei mesi.

Cosa ha lasciato Paz al fumetto contemporaneo?

Andrea Pazienza si collocava in un momento storico particolarmente felice per il fumetto italiano. In tutto il Paese e in particolare in una Bologna esplosiva, gli artisti davano vita a immaginari che si allontanavano con violenza da tutto quello che era stato visto prima.

Tanino Liberatore, detto “il Michelangelo del fumetto”, Filippo Scozzari, Magnus, Altan e tantissimi altri vivevano, amavano e disegnavano spalla a spalla con lui. Il fumetto diventava uno spazio per raccontare con cinismo e fredda ironia il mondo distorto che vivevano. L’Italia degli anni Settanta e Ottanta era un mondo distorto dagli Anni di Piombo e dalla politica malata, dalle contestazioni e dai fiumi di eroina che scorrevano per le strade.

Tutto questo ha trasformato la matita dei fumettisti in una macchina fotografica, in una lente che restituiva su carta il mondo tragicomico che si muoveva davanti agli occhi degli autori. Andrea Pazienza in questo caos riuscì a fare un passo indietro e raccontarsi con crudele realismo. Attraverso Pompeo racconta la sua caduta nella droga e l’enorme fatica per uscirne, racconta tutto quello che veniva nascosto da una retorica borghese e spaventata dal cambiamento giovanile in atto.

Dopo Andrea Pazienza e la sua generazione di artisti, il fumetto italiano non è più stato lo stesso. Questo anche grazie a un lascito concreto, fatto di lezioni in scuole libere di fumetto, in cui veniva insegnato a fare della matita un’arma per denunciare, attraverso la satira o il dramma, la quotidianità italiana.

Le sue lezioni alla Libera Università di Alcatraz gestita da Dario Fo e dal figlio Jacopo e alla scuola di fumetto Zio Feininger, furono di ispirazione per la generazione di fumettisti composta da Francesca Ghermandi, Alberto Rapisarda (suoi allievi diretti), Gipi, Giacomo Bevilacqua, Zerocalcare e tanti altri, che seppur diversi nello stile (nemmeno troppo), sanno cogliere i cambiamenti del mondo e li analizzano attraverso lo specchio dell’ironia o quello dei delicati toni della graphic novel drammatica.

Laureata in Arti, Patrimoni e Mercati nel 2019, scrive di arte, cinema e lifestyle da diversi anni per diverse testate online, tra cui Milano Weekend, Artslife e Trend Online. Nel 2021 fonda Art Shapes per dare voce a chiunque voglia esplorare tutte le forme dell'arte