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Arte

Allattamento e arte: storia di un gesto antico come il mondo8 minuti di lettura

Nonostante si tratti di una delle attività umane più antiche della storia, allattare è considerato quasi un tabù, mettendo in scena ridicole prese di posizione contro influencer e attiviste che si immortalano mentre allattano al seno i propri figli. Ma com’è cambiata la percezione verso questo gesto nella storia? L’arte sa risponderci.

La storia dell’arte nel corso dei secoli ha trattato molto spesso il tema della maternità, dalle figure vagamente antropomorfe del Neolitico fino alle rappresentazioni più svariate della Madonna col Bambino. Quest’ultima ha all’attivo un’intera categoria di rappresentazione dedicata al nutrimento di Gesù: le cosiddette “Madonne del latte”.

Si tratta di immagini presenti nell’iconografia cattolica sin dall’antichità, probabilmente “prese in prestito” dall’immagine della dea egiziana Iside, spesso ritratta mentre allatta il figlio Horus. Ma andiamo con ordine.

Iside e il culto della maternità

L’arte nasce come modo per esprimere messaggi, emozioni e concetti complessi attraverso un linguaggio comprensibile a tutte le categorie di popolazione. In età antica il ruolo della donna e della madre nell’arte era quello di rappresentare la fertilità dei campi, degli animali e augurare lo stesso alle donne del villaggio.

In Egitto la figura di riferimento per questi auguri era Iside, tra le figure principali dell’enorme pantheon egiziano. La donna, moglie di Osiride, cresce il figlio Horus da sola, costantemente minacciata da pericoli naturali, malattie e dal malvagio dio Set. Una serie di vicende simboliche che rappresentano le difficoltà delle madri del tempo, che vedevano i propri bambini soggetti a malattie, animali pericolosi e guerre. L’Iside come Dea Madre che allatta suo figlio è così un’immagine a cui legarsi in cerca di protezione.

La dea Iside raffigurata mentre allatta il figlio Horus

Dopo la conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno nel IV secolo a. C. il culto della dea Iside venne aggregato al già ricco pantheon di divinità greche, dove mancava una figura simbolo assoluto di benevolenza e maternità, vista la natura un po’ “fumantina” degli abitanti dell’Olimpo.

Da lì il passo verso Roma fu breve, in una società in cui l’adozione dei culti stranieri era parte integrante delle manovre politiche di conquista. Nonostante la diffidenza verso il culto egiziano, soprattutto durante le campagne d’Egitto di Ottaviano, i templi dedicati alla Dea madre erano numerosi a Roma.

Arrivo del Cristianesimo e adozione della Madonna del Latte

Non è un mistero che i primi cristiani adottassero simboli e figure della tradizione romana per diffondere il loro messaggio con maggiore forza e facilità alla popolazione. Tra le figure più vicine al culto popolare vi era proprio Iside, la dea madre che allattava il proprio bambino, così vicino all’immagine della Madonna come madre di Dio. Nasce così l’immagine della Madonna del Latte.

I temi religiosi nel corso dei secoli cambiano e si raffinano a seconda del messaggio da veicolare: gli oranti e i pastori lasciarono presto spazio a Gesù come figura assoluta di potere e salvezza, benedicente o assiso in trono insieme ai quattro evangelisti.

Solo una rappresentazione sopravvisse pressoché immutata fino al Rinascimento: la Madonna col Bambino, rappresentata come mediatore tra l’uomo e Dio, più rassicurante e materna di Gesù, così simile alle tante madri che la pregavano.

Nel Trecento la fortuna del soggetto esplose, anche grazie alla diffusione di reliquie contenenti il “Sacro Latte”, pregato dalle donne che non riuscivano ad allattare i propri bambini. Le raffigurazioni si fecero sempre più delicate e dettagliate, lontane dalla stilizzazione mantenuta dalle icone ortodosse della Galaktotrophousa.

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Galaktotrophousa, Maestro Giovanni, XVIII secolo

Tra le opere più notevoli c’è sicuramente la Madonna del Latte di Andrea Pisano, una scultura in lucidissimo marmo, così precisa in ogni dettaglio da sembrare di carne viva. La scultura è trattata come le rappresentazioni lignee diffuse in Nord Italia, come si può notare dalla colorazione dei capelli e della veste e dall’attenzione particolare al rapporto tra le figure, stretto in una forma compatta.

Realizzata per la chiesa di Santa Maria della Spina a Pisa tra il 1346 e il 1348 l’opera è uno dei punti più alti raggiunti nella scultura dell’epoca anche grazie al particolare soggetto: Maria e il Bambino comunicano attraverso gli sguardi, in un silenzioso rapporto d’affetto. Il viso della Madonna tradisce una smorfia di dolore, descritta così dallo storico Igino Benvenuto Supino nel 1904: “la bocca semiaperta, con gli angoli sollevati, dà l’illusione del respiro un po’ affannoso, e par che nasconda, nella contrazione forzatamente sorridente del volto, il dolore che prova la madre nell’allattare”.

Andrea Pisano, Madonna del Latte, 1346 – 1348, Museo Nazionale San Matteo, Pisa

Madonna del Latte: iconografia fuori moda

In epoche successive il tema ha perso di forza e appeal verso i committenti: come per ogni cosa anche nell’arte la moda fa il suo corso, significando la fortuna maggiore o minore di un tema. La rivoluzione dell’iconografia religiosa arrivata con il Concilio di Trento (svoltosi tra il 1545 e il 1563) impose agli artisti scene più contegnose, preferendo rappresentazioni dirette di Cristo, per arginare l’attaccamento ai santi e al culto mariano diffuso nelle città italiane. Molti dipinti vennero distrutti o ritoccati per attenersi al nuovo stile richiesto dalla Chiesa, tra cui il Giudizio Universale di Michelangelo i cui nudi vennero coperti da Daniele da Volterra, passato alla storia come “il Braghettone”.

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Michelangelo, Giudizio Universale (dettaglio), 1536-1541, interventi di Daniele da Volterra del 1565

Rappresentare la Madonna a seno nudo divenne indecente e si preferirono raffigurazioni più caste, successivamente spazzate via dall’affermarsi del Barocco e dalla ripresa di tematiche più “leggere”, con rappresentazioni di nuovo umane e terrene dei santi e della Madonna. Nonostante ciò la tematica della Madonna del Latte era caduta in disuso e salvo rare eccezioni non venne più recuperato, a causa del pensiero comune sull’indecenza dell’allattamento pubblico, considerato volgare e adatto solo alle balie e alle popolane.

Allattamento nell’arte contemporanea

Nel corso dell’Ottocento il tema della madre che allatta tornò alla ribalta, anche in funzione della ricerca del vero, del quotidiano nell’arte in risposta allo stile accademico, così diffuso durante il Secondo Impero francese. L’impressionista Mary Cassat fece delle scene di maternità la sua firma, dipingendo spesso madri con neonati e disegni dal vero di donne intente ad allattare i propri bambini, seguita dalla Maternità popolana di Renoir, dove una dolce contadina sorride all’osservatore mentre allatta seduta su un tronco.

La vera svolta arrivò però con le Avanguardie e lo studio dell’intimità umana nelle sue espressioni sociali. Picasso nel suo “periodo blu” realizzò una splendida Maternità profana, dipingendo una giovane madre magra e dal viso scavato che allatta suo figlio. Il volto esprime sentimenti fortissimi, nonostante sia segnato dalla stanchezza e dalla preoccupazione. Entrambi sono avvolti in una mantella rosa, che esalta le due figure stagliate sullo sfondo blu.

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Pablo Picasso, Maternità, 1905, collezione privata sconosciuta

L’arte italiana si appropria di questo sentimento per la sua svolta figurativa nel periodo del “ritorno all’ordine”, una fase artistica a cavallo delle due guerre mondiali in cui l’arte si ripulisce delle sperimentazioni delle Avanguardie per tornare a guardare agli antichi maestri, in particolare quelli del XIV secolo, riprendendo le pose composte delle Maestà e i colori limpidi di Piero della Francesca.

Gino Severini esprime questi stilemi nella sua Maternità del 1916, un’opera delicata in cui la moglie Jeanne è ritratta mentre allatta la figlia Gina. La Maternità diventerà anche un simbolo politico dell’Italia fascista, nato per propagandare la forza e la risolutezza della madre come simbolo dell’Italia, che nutre e protegge i suoi figli.

Alla fine degli anni Venti un’artista ha il coraggio di rappresentare su tela la difficoltà della maternità, così come Andrea Pisano fece con la sua Madonna del Latte, dolente nell’allattare al seno un bambino già grande. Tamara de Lempicka si ritrae nel 1928 con suo figlio, ma l’espressione non è amorevole o serena. La donna non guarda il figlio attaccato al seno, ma lontano, immersa in pensieri che la rendono nervosa e distaccata. Una maternità reale, pensata per tutte le donne che si sentono costrette al ruolo di madre modello che non sentono loro e che non vogliono ricoprire.

Tamara de Lempicka, Maternità, 1928, collezione privata

Negli anni del Dopoguerra il tema della maternità è affrontato con ottiche alterne, date anche dall’ambiente sociale di riferimento. Sono le donne ora ad analizzare ed esprimere il ruolo della donna come madre, mistificato e santificato nei tempi fino a trasformarsi e deformarsi sotto molteplici lenti d’ingrandimento.

L’allattamento non è simbolo di forza o di debolezza: è una necessità che ogni donna affronta a modo suo, senza doversi nascondere e senza dover essere ad ogni costo una Madonna adorante. Lo aveva capito anche Andrea Pisano nel 1348 dando alla sua scultura l’espressione reale di una donna che ama e soffre, che allatta senza vergogna ma non esalta il gesto come sacro.

Laureata in Arti, Patrimoni e Mercati nel 2019, scrive di arte, cinema e lifestyle da diversi anni per diverse testate online, tra cui Milano Weekend, Artslife e Trend Online. Nel 2021 fonda Art Shapes per dare voce a chiunque voglia esplorare tutte le forme dell'arte