
77 anni di Cocciante: voce graffiante tra emozione e melodia4 minuti di lettura
Un po’ rock un po’ melodico, così ha iniziato la sua carriera Riccardo Cocciante, presentando il brano Mu nel 1972. Oggi compie settantasette anni e di pezzi indimenticabili ne ha scritti e ne ha cantati, ma la sua anima è rimasta la stessa.
Un anima “impressionista”, come lui stesso l’ha definita, che “toglie la forma e lascia l’idea”, con un modo di cantare come a dover condividere la sua rabbia, pur sempre devota a tutte le altre emozioni. Nato a Saigon, in Vietnam, cresce con la sensibilità francese da parte di madre (tanto da farsi chiamare in più occasioni Richard) e con un carattere introverso e chiuso che, come spesso accade, trova forza nella musica e si dona al mondo.

Interiorità senza tempo
Sia l’uomo che l’artista inseguono da sempre l’interpretazione, ciò che si può far emergere solo con un’attenta introspezione, facendo spazio all’umano che si vuole raccontare.
Ha collaborato con Ennio Morricone, di cui ha amato l’eleganza, Vangelis, Mogol, Buckmaster, ha partecipato a Sanremo una volta e mai più, ha contribuito al successo decennale del musical Notre Dame de Paris.
Le sue canzoni sono state reinterpretate e hanno acquisito nuova vita come nel caso della cover di A mano a mano (1978), interpretata da Rino Gaetano, o con l’inno alla musica, Io canto (1979), nella nuova versione di Laura Pausini. Abituato a cantare seduto, protetto dal suo pianoforte, Cocciante incontra la magia delle parole di Mogol per la prima volta in Cervo a Primavera (1980). Così impara ad affrontare il palco, ad avere fiducia nel lato leggero e al contempo profondo della sua drammaticità.

In un’intervista per la rivista Rolling Stone (Gaspare Baglio, 2022) si descrive come “un pianeta a parte” all’interno del panorama musicale, ma non solo. Infatti Cocciante non ha mai accettato compromessi per la sua arte, non ha voluto che si omologasse alle mode o al pubblico, riuscendo comunque a comunicare un messaggio chiaro a chi lo ascolta oggi. La sua capacità di rimanere, di essere ancora comprensibile, di lasciare che quell’idea, quella nota o quella melodia ci entrino in testa: tutto è dovuto alla lotta per mantenersi autentico, in difesa di un suo mondo interiore prezioso e unico, per cui oggi crede che valga ancora la pena combattere.
Margherita è l’amore universale
Tra i brani più rappresentativi ricordiamo Margherita, una canzone d’amore che è un’ode all’amore e dà il titolo all’album Concerto per Margherita (1976). Un album che sorprese anche gli scettici, in cui Cocciante si affida al già citato Vangelis e a Marco Luberti per la creazione di un racconto intimo, in cui dipingere attimi semplici di vita e nel quale i brani si impongono uno dopo l’altro con il loro crescendo. Non manca il tono graffiante e malinconico soprattutto in canzoni come “Sul bordo del fiume” e “Inverno”. Archi e pianoforte, ma anche caratteristici suoni elettronici, accompagnano la voce di Cocciante che ben sa come modulare la voce tra sussurri e grida.
Per il protagonista Margherita è pazzia, è insonnia, è il vento che non sa che può far male, ma è anche dolcezza, verità, gioia che odia il rancore e ama i colori. Il brano testimonia le contraddizioni di una comune relazione, in cui prevalgono però la stima e la dedizione nei confronti dell’altro, per il quale si è disposti a mettersi in gioco, a costruire un silenzio che nessuno ha mai sentito, a catturare le stelle.
Il testo esalta il potere di un legame che è sale della vita e migliora il mondo.
Ogni album ha la sua hit e sicuramente Margherita, complice l’universalità dei suoi temi e la fragile forza con cui vengono trasmessi, lo è stata e rimane.

